Da Pranzo di Ferragosto del 2008, il suo debutto alla regia, al nuovo Astolfo, Gianni Di Gregorio non ha smesso di esplorare un certo tipo di universo maschile che si è lasciato alle spalle la gioventù guadagnando in gentilezza, morbidezza, in auto indulgenza e accettazione nei confronti degli altri.

Un percorso non senza ostacoli. Che cominciava, in Pranzo di ferragosto, con la necessità di prendersi cura della vecchia ed esigente madre, combinata alle difficoltà economiche che costringevano il protagonista a trasformare il suo appartamento in una sorta di casa di riposo per signore lasciate a casa delle famiglie in nome delle ferie estive. 

L'autore passava poi attraverso le delusioni romantiche del protagonista di Gianni e le donne (2011), sposato a una donna cui non lo legava più nulla e puntualmente frustrato nei suoi tentativi di far rivivere una scintilla di affetto e passione con le sue ex. Infine, sono arrivati i tormenti di un uomo vicino alla pensione che scopriva un mondo del lavoro troppo complicato per lui e crudele con chi non performa abbastanza in Buoni a nulla del 2014.

Astolfo, presentato alla Festa del cinema di Roma e in arrivo al cinema il 20 ottobre, prosegue in un certo senso il tragitto fatto fino a qui dai vari personaggi-alter ego dei film precedenti di Di Gregorio, con una lievità che mancava alle storie precedenti, tutto sommato pessimistiche.

Il protagonista, l’Astolfo del titolo, interpretato dallo stesso regista (e sceneggiatore) in pensione c’è già. Vive in un appartamento a Roma dove pianifica di trascorrere gli anni di vita che gli restano ma dal quale, invece, viene sfrattato. 

Rimasto senza un tetto, decide di tornare in una vecchia casa di famiglia in un piccolo borgo. Un palazzotto nobiliare con un passato fastoso che il lungo abbandono ha trasformato in un rudere. Non solo ci piove dentro, l’adiacente parrocchia si è anche inglobata un enorme salone che il prete, spalleggiato dal sindaco, non ha nessuna intenzione di restituire.

Eppure è lì che Astolfo troverà un nuovo inizio e (forse) la felicità. Grazie alla convivenza con un paio di personaggi bizzarri ma vitali e, soprattutto, all’incontro con un amico di gioventù che, a sua volta, gli farà conoscere una signora della sua età, bella, intelligente e divertente (Stefania Sandrelli) di cui si innamorerà.

La loro relazione affronterà qualche ostacolo lungo la via, ma ad Astolfo andrà molto meglio che al Gianni di Gianni e le donne. “Questo è il mio film più spensierato e ottimista”, ammette Di Gregorio. “Mia figlia mi ha preso in giro quando ha scoperto che volevo raccontare una storia d’amore fra due persone della mia età. In effetti, poteva sembrare una follia”.

Di Gregorio non conosceva Stefania Sandrelli e l’incontro, spiega, “è stato sorprendente”.

“Il mio personaggio”, racconta l’attrice, “reclama la libertà di poter decidere che cosa fare nella propria vita. Ha una famiglia, nipoti ai quali è legata, ma non le basta”.

Una storia piena di speranza, insomma. Che, come dicevamo all’inizio, mette in scena un nuovo tipo di uomo che ha maturato la delicatezza con il passare degli anni e con il venir meno della spinta all’auto-realizzazione inevitabile in gioventù ma che in questa fase della vita non ha più ragione di essere.

Come per tutti i film del regista, anche in Astolfo i riferimenti autobiografici sono tanti. Piccoli episodi vissuti in prima persona o riportati da amici e conoscenti. Come lo scontro con la Soprintendenza alle belle arti che richiede un restauro filologico (e costoso) della casa nonostante tutto intorno ci siano orribili palazzoni in cemento o l’insediamento non richiesto di amici arrivati per una visita e rimasti come ospiti semi-perenni.