La determinazione che ha portato Leonardo Fioravanti a diventare il surfista italiano più forte è la stessa che gli ha fatto conquistare la sua fidanzata, Sophie Wilson, e che oggi lo ha portato a classificarsi per la World Surf League ancora prima che la Challenger Series, la gara di qualificazione, sia finita. Ma andiamo con ordine: la Challenger Series è una competizione composta da otto gare (quest’anno sette) i cui quattro migliori risultati vanno a comporre il risultato globale valido per il ranking. Fioravanti, secondo per buona parte della Challenger Series, trionfando nella tappa di Ericeira, si è automaticamente classificato per la World Surf League del 2023: anche se non si presentasse alle prossime competizioni sarebbe comunque dentro. La WSL è il campionato del mondo del surf, che è il sogno di ogni atleta, molto più delle Olimpiadi. «Io non credo molto nella fortuna, però un piccolo ruolo ce lo ha pure lei in questo sport. A volte fai un errore e il tuo avversario non ne approfitta, a volta invece ti battono grazie a una leggera imperfezione. In un periodo di tempo lungo, come quello della WSL (che dura praticamente tutto un anno), puoi cercare di minimizzare gli errori che fai, in una gara secca, come alle Olimpiadi, magari va bene, ma magari no. Non per niente chi porta a casa il titolo mondiale è quello che è riuscito a vincere con più costanza e nelle condizioni più diverse». Sto cenando con Leonardo Fioravanti (che da adesso in poi sarà Leo) e Sophie nel loro posto preferito a Ericeira, dove si sono appena concluse le gare della Challenger Series che il surfista di Cerveteri ha vinto. «Devi provare la Picana - un tipico piatto di carne brasiliano - qui è deliziosa». Leo qui è di casa, ordina in portoghese, chiacchiera con i proprietari ed è un continuo salutare e festeggiare, passano altri surfisti, ma anche molti che lo ammirano e che sono venuti a vedere la sua heat. 

Leonardo Fioravanti, durante la Vissla Pro di Eirceira del circuito Challenger Series, in Portogallo

EDP Vissla Pro Ericeira

Leonardo Fioravanti, durante la Vissla Pro di Eirceira del circuito Challenger Series, in Portogallo
Laurent Masurel/Getty Images
Leonardo Fioravanti, durante la Vissla Pro di Eirceira del circuito Challenger Series, in Portogallo

EDP Vissla Pro Ericeira

Leonardo Fioravanti, durante la Vissla Pro di Eirceira del circuito Challenger Series, in Portogallo
Gualter Fatia/Getty Images

Quanto contano le differenti condizioni degli spot?
Se il mare è perfetto è perfetto per tutti, così come se è molto attivo, ma è la peculiarità delle singole onde a fare la differenza. Prendiamo un atleta come Felipe Toledo, che è l’attuale campione del mondo: con il mare piccolo è praticamente imbattibile, invece quando il mare è grosso, come a Pipeline alle Hawaii, ad esempio, ti direi che è quasi scarso. 


Tu con che mare ti esprimi meglio?
Grosso, senza dubbio: è ovvio che bisogna essere forti in tutte le condizioni, ma quando c’è tanta potenza io sono nel mio. Infatti guardando a Parigi 2024 ho buone possibilità: le gare di surf si terranno a Tahiti, nello spot di Teahupo'o, dove c’è un’onda spettacolare: ecco io lì ho il doppio delle possibilità di prendere una medaglia rispetto a Tokyo.

Già, Tokyo. Non è andata benissimo…
Per niente, sono stato eliminato al terzo turno. In Giappone è stato complicato: durante l’anno ho avuto un infortunio alla caviglia, che non è stato semplicissimo da gestire, però alle Olimpiadi ci sono arrivato pronto, ma è andata male lo stesso. Nella mia heat mi sono confrontato con un surfista peruviano, Lucca Mesinas, che non è neanche così forte, ma in quei trenta minuti non sono riuscito a trovare le onde giuste. Non è andata bene e non ci posso fare niente, ma il surf ti insegna anche questo. 


**C’è chi quando una gara va male si scoraggia, per te sembra essere il contrario…**Assolutamente: più perdo e più voglio gareggiare, è una sfida continua con me stesso. Ne discutevo ieri con un amico: non so se quello che farò da qui ai prossimi 10 anni sarà abbastanza oppure no per me. 

In che senso?
Adesso sono tra i primi 50 surfisti al mondo, ma per me non è sufficiente, io voglio essere tra i primi 5. L’ho sempre saputo, fin da quando ero bambino.

Ti definiresti il tipo di persona che se vuole qualcosa fa di tutto per ottenerla?
Se sono arrivato qui è merito di questa determinazione, certo, ma anche perché mia madre ha capito subito quanta passione mi animasse: i miei mi hanno messo nelle condizioni di poter diventare un surfista professionista fin da bambino. Se vedi che tuo figlio si sveglia e guarda video di surf prima di andare a scuola e continua a fare solo quello quando ritorna a casa, finisce che lo vai a prendere in classe quando ci sono le mareggiate. Senza di lei e senza le persone che ho incontrato nel mio percorso non sarebbe mai stato possibile raggiungere tutto questo: da una parte i miei genitori, dall’altra gli sponsor che ho avuto fin da subito, Quicksilver e Red Bull, che mi hanno portato ad allenarmi in Australia, alle Hawaii e in ovunque in giro per il mondo quando ero ancora un ragazzino. 

Quanto contano gli sponsor in questo mondo? 
Se stai nel circuito mondiale diciamo che guadagni abbastanza, anche perché vuol dire che sei tra i 36 surfisti più forti al mondo, ma senza gli sponsor difficilmente riuscirei a fare questa vita. Anche il premio della gara che ho disputato adesso, la Challenger Series, non è così alto. Alcuni di noi poi sono più “spendibili” di altri, ci sono atleti molto più alti di me nel ranking che quasi non hanno sponsor, credo dipenda anche dall’immagine che mi sono costruito nel tempo. \

Adesso nel tuo carnet è entrato anche Sebago…
E ne sono felicissimo, anche perché, al di là del mio noto amore per la moda, con questo brand condivido anche tutta una serie di valori legati alla passione per il mare e alla vita a contatto con questo elemento magnifico, che per me significa tutto. Sarà un segno del destino, ma una delle session migliori della mia vita è stata proprio qui a Ericeira nei giorni in cui avevamo organizzato il primo shooting con loro. In totale saranno cinque o sei i momenti memorabili della mia vita in acqua: quello è uno.

(c)GIANFRANCO TRIPODO

La tua è una vita incredibile, sempre in giro per il mondo, non deve essere sempre semplice però, anche dal punto di vista delle relazioni…
Questo è uno sport molto solitario, non è come giocare e spostarsi con una squadra: viaggio insieme a poche persone, ho un paio di amici stretti nel circuito, ma sono comunque avversari, non amici fraterni che sono sempre lì per me e io per loro. Mi ritengo molto fortunato ad avere Sophie come compagna, che è incredibile e che ha capito fin da subito tutto quello che il surf significa per me. Viaggiare con lei è la cosa più bella del mondo, lei è la mia casa lontano da casa.

A proposito: come vi siete conosciuti? 
È successo quattro anni fa esatti a Hossegor, durante le qualificazioni per la WSL. Ma la cosa incredibile è che Sophie è hawaiana, di North Shore, dove io vado ad allenarmi da quando avevo 9 anni, ma non l’avevo mai incontrata, poi è successo quando è venuta in Francia insieme alla madre e al patrigno, che era il commentatore delle competizioni di surf. Lì abbiamo scoperto di avere degli amici in comune che ci hanno introdotto, io ho pensato subito che fosse bellissima e che avrei voluto conoscerla meglio.


Io però all’epoca ero fidanzata, interviene Sophie. Poi l’ho conosciuto subito dopo che si era qualificato per la prima volta alla WSL e non faceva che festeggiare, credevo che non fosse così serio come in effetti è. 


E poi? Cosa è successo? 
Riprende la parola Leo
In un primo momento siamo diventati amici, io sarei comunque andato alle Hawaii qualche mese dopo, nel frattempo la sua relazione è finita e così abbiamo iniziato a frequentarci.

Sei decisamente uno che se si mette in testa una cosa la ottiene…
Sì, in effetti sì.