Il seguente articolo contiene importanti spoiler se non si è ancora visto Blonde.

Mentre Blonde arriva sugli schermi dei computer portatili di tutto il mondo via Netflix, il discorso etico intorno al non-biopic su Marilyn Monroe, romanzato e impressionistico, di Andrew Dominik continua a ritmo serrato. Si tratta di uno studio sullo sfruttamento che, di per sé, contribuisce al vortice di abusi subiti dalla Monroe sotto gli occhi di tutti?  A parte il fornire un commento più ampio sulla celebrità moderna, è una scelta opportuna quella di presentare come realtà una versione così poco chiara della vita di una figura culturale per antonomasia come invece sembrano aver fatto il tour promozionale e il marketing?

Quando si cerca di condensare tantissimo andando oltre l'approccio storico che confronta dati e fonti, ottieni un'opera rara che, nel bene o nel male, alimenta il dibattito, anche animato, proprio come dovrebbero fare gli oggetti culturali, solo che la conversazione che ne scaturisce dovrebbe essere ampiamente accolta piuttosto che soppressa tra linee in bianco e nero.

Naturalmente, il posizionamento di quelle linee varierà da persona a persona: forse, per voi, riguardano le scene in cui Ana de Armas, nei panni della Monroe, parla ai suoi feti abortiti, o le inquadrature fatte dalla prospettiva di una vagina, o le numerose aggressioni sessuali. Ma una scena, verso la fine di Blonde, si rivela particolarmente adatta a creare dibattito (e/o censura).

È il 1962: una Monroe pesantemente drogata viene portata da un entourage di uomini loschi e rozzi in una suite d'albergo di New York. ("Sono carne da consegnare? È questo che è? Il servizio in camera?" chiede Marilyn, ridacchiando incredula). La macchina da presa gira e gira a spirale, replicando apparentemente la confusione drogata della Monroe che, mentre si dirige verso la camera da letto, passa accanto a un'altra giovane donna che singhiozza. Alla fine, disteso sul letto, a sbraitare commenti al telefono, scopriamo esserci John F. Kennedy.

"Sono felice di vederti, piccola", dice JFK vestito solo della propria panciera, battendo la mano sul materasso come a invitarla a raggiungerlo. "È stata una giornata infernale", le bisbiglia allontanandosi dalla cornetta del telefono e indicandole con decisione la zona dell'inguine. Sullo sfondo, una televisione mostra quello che Jessica Kiang, critica di Film Comment, identifica come il lancio del razzo Friendship 7 nell'ambito del programma spaziale Mercury. Mentre lui la incoraggia a maneggiare le sue pudenda, per aumentare il disordine tonale - si tratta di una scena tragica, grottesca o peggio di una comicità di bassa lega? - arriva un'inquadratura hitchcockiana sulla navicella televisiva che punta verso il cielo così come su una torretta altrettanto fallica di un carro armato.

"Se hai delle foto, difficilmente puoi dire che è una qualunque", risponde Kennedy al telefono, apparentemente intento a negare un altro incontro extraconiugale. La testa della Monroe viene costretta ad abbassarsi e a questo punto… introdotto da un "Non essere timida, su" del presidente, si assiste a un minuto e mezzo quasi pornografico di pompino ripreso in primo piano. 

È un esempio - e la Kiang afferma che "non è nemmeno il nadir del cattivo gusto di questo film" - dell'uso da parte di Blonde di immagini esplicite profondamente scomode al servizio apparente, se si vuole essere generosi, di una dichiarazione più grande sul suo sfruttamento da parte di un media patriarcale. 

Guardando la scena alla prima veneziana, lo scorso settembre, ho notato che è stato il momento che ha suscitato il rimprovero più forte: l'auditorium, normalmente silenzioso, almeno nelle mie immediate vicinanze, si è trasformato in una sinfonia sommessa di sguardi scioccati e lamenti esasperati. Un collega che l'aveva già visto mi aveva avvertito della sua natura profondamente inquietante, ma mi sono comunque ritrovato ad agitarmi sulla sedia.

Avendo sentito parlare del contenuto brutale del film prima di quelle prime proiezioni, mi ero chiesto come Blonde avrebbe affrontato la natura spinosa della relazione tra la Monroe e Kennedy; della vasta mitologia che avvolge il personaggio, è uno degli aspetti che più cattura l'immaginazione pubblica. Di certo non si è mai vista una rappresentazione così poco lusinghiera di Kennedy, già oggetto di una cornucopia di ritratti di fantasia e di documentari, attraverso i media.

In realtà, la scena funziona come microcosmo per le questioni più ampie su cui il film di Dominik capitola: invece di entrare nelle sfumature della loro relazione, che qualsiasi biografia convenzionale della Monroe è probabilmente obbligata a trattare, è appiattita in un momento scadente e di cattivo gusto in cui, ancora una volta, la versione della de Armas della Monroe è privata di una difesa. Rivedendo il film, tre settimane dopo averlo visto per la prima volta - anche sulla scia di un tour stampa in cui Dominik ha mostrato di non apprezzare molto la Monroe - è difficile capire come sia giustificato un momento di sfruttamento così sfacciato.

Blonde è ora disponibile su Netflix