Dall’aprile del 2022 è la presidente di Federmanager Treviso e Belluno e in questi due anni di reggenza ha osato portando sotto i riflettori anche quegli aspetti che, pur essendo comuni alla maggior parte dei manager, risultano scomodi. Dopo la reputazione e la paura, la presidente Alessandra Duprè quest’anno porta sul palco del convegno annuale il tema dell’imperfezione e del fallimento.
Presidente, da dove è nata l’idea di quest’anno?
«Scegliamo temi che possono toccare tanto la nostra sfera professionale come quella privata, ma li trattiamo secondo una logica positiva. Nella nostra quotidianità puntiamo sempre alla perfezione che cerchiamo di raggiungere con molta fatica, poi ad un certo punto nel nostro percorso succede qualcosa e ci troviamo a ricominciare ed è in quel momento, cioè quando cadiamo, che proviamo un senso di smarrimento, ma con il tempo questi sentimenti vengono sostituiti da un’energia positiva perché è quel fallimento, quella imperfezione che ha contribuito al miglioramento, sia personale che professionale».
Cosa succede ai manager che falliscono?
«Gli errori nel percorso personale aiutano a responsabilizzare maggiormente i manager. Nei paesi anglosassoni, gli investitori danno lavoro a chi ha commesso errori: il fatto di fallire e ricominciare da capo ti dà la possibilità di ricostruire un percorso in modo migliore».
Come professionisti, i manager sono più predisposti al cambiamento?
«Negli ultimi anni all’interno delle aziende abbiamo vissuto cambiamenti di tutti i tipi, come la pandemia, le guerre, la digitalizzazione interna, e quindi i manager in generale hanno maggiore difficoltà a fare strategia a lungo termine, pur essendo allenati. Essere pronti al cambiamento rimane sempre una questione di indole».
I manager stanno diventando figure sempre più centrali nelle aziende soprattutto in concomitanza al passaggio generazionale. Riescono a convivere con la proprietà?
«Il loro è un ruolo fondamentale nel riuscire ad integrare i figli all’interno dell’organizzazione, hanno un appeal diverso, vedono anche gli aspetti che possono piacere all’imprenditore e possono essere più obiettivi. Venti anni fa era più difficile affiancare il manager all’imprenditore stesso, oggi il dirigente viene equiparato penalmente all’imprenditore e quindi ha le stesse responsabilità, oltre ad avere una consapevolezza maggiore nella gestione dell’azienda, è un valore aggiunto anche se rimane sempre una figura esterna».
I manager sono entrati a far parte della compagine imprenditoriale del Nord Est, eppure le donne manager sono sempre un risicata minoranza. Perché?
«Su 1.240 iscritti, le donne sono 127, il 10% rispetto al totale. È un numero che sta crescendo: nel 2022 le donne erano 111, questo porta a trattare il tema della parità di genere che è importante. Come associazione stiamo lavorando in questo senso, affinché venga promossa anche nelle organizzazioni. Bisogna passare il concetto che a valere sono le competenze, non il genere, basta solo saper organizzare il lavoro e soprattutto avere un piano b».
Anche il tema dei giovani è caldo. Non ce ne sono molti tra manager e dirigenti. È così?
«L’incarico di dirigente arriva intorno ai 40 anni, per quello il numero è più contenuto, speriamo invece che non dipenda dall’inverno demografico. Sono convinta che nelle aziende la strategia vincente sia affiancare i giovani ai dirigenti di esperienza. Sono mondi che si possono combinare bene, possono stimolarsi ed essere complementari, il manager deve saper guidare una squadra, se sa fare squadra, sa delegare e condividere gli obiettivi, sa anche dare gli indirizzi giusti a tutti».
Abbiamo cominciato parlando del potere dell’imperfezione, quale altra caratteristica deve avere il manager?
«L’umiltà, a qualsiasi età, è una dote che accomuna i migliori professionisti».
