foto da Quotidiani locali
E tu dov’eri, dove stavi guardando il Gran premio? Il sismografo del dolore quel giorno ha inciso in profondità, un graffio che non va più via. Sono passati trent’anni, era il primo maggio 1994. «Ayrton Senna è una presenza che ancora si percepisce, si respira, qui in azienda».
Qui in azienda è Caerano di San Marco, Treviso. A parlare è Enrico Moretti Polegato, presidente di Diadora, rilevata nel 2009 dalla sua famiglia, già titolare di Geox. Oggi, nella sede a Caerano, di Ayrton ci sono ancora i ricordi, gli aneddoti, l’aura.
E, nel museo dei cimeli aziendali, straordinaria galleria di scarpe e campionissimi, l’unico paio di stivaletti da pilota rimasto tra quelli realizzati su misura per lui, personalizzati in tutto: alti fino a metà polpaccio, rosso vivo, con la suola a risalire il tallone, seguendo ed eseguendo le curve delle sue richieste quasi maniacali.
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«Quel primo maggio io ero ancora alle medie – dice Polegato, classe 1981 – ma sebbene sia troppo giovane per ricordare il Senna in Diadora, da quando sono entrato qui la sua presenza è tangibile, nei ricordi e nei racconti».
Come quelli di chi da Caerano partiva con la valigetta degli strumenti, artigiani della qualità prima che fosse uno slogan per divani, per andare dove Senna provava e collaudava, «fosse Imola o Silverstone». Tra una sessione e un’altra, i sarti del piede misuravano, adattavano, adeguavano. Oggi è prassi, quasi quarant’anni fa era innovazione spinta. «Voleva le scarpe alte, era l’unico in questo, il primo e il solo. Le facevamo già per Alain Prost (suo compagno di squadra in McLaren e storico, grande rivale, ndr), ma il francese le voleva basse, normali. Senna poi, oltre a più alte le voleva rinforzate da una parte con la gomma, dall’altra in pelle. E leggere, leggerissime: ci ha fatto persino accorciare i lacci per risparmiare qualche grammo».
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Cosa significa, a trent’anni da quel weekend tragico in cui perse la vita a Imola – e il giorno prima di lui, nelle prove, anche il pilota austriaco Roland Ratzenberger – Ayrton Senna? «Significa ancora uno di quegli atleti straordinari il cui prestigio e capacità di comunicare emozione e coinvolgerti nei suoi successi e progressi sportivi andava oltre i successi stessi. Aveva una capacità innata di comunicare queste emozioni, anche per chi non era un fan sfegatato della Formula 1. Come Roberto Baggio nel calcio: capaci di essere inclusivi, di farti sentire parte della loro storia».
È il motivo per cui la scomparsa di Senna è stata così dolorosa e sentita. «Sì, è stata tragedia umana che ha colpito una persona all’apice, e lì viene ricordato, lassù, come James Dean».
Senna, sottolinea il presidente, è parte «delle icone che hanno accompagnato la crescita e lo sviluppo del marchio Diadora, l’atleta è sempre stato al centro nel nostro modo di vedere l’azienda, che è al suo servizio con innovazione e design per aiutarlo a migliorare la sua performance e divertirsi di più. Ci fa piacere ricordare questo aspetto nei rapporti con i campioni che abbiamo avuto con noi: Senna, Baggio, Van Basten, Borg, ma anche oggi Larissa Iapichino, senza guardare sempre nello specchietto retrovisore».
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Quel giorno, dopo lo spaventoso schianto alla curva del Tamburello, nella Williams di Senna fu trovata una bandiera austriaca: Ayrton avrebbe voluto sventolarla dopo la gara in ricordo di Ratzenberger. Per Ayrton, in questa toccante ricorrenza dei trent’anni dalla morte e alla vigilia proprio del Gran premio di Imola, Diadora non ha pensato a eventi o celebrazioni particolari, «rimane l’emozione di ricordarlo. Magari in futuro, chissà».
Emozione è un termine che ricorre spesso, in questa chiacchierata. «Il suo stivaletto è uno degli oggetti più emozionanti che abbiamo nel nostro museo, uno dei primi ricordi che ho qui – sottolinea ancora Polegato –. Era stato studiato con lui e per lui nel 1987, una bellissima storia anche dal punto di vista dell’innovazione: è stata la prima calzatura a essere ignifuga e con suola in bi-densità e che sale fino al tallone, ma ciò che la rende “più Diadora” di tutto è che è una scarpa con tecnologie running adattata alla Formula 1. Ho sentito un paio di addetti, oggi pensionati, che lavoravano per Ayrton allo sviluppo: un po’ lo veneravano, quasi non facevano domande, eseguivano e basta. Era molto meticoloso e pignolo: provava, mandava indietro, perfezionava. È stato con noi dal 1988 al 1992, ma è come se lo fosse ancora: nelle conversazioni che abbiamo in azienda, dai corridoi alla mensa, la sua presenza c’è ancora».
Polegato chiude raccontando un aneddoto: «Di quell’ultimo paio di scarponcini, mai prodotti in serie, uno è esposto in azienda, l’altro lo portiamo in giro per eventi e presentazioni nel mondo. Un giorno è venuto in sede da noi Jorge Lorenzo, pilota di moto e grande appassionato di Senna, a casa si è creato una specie di museo. Ci ha torturato tutto il giorno perché voleva quelle scarpe, ci ha lasciato un assegno in bianco».
Ma non si possono vendere, così come il ricordo non si può cancellare.
