La crisi demografica si abbatte come una scure sulla scuola trevigiana. Stando ai dati elaborati dalla Camera di commercio di Treviso-Belluno nel decennio 2021-2031 la Marca potrebbe perdere 10 mila alunni, circa mille all’anno solo per le primarie.
Un calo esorbitante che costringerà il sistema scolastico ad una riorganizzazione dei plessi e della didattica. Lo sa bene Barbara Sardella, dal 2015 direttrice dell’ufficio scolastico provinciale, che ieri mattina è stata ospite della redazione della Tribuna in corso del Popolo per un focus tematico sullo stato di salute degli istituti scolastici della Marca. Dialogando con i cronisti del nostro quotidiano coordinati dal caporedattore Roberto Borin, Sardella ne ha analizzato i punti di forza (il livello di inclusione e di qualità didattica) ma anche le criticità partendo proprio dagli effetti tangibili della denatalità. Le classi che faticano a raggiungere il numero minimo di quindici studenti come previsto dalla legge sono in aumento. Solo a livello di scuola primaria il prossimo anno inizierà con dieci classi in meno.
Direttrice Sardella, gli effetti del calo demografico a livello provinciale si toccano già con mano?
«Il problema si presenta puntualmente nella definizione dell’organico. Ogni anno, soprattutto in questo periodo, abbiamo a che fare con la costruzione delle classi e l’attribuzione dei docenti che deve fare i conti con un calo costante di alunni nella scuola primaria. Come rilevato di recente dalla Camera di Commercio dal 2021 al 2031 avremo 10 mila alunni in meno nella scuola primaria e il numero è preoccupante, il che vuol dire mille alunni in meno all’anno. L’anno scorso avevamo 103 mila alunni in totale, dall’infanzia alla scuola superiore, quest’anno sono 101 mila, poco più, il che vuol dire circa 2000 alunni in meno. L’effetto di questo calo lo viviamo sulla nostra pelle: diverse classi prime non sono partite perché non ci sono bambini. Al momento di presentare le classi i dirigenti scolastici rinunciano a formarle».
E le famiglie come reagiscono?
«In diversi casi i genitori hanno alzato le barricate con lettere e contestazioni ma bisogna anche tenere a mente che nessuno ha intenzione di sopprimere scuole laddove quel plesso è l’unica scuola. Il diritto all’istruzione va garantito: non verrà mai eliminata una scuola nel caso fosse l’unico presidio in quel determinato territorio. Se invece pensiamo a quei centri in cui abbiamo 3-4 istituti comprensivi dislocati in un territorio, pensiamo a Treviso, Conegliano, Castelfranco, intestardirsi a formare classi da otto, nove, dieci alunni dal punto di vista pedagogico oltre che economico non è positivo. Il rischio è che si vengano a creare delle dinamiche individuali che nel complesso pesano sulla classe. Inoltre come ufficio scolastico dobbiamo continuare a formare classi attenendoci al dpr 81 che stabilisce un minimo e un massimo di alunni dove il limite minimo nella scuola primaria è quindici. È vero che anche quest’anno il ministero ci ha permesso di creare le classi in deroga rispetto al numero minimo di quindici tenendo conto di alcuni parametri fra cui la dispersione scolastica, i comuni montani, isolani e lo spopolamento».
Quante sono le classi sotto i quindici alunni?
«Considerando la primaria sono una ventina. In alcuni casi abbiamo tamponato creando le policlassi, ma di fatto non è pensabile andare avanti così».
C’è il rischio che le scuole si facciano concorrenza?
«Questo già avviene, ma possiamo guardare al fenomeno in chiave positiva. Nel senso che la concorrenza favorisce una maggiore qualità, anche le scuole cercano di offrire un’offerta formativa diversa, c’è chi investe nello sport e chi nella musica. A questo proposito il musicale sta riscuotendo un grande successo, le classi hanno una copertura pressoché completa. Lo stesso vale per l’indirizzo Montessori, che ha vissuto una crescita a livello provinciale negli ultimi anni, e che è sempre più ricercato. In quel caso il problema riguarda la mancanza di docenti e supplenti specializzati vista la particolarità dell’indirizzo».
Il numero degli studenti cala per effetto della denatalità, ma a pesare sul bilancio è anche il fenomeno dell’abbandono scolastico. Come si pone freno a questa emorragia?
«I dati sull’abbandono scolastico in provincia ci sono e li definirei preoccupanti. Ma a preoccupare di più è quella forma di dispersione implicita legata al calo dell’apprendimento. Quello che manca a livello generale è un corretto orientamento e bisogna lavorare per far ripartire le reti che tanto hanno fatto negli anni passati per supportati i ragazzi nella loro scelta, penso a quelle presenti nel Coneglianese e nell’Opitergino. È vero che la scelta avviene in una fase della preadolescenza in cui il ragazzo non è ancora pienamente consapevole di ciò che desidera fare da grande, tuttavia è importante che siano messi a conoscenza, dagli stessi docenti, della gamma di indirizzi esistenti. AlmaDiploma rileva che uno studente su due non è contento della scelta che ha fatto e noi dobbiamo chiederci perché.
Ad incidere è lo scarso orientamento ma anche la famiglia che sceglie per il ragazzo. Al contrario bisogna superare i condizionamenti, intercettare le aspirazioni e i desideri dei ragazzi per poi orientarsi verso la scelta. Va recuperata anche la motivazione ad apprendere. La scuola deve tenere conto che i ragazzi di oggi sono sottoposti a tanti stimoli e promuovere un cambio di approccio alla didattica»