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Dossier energia. Transizione ecologica? Sì, grazie. Ma sociale, fondata sul lavoro e senza eco-follie

La grande transizione ecologica, che sta rapidamente trasformando le dinamiche competitive dei sistemi economici globali, pone al centro del dibattito politico la questione sociale. Il passaggio a un nuovo paradigma energetico basato sulle fonti rinnovabili e sulla sostenibilità ambientale gioca un ruolo portante della transizione ecologica dell’economia. E occorre  prendere atto che la transizione verso un’economia […]

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La grande transizione ecologica, che sta rapidamente trasformando le dinamiche competitive dei sistemi economici globali, pone al centro del dibattito politico la questione sociale. Il passaggio a un nuovo paradigma energetico basato sulle fonti rinnovabili e sulla sostenibilità ambientale gioca un ruolo portante della transizione ecologica dell’economia. E occorre  prendere atto che la transizione verso un’economia verde, pur essendo fondamentale per affrontare la crisi climatica, se non gestita in modo equilibrato può comportare rischi sociali significativi.

La transizione ecologica e le ricadute sociali

La transizione ecologica con lo sviluppo delle fonti rinnovabili, della mobilità elettrica  e il miglioramento dell’efficienza energetica, oltre a favorire la creazione di nuove imprese green comporta il rischio della perdita di posti di lavoro nei settori dipendenti dalla produzione di energia da combustibili fossili. L’accelerazione del processo di de-carbonizzazione dell’economia necessaria al raggiungimento dei target posti al 2050 per rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutrale,  pone una serie di complessità sistemiche in tutti gli aspetti della società degli Stati membri dell’Unione Europea. In particolare per il sistema industriale italiano, basato soprattutto su reti e distretti di piccole imprese di origine artigianale, fondate sul  prodotto  tipico e locale.

La neutralità climatica e la sfida energetica

Infatti l’obiettivo della neutralità climatica richiede una revisione radicale del modello di crescita basata sui combustibili fossili, con profonde conseguenze economiche e sociali per la competitività dei sistemi industriali, per l’occupazione, per le competenze delle imprese e dei lavoratori,  e per la definizione di un modello di  sviluppo “sostenibile” di ampi territori basati su processi e prodotti tradizionali. Il controllo dei modelli e delle tecnologie sostenibili – dai sistemi per la produzione di energia rinnovabile  alle auto elettriche – diviene sempre più un fattore di grande importanza strategica per la ricerca dell’equilibrio tra la transizione ecologica  e la tutela nazionale delle catene del valore,  per non assistere passivamente alla possibile sostituzione dalla dipendenza per le fonti fossili, e dai paesi che ne detengono i giacimenti,  alla dipendenza dei sistemi e delle componenti per le rinnovabili, e dai paesi che ne detengono le tecnologie e le materie prime. Quelle imprese e quelle aree/paesi che oggi non riusciranno  a tenere il passo con l’innovazione si troveranno  presto a fronteggiare un gap organizzativo e tecnologico difficile da superare, rischiando di uscire dal sistema competitivo.

La transizione ecologica tra rischi e opportunità

Per quanto riguarda l’opportunità di sviluppo di nuove imprese italiane ed europee nei mercati della transizione ecologica, occorre prendere atto che in questo scenario di vera e propria guerra economica per la conquista del potere industriale delle catene del valore delle eco-innovazioni, oggi la  leadership industriale è soprattutto cinese: dal fotovoltaico alle auto elettriche. Mentre a Bruxelles si discuteva delle tonalità del verde, nel mondo, e soprattutto in Cina, si conquistavano risultati industriali impressionanti, tanto per le energie rinnovabili, nel 2022 la Cina ha installato quasi la metà dei pannelli a livello planetario, diventando di gran lunga il principale produttore di elettricità dal sole, con quasi il 40 per cento della capacità mondiale, quanto per la mobilità elettrica, le automobili elettriche prodotte nella Repubblica Popolare Cinese rappresentano circa il 53% della produzione mondiale. Mentre in Europa si passava da un tavolo tecnico a un altro, sempre alla ricerca del compromesso tra interessi divergenti, negli Stati Uniti si adottava con rapidità una legge, l’Ira, a forti tinte protezionistiche, per tutelare l’industria e il lavoro nazionale dalle importazioni di prodotti asiatici. E l’Europa, che ha sviluppato negli anni una leadership significativa soprattutto nello sviluppo di un’articolata strategia legislativa contro il cambiamento climatico, con grandi capacità di micro-regolazione normativa (dal plastic-free al bando delle automobili a combustione, dal farm to fork sino alla casa green) rischia di  posizionarsi come un ricco mercato di sbocco dei proprietari delle materie prime e delle tecnologie  – batterie, pale eoliche, panelli fotovoltaici, inverter, auto elettriche – della transizione ecologica.

Europa, il rischio dell’aumento di diseguaglianze sociali

Inoltre molte delle politiche climatiche oggi codificate in Europa possono avere effetti distributivi regressivi ed aumentare le diseguaglianze sociali. Si pensi, ad esempio, ai diversi strumenti con cui garantire il principio chi inquina paga” e come questo meccanismo possa innalzare i prezzi di beni e servizi considerati essenziali o obbligati: laumento dei prezzi dei combustibili fossili mediante tassazione o Carbon pricing, considerato uno degli strumenti più efficaci per limitarne lutilizzo e per incentivare gli investimenti in efficienza energetica e tecnologie a basse o zero emissioni, può impattare negativamente su alcuni soggetti più vulnerabili. Coloro che, infatti, devolvono una parte considerevole del proprio reddito per consumi non comprimibili come lenergia e i trasporti, potrebbero essere colpiti in maniera sproporzionata dallaumento dei prezzi e cadere in condizioni di povertà energetica e dei trasporti.

Gestire la transizione per combattere gli squilibri

La transizione ecologica  è poi particolarmente impegnativa per le imprese e le regioni dove la catena del valore del petrolio contribuisce ancora alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico e genera un notevole valore economico interno e occupazionale. E dove nella transizione verso l’energia verde si prevede che la maggior parte dei posti di lavoro e delle attività dirette e indirette dipendenti dai combustibili fossili rischiano, nel medio che nel lungo termine, di scomparire. Appare qui ancor più evidente il rischio di una transizione squilibrata, se non guidata e gestita in modo socialmente equo ed equilibrato per garantire che i diritti dei lavoratori e delle comunità, che dipendono dall’economia dei combustibili fossili,  siano tutelati attraverso interventi a sostegno dell’occupazione, della partecipazione delle comunità  ai processi decisionali, della riqualificazione dei lavoratori colpiti dalla transizione occupazionale.

Per una transizione ecologica, sociale e fondata sul lavoro

Occorre quindi prendere coscienza politica sia della necessità di una rapida risposta industriale europea, sia della urgente necessità di equilibrare i costi sociali della transizione ecologica, rispetto all’evidente rischio del declino economico  di interi settori e territori produttivi. Se sino ad ora l’ambiente è  stato centro del dibattito sulla sostenibilità, oggi appare altrettanto evidente la urgente necessità di porre il lavoro e l’equilibrio sociale al centro delle politiche per una transizione ecologica giusta. E per guidare questa transizione è essenziale integrare i principi di giustizia sociale ed economici  nel nucleo delle politiche e delle pratiche ambientali, assicurando non solo la spinta politica e finanziaria per la riduzione delle emissioni di carbonio e la promozione di tecnologie sostenibili, ma anche l’ impegno a favore dell’equità economica e sociale; e del lavoro. 

Il Green Deal europeo e il nodo delle pari opportunità

D’altra parte in Europa le norme per realizzare una transizione giusta e sociale esistono da tempo. L’equità e la solidarietà sono principi fondanti dell’Unione Europea, e la necessità di governare dei processi di trasformazione strutturale, salvaguardando la coesione sociale e territoriale, è parte integrante della storia delle istituzioni europee; e una «transizione socialmente giusta» è, in particolare, uno degli elementi integranti del Green Deal europeo per garantire pari opportunità e che nessuno sia lasciato indietro nell’adattamento alla trasformazione economica verde e digitale dell’Europa, attraverso il «Just Transition Mechanism».

Gli obiettivi del Fondo Cecar del 1952

Il primo passo verso una politica sociale e regionale europea è infatti rappresentato dall’istituzione nel 1952 del Fondo Cecar. (Fondo per la Riconversione e il Reinsediamento dei Lavoratori della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) il cui obiettivo era quello di agevolare la ricollocazione dei lavoratori del settore del carbone e dell’acciaio, resi superflui dai processi di automazione e meccanizzazione dell’epoca. E gli  obiettivi del Fondo Cecar sono sorprendentemente simili a quelli del Meccanismo e del Fondo per la Just Transition, nati per affrontare le sfide nella transizione verso la neutralità climatica nell’Unione Europea nei primi anni ’20 di questo secolo.         

Le linee guida per un transizione equa

Nelle “Linee guida per una transizione equa” pubblicate nel 2015 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) sono delineati i principi che dovrebbero guidare la transizione verso economie e società sostenibili: un forte consenso sociale sugli obiettivi e i percorsi verso la sostenibilità; un quadro politico completo, che garantisca coerenza tra le dimensioni economica, ambientale, sociale, educativa/formativa e del lavoro; un dialogo sociale, efficace e rilevante, durante l’intero processo e a tutti i livelli di governance.

Ue, rafforzare e attuare gli strumenti legislativi

Rafforzare la centralità della  just transition nell’ambito delle politiche europee, significa affrontare la dimensione sociale della transizione verde. Gli strumenti legislativi europei esistono, vanno rafforzati e soprattutto attuati: il Just Transition Mechanism, di cui è parte l’istituzione del Just Transition Fund; Il Social Climate Fund; le raccomandazioni del Consiglio europeo agli Stati membri sulla fair transition, che invita gli Stati membri ad adottare “Pacchetti strategici per una transizione verde equa…un insieme completo e coerente di misure politiche che integra le politiche in materia di occupazione, competenze e aspetti sociali con le politiche in materia di clima, energia, trasporti, ambiente e altre politiche relative alla transizione verde, attraverso un approccio ben coordinato basato su una o più strategie e/o piani d’azione nazionali.”. Il tema della Just Transition è relativamente nuovo,  ma in larga parte sovrapponibile a quello delle politiche di coesione, vale dire quelle misure volte a ridurre le disparità economiche e sociali tra diverse regioni o territori, e alle politiche attive del lavoro, che si concentrano sulla sfera occupazionale e sono progettate per migliorare le opportunità di impiego e ridurre la disoccupazione.

Mettere in sicurezza imprese, lavoratori e comunità

Dare un peso centrale all’equità nella transizione ecologica significa garantire che le politiche ambientali siano progettate per ridurre le disuguaglianze esistenti, garantendo che nessuno venga escluso dal processo di cambiamento, con politiche e misure che proteggano le imprese, i lavoratori e le comunità colpite dalla trasformazione strutturale. Non si tratta di negare o mettere in discussione la transizione ecologica, ma di focalizzare le modalità operative nel solco della originaria dottrina dello sviluppo sostenibile (Affinché lo sviluppo sia sostenibile…. deve bilanciare con successo gli obiettivi economici con quelli sociali ed ambientaliWorld Commission on Environment and Development, 1987). E quindi di realizzarla trovando il giusto equilibrio tra le esigenze ambientali (che in Europa, in questi recenti anni, sono state fortemente predominanti) e quelle economiche e sociali, affinché tale azione sia equa, inclusiva e sostenibile nel lungo termine, per un futuro realmente sostenibile per tutti.

La necessità di un cambiamento politico e culturale

È dunque necessario un profondo cambiamento politico-culturale che metta a sistema le interazioni complesse tra innovazione tecnologica, lotta al cambianti climatici e trasformazione sociale. Un processo che non coinvolga solo il tema dei cambiamenti normativi e tecnologici per contrastare il cambiamento climatico, ma anche i mutamenti nelle pratiche sociali e negli assetti produttivi industriali. In tal senso, affrontare una transizione ecologica e sociale – nell’integrazione tra fattori ambientali, economici e sociali – richiede una trasformazione radicale dei principi attuativi e delle modalità operative, la cui base culturale e politica sia fondata sulla tutela  delle capacità  produttive dei territori e sullo sviluppo del lavoro dei diversi contesti locali.

Dare un peso centrale all’equità nella transizione ecologica significa definire una rotta politica e strategica  per realizzare un modello di sviluppo sostenibile, innanzitutto equilibrato e compatibile per  il benessere sociale ed economico degli italiani e degli europei.

 

Docente di Economia dell’ambiente e del territorio, Università Guglielmo Marconi;
Membro del comitato scientifico del Pomos-Università La Sapienza
Socio e membro del comitato scientifico della Fondazione Sviluppo Sostenibile
Membro del comitato scientifico dell’Istituto Stato e Partecipazione

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