Le importanti elezioni in calendario quest’anno pesano anche sul futuro dell’auto. Un articolo apparso sul sito di Usa Today dal titolo provocatorio «Sapevate che la scelta del motore può essere una dichiarazione politica» accende i riflettori su quello che è diventato uno dei temi principali delle campagne elettorali negli Stati Uniti e in Europa, e come l’esito del voto potrebbe condizionare il mercato dell’automotive. Il quotidiano americano sottolinea che anche sui veicoli elettrici si sta combattendo la disputa tra repubblicani e democratici con il presidente Joe Biden che spinge per la diffusione delle quattro ruote ecologiche e la fine delle endotermiche, e Donald Trump che vede nelle vetture a spina una minaccia per l’economia americana. L’obiettivo dell’attuale amministrazione è che, entro il 2032, il 56 per cento delle nuove auto vendute siano elettriche e il 13 per cento ibride plug-in.
La strategia di Trump, invece, va in direzione opposta. L’ex presidente non perde occasione per ribadire che la svolta «green» ucciderà l’industria dell’automotive e lascerà per strada le migliaia di lavoratori ora occupati nelle fabbriche del Midwest. Va ricordato che il centro dell’industria automobilistica è il Michigan, uno degli Stati-chiave che decisero le presidenziali nel 2016 e 2020; se fino a qualche settimana fa era in bilico, secondo un recente sondaggio del New York Times, adesso l’ex inquilino della Casa Bianca risulta il favorito. Gli americani faticano ad abbandonare le auto a benzina. L’anno scorso i tre modelli più venduti negli Stati Uniti sono stati i mitici pick-up che continuano a non avere rivali, seguiti dalla Toyota Rav4. Biden ha emanato un regolamento stringente sulle emissioni per disincentivare l’acquisto di vetture a benzina e Suv e, a difesa dell’industria nazionale, ha esasperato i dazi sulle elettriche cinesi (portati al 102,5 per cento) e sulle batterie al litio (dal 7,5 al 25 per cento). Washington avrebbe voluto tagli più drastici alle emissioni, ma le industrie automobilistiche e petrolifere hanno esercitato forti pressioni per obiettivi «più ragionevoli». Con questa mossa però il presidente Usa si è alienato i Big Auto e i Big Oil e non è riuscito ad allargare il consenso presso l’elettorato sensibile ai temi ambientalistici.
In un suo rapporto Goldman Sachs, la potente banca d’affari, sostiene che «l’incertezza del voto potrebbe indurre i consumatori a rinviare gli acquisti di veicoli elettrici (Bev) finché non sarà più chiara la prospettiva sui potenziali cambiamenti a incentivi e politiche governative. Allo stesso modo, le case automobilistiche potrebbero anche assumere un atteggiamento attendista sui lanci di prodotti e sugli investimenti». Goldman Sachs applica questo scenario anche all’Europa, dove però la differenza tra centrodestra e centrosinistra sulla transizione ecologica e sullo sviluppo delle Bev è più sfumata. I dazi sono di moda anche a Bruxelles. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che è a caccia della difficile riconferma per un secondo mandato, insiste sulla necessità di proteggere l’industria del continente. Lo ha detto all’indomani dell’incontro tra il presidente francese Emmanuel Macron e l’omologo cinese Xi Jinping, e alla convention della Cdu, il suo partito, insistendo sulla concorrenza sleale di Pechino. Ma l’affondo in chiave elettorale della Von der Leyen non piace alla Germania, le cui case automobilistiche dipendono dalla Cina per una parte significativa delle vendite e dei profitti.
In una chiacchierata tra il direttore di Quattroruote Gian Luca Pellegrini e il numero uno dell’Alfa Romeo, Jean-Philippe Imparato, il manager ha ammesso che i risultati della tornata elettorale stanno già condizionando le strategie dei costruttori. «C’è un’incognita che ci impedisce di definire con certezza se i modelli che abbiamo in mente potranno nascere nei tempi ipotizzati» ha detto Imparato. «Tale incognita sono le elezioni europee di giugno e quelle americane di novembre». Nell’industria si va diffondendo la convinzione che con la nuova maggioranza, tutto l’impianto del Green deal che contiene anche il futuro dei motori endotermici sarà rivisto in modo più soft con la possibilità di rimettere anche in discussione la scadenza del 2035. L’auspicio di tanti è che, dopo l’ostinato ottimismo dell’ex vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, si prenda atto che l’Europa non è pronta ad archiviare il motore a benzina. Tant’è che neppure i generosi incentivi governativi sono riusciti a smuovere il mercato. L’incognita del voto e del post voto tende a favorire i modelli ibridi, gli unici al momento in crescita come vendite, che sarebbero la soluzione comunque ottimale chiunque vinca da una sponda all’altra dell’oceano.
Andrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae, l’associazione delle case automobilistiche straniere in Italia, dice che dal punto di vista dell’impatto delle elezioni, quello che potrebbe accadere negli Stati Uniti è diverso dalle conseguenze di una nuova maggioranza nel Parlamento Ue. «L’elezione di un presidente repubblicano o di un democratico fa la differenza e l’impatto è subito visibile. Non è così in Europa, dove la ricerca degli equilibri nella Commissione rende i rapporti di forza meno netti. Ma sia negli Usa sia nel Vecchio continente, l’industria dell’auto ha investito talmente tanto nell’elettrico che qualsiasi sarà l’esito del voto non si potrà tornare indietro. Magari diluire le scadenze, ma la strada è segnata». Per il manager si potrebbero aprire spazi per soluzioni alternative, rimaste finora congelate, come i carburanti sintetici e i biocarburanti che richiedono modifiche ai regolamenti europei e l’uso dell’idrogeno ancora in fase di sviluppo. «Nell’arco di qualche anno potrebbe entrare in commercio su larga scala e rilanciare l’endotermico anziché lasciarlo morire» dice Cardinali. In attesa che lo scenario politico si definisca, regna l’incertezza e l’automotive è in un limbo. Il che significa ancora più spazio alla concorrenza cinese che non ha certo problemi elettorali.
