Pescara è una città sorprendente e misteriosa. Ti chiederesti perché andarci, non avendo i monumenti dell’Aquila e le diffuse meraviglie di Civita d’Antino, di Santo Stefano di Sessanio, di Bominaco, di Tornimparte, di Caramanico, di Rocca Calascio. E invece a ogni arrivo, il mare, il cielo, la luce, ti avvolgono e ti innalzano, e Pescara appare città sospesa tra il cielo e il mare, e, come mi è accaduto solo a Lisbona, ti sorprende. Una vera apparizione, lungamente annunciata e concepita come un figlio silenziosamente atteso. Così il sogno di Venceslao Di Persio e di Rossana Pallotta è diventato un celeste museo. Una casa degna di maestri assoluti e rari nei musei, come Domenico Morelli, Antonio Mancini, Vincenzo Gemito, Francesco Paolo Michetti, Giuseppe De Nittis, davanti al mare Adriatico nella città del poeta che di molti di loro è stato amico e garante: Gabriele D’Annunzio, che ha offerto il nome alla strada. Occorreva un palazzo, naturalmente della stessa epoca: quella che fu la sede della Banca d’Italia, per beni molto meno preziosi, cartacee valute e titoli di credito, appunto in viale D’Annunzio.
L’edificio del primo Novecento, restaurato e dotato di ogni garanzia secondo i parametri museali internazionali, ospita la collezione di capolavori dell’Ottocento italiano e francese, ovunque ricercati da Venceslao e Rosanna. Con passione, costanza e numerosi viaggi intercontinentali, i Di Persio hanno raccolto in più di 30 anni centinaia di dipinti animati di vita silente, per raccontare il secolo - l’Ottocento - vibrante di ideali e innovazioni, documentando natura e tradizioni, per conservarne memoria, e partecipando alla nascita della modernità. Persone straordinarie che intendono l’arte come vita. E fu già progrediente e mai esaurita sorpresa. Molto per una città senza grandi emergenze. Ma grande è stata l’emozione nel vedere che «l’arcipelago Di Persio» non era un fenomeno tanto pregevole quanto isolato, perché la Fondazione Pescarabruzzo, sotto la fertile guida di un uomo elegante e determinato come Nicola Mattoscio, aveva dotato Pescara del primo museo del fumetto in Italia, il Clap Museum, e di un spazio grande per l’arte contemporanea: l’Imago Museum, ricco di opere insolite e rare.
Sono andato chiamato da Elisa Maria Boglino, vissuta tra il 1905 e il 2002, dimenticata pittrice attiva tra Copenaghen e Palermo, che avevo per primo esposto in alcune mostre sull’arte siciliana, e che viene restituita alla attenzione critica con una mostra esemplare. Convinto che questa benemerita impresa fosse una sufficiente ragione per visitare un luogo fino ad allora sconosciuto, mi inoltravo di sala in sala scoprendo una collezione di opere rare e mai viste: artisti scandinavi a Civita d’Antino, il Nord verso l’Abruzzo, con indimenticabili vedute di luoghi integri salvi grazie alla pittura. Un viaggio nella storia, nel costume, nelle tradizioni con un sentimento di appartenenza più forte che negli abruzzesi. Terre vergini e sentimenti autentici. Ma ciò che mi ha colpito è la collezione di artisti italiani del secondo Novecento secondo il gusto e le scelte di Alfredo Paglione. Con lui ho compiuto i miei primi atti di critico d’arte, rivelando artisti isolati, eccentrici, dai solitari figurativi. Nel dicembre 1963 aprì a Milano l’ormai mitica Galleria 32, una «casa dell’arte» che diventò presto il punto di riferimento per la pittura figurativa (o come diceva lui, «arte per immagini») italiana e internazionale.
Paglione organizzò mostre di numerosi artisti: Lucio Fontana, Renato Guttuso, Ennio Calabria, Aligi Sassu, Giacomo Manzù, Carlo Levi, Carlo Mattioli, Leonardo Cremonini, Renzo Vespignani, Ugo Attardi, Giuseppe Zigaina, Piero Guccione, Bruno Caruso, Giuliano Vangi, Alberto Sughi, e anche di Picasso, Rauschenberg, Grosz, Levine, Ortega, Quetglas, Rivers. A loro accosto, in una sorta di spontaneo cenacolo culturale, poeti e scrittori come Rafael Alberti, Quasimodo, Buzzati, Carrieri, Ungaretti, Sciascia, Sereni, Moravia, e critici come Fagiolo Dell’Arco, Raboni, Soavi, Tadini, Testori, Carluccio, Zeri. Un’epoca che io ho vissuto e che ritrovo, con commozione, nelle sale dell’Imago Museum, con una proposta di artisti contemporanei fuori dagli schemi che tradiscono la fantasia e la creatività di quegli anni difficili. Soltanto a Pescara è possibile una esperienza così libera e aperta. In un altro piano una selezione di artisti tedeschi, delle avanguardie di inizio Novecento come Die Brücke. E, infine, una collezione stabile dell’intero e curioso percorso di Mario Schifano, con sorprendenti ispirazioni dal mondo etrusco e da quello romano come le Matres Matutae di Capua. L’arte del Novecento a Pescara mostra un volto inedito e prezioso, per un’altra storia. È giusto, con il presidente Mattoscio, onorare il mio antico amico Paglione. È molto difficile trovare un mecenate che per la propria regione abbia fatto qualcosa di simile agli atti di generosità dimostrati da Alfredo Paglione, classe 1936, nato a Tornareccio, figura atipica, coltissima e per molti aspetti eccezionale di collezionista. Pescara, con i Di Persio e Paglione, è una città fortunata.
