Sono i Duran Duran, l’espressione più autentica di quello che è davvero rimasto degli anni Ottanta. Nel curriculum hanno oltre quarant’anni di carriera, una dozzina di hit che chiunque riconosce al primo ascolto e un’attività live che non segna il passo, come dimostra il sold out in pochi giorni dello show del 21 luglio al Lucca Summer Festival, che verrà replicato il 23 per far fronte alle richieste di biglietti. La storia della musica pop è fatta di lampi, di successi folgoranti che durano al massimo un decennio: basta scorrere le biografie degli Abba, dei Beatles, dei Take That, degli Wham! o degli Oasis. Ma c’è anche chi continua a calcare la scena come Holly Johnson dei Frankie Goes to Hollywood, che riempie ancora i palazzetti anche grazie alla sua hit Relax che nel 1984 creò scandalo per il suo linguaggio sessuale esplicito (oggi suona come acqua di rose) che fece inorridire pure la regina Elisabetta e ricevette la censura della Bbc.
Invecchiare, per una pop band, è molto più difficile: nel rock i capelli grigi, l’aria vissuta e i segni del tempo sono medaglie al valore, nel pop l’estetica ha un peso diverso, così come l’attualità della proposta musicale che, proprio perché legata al sound del momento, ha una data di scadenza molto ravvicinata. Ma non per tutti. E lo sa anche Simon Le Bon, che da tempo sostiene, non senza una certa ironia, che il segreto della longevità del suo gruppo sia una clausola contrattuale: i proventi si dividono in parti uguali indipendentemente da chi scriva le canzoni. Certo, la democrazia economica aiuta, ma i reali motivi per cui la gente ancora oggi si mette in fila per ascoltare Save a Prayer, Hungry like the Wolf, Rio, Ordinary World e Wild Boys sono altri. Uno l’ha spiegato bene il regista David Lynch: «I Duran Duran sono la ragione per cui ho realizzato video musicali. Non si trattava solo della canzone, ma di una porta d’accesso a un mondo nuovo. Dalle immagini spettacolari dello Sri Lanka alle strade di Rio de Janeiro… Come mini-film, i loro videoclip aprivano l’immaginazione, combinando la musica con la narrazione cinematografica. Hanno compreso il potere del mezzo visivo molto prima di tutti noi».
Questa abilità mediatica abbinata alla crescita esponenziale di Mtv come canale di comunicazione alternativo della musica, rispetto ai 45 giri e agli album, è una delle motivazioni per cui i Duran Duran sono rimasti nell’immaginario collettivo. Con loro, il videoclip, da mero strumento promozionale, si trasforma in una forma d’arte a sé stante. Ma per comprendere il senso della traiettoria artistica dei Duran iniziata nel 1980 non si può prescindere dall’estetica. Con la band di Birmingham si chiude l’epopea dell’immagine Seventies a base di jeans, giubbotti con le frange e pantaloni di pelle.
Simon Le Bon, John Taylor e soci giocano tutto sull’esaltazione della bellezza, sulla working class che si emancipa nell’immagine, sposano un look new romantic che strizza l’occhio alla pop art di Andy Warhol e tiene al suo interno le suggestioni e il makeup del periodo glam di David Bowie. Diventano simbolo dell’edonismo e icone di stile, lanciano linee di merchandising da milioni di sterline. Sono, negli anni Ottanta, la band «teen idol» più famosa del mondo (non intaccata dalla rivalità di un altro gruppo cult di allora, gli Spandau Ballet). Chi si limita a guardarli, profetizza, prendendo una cantonata colossale, una carriera usa e getta e un oblio senza fine. Ma oltre la forma, c’è la sostanza, quella musicale: in pochi hanno attraversato tutti i generi musicali con tanta spregiudicatezza e, nella maggior parte dei casi, genialità. L’uso del sintetizzatore come strumento dominante negli anni Ottanta, le fughe nel funky, le sperimentazioni psichedeliche dell’album Medazzaland, la rinascita, quando tutti li davano per spacciati all’inizio degli anni Novanta, con The Wedding Album, che contiene due dei singoli di maggior successo del gruppo, Ordinary World e Come Undone, la collaborazione con Nile Rodgers degli Chic in Notorious, quella con Giorgio Moroder nel recente Future Past e quella con Victoria dei Måneskin nell’ultimo Danse Macabre. Tanta bellezza e qualche caduta di stile, come Thank You, il disco del 1995 in cui eseguono cover di Lou Reed, Bob Dylan, Led Zeppelin, Doors e Iggy Pop. Non se ne sentiva proprio il bisogno...
Se oggi si parla ancora dei concerti dei Duran Duran come eventi sold out è anche perché la band, a differenza di quasi tutte le altre nate nell’era analogica, ha capito per prima che internet avrebbe fatto tabula rasa del vecchio music business. Così, nel 1997, quando gli altri gruppi a malapena maneggiavano con sospetto un pc, loro avevano un ottimo sito ufficiale online. Ma il vero colpo è stato mettere in rete la prima canzone di sempre di cui eseguire il download a pagamento. Era il 9 settembre 1997 quando i fan scoprirono di poter scaricare il brano Electric Barbarella dal sito della Capitol Records. Novantanove centesimi di dollaro per la versione «radio edit», un dollaro e novantanove per il remix. Un colpo di genio che lasciò tutti a bocca aperta. La band che doveva ballare una sola stagione era già nel nuovo millennio. Con tre anni di anticipo...