foto da Quotidiani locali
FRANCAVILLA AL MARE. Vittorie italiane nel World Tour, la Champions del ciclismo mondiale: da ieri solo quattro dall’inizio della stagione. Il nome e cognome è sempre quello: Jonathan Milan. Ventitre anni, detto il Toro di Buja, un oro olimpico in bacheca con il quartetto a Tokyo, la prospettiva di difenderlo a Parigi a fine luglio. La certezza di essere uno dei velocisti più forti al mondo.
Dopo le due frazioni vinte in marzo alla Tirreno Adriatico (con tanto di classifica a punti), il capitano della Lidl Trek sta correndo con le marce alte anche questo Giro d’Italia. Vittoria ad Andora di potenza, secondi posti a Fossano e Napoli, domenica, con tanto di stragiramento di scatole, e trionfo mercoledì sul lungomare di Francavilla, a un passo da Pescara, non tanti km più a nord da quella San Salvo, sempre sul mare, sempre in Abruzzo, dove il friulano, che adora la pizza di mamma Elena e il coniglio in salmì con polenta di nonna Marcella, ama le gite in Vespa e le camminate a Camporosso nel Tarvisano, vinse la sua prima tappa al giro (del debutto) un anno fa.
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Era il più atteso Milan. Il più acclamato dalla folla, perchè è lui il simbolo d’Italia di questa corsa rosa che continua ad essere dominata da Tadej Pogacar (Uae) e ha anche in Antonio Tiberi (Bahrain) un’altra bella razione d’azzurro (ora è quinto nella generale) che fa ben sperare anche per il futuro delle corse a tappe.
«Forza Jonny», «Jonny un selfie», «Jonny una borraccia», «Jonny un cappellino», ormai il ragazzone di 1.94 per 84 kg si muove così prima e dopo le tappe del Giro. E in corsa è il più acclamato. Merito di una potenza e una classe che non si vedevano da tempo tra gli sprinter nostrani e per qualcosa di simile ormai si scomodano mammasantissima delle volate come Alessandro Petacchi e Mario Cipollini.
Da Foiano di Val Fortore alla costa Adriatica, col sole che splendeva proprio mentre al Nord infuriavano le tempeste, era Milan il più atteso.
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Solita fuga da lontano, con Edoardo Affini e il compagno di squadra della Visma Tim van Dijke che cercava di far dimenticare l’addio al Giro del miglior giovane Cian Uijtdebroeks fermato da un virus (la maglia bianca è passata a Tiberi), solita rincorsa delle squadre dei velocisti. Solita, caotica, preparazione allo sprint. Perchè la corsa è arrivata da sud sulla statale, poi, dopo una brusca curva, si è buttata sul lungomare per gli ultimi 4 km. E il vento lì ha giocato un ruolo decisivo. A favore verso nord, contro verso sud.
Il treno della Lidl Trek ha perso alcuni vagoni, si è scomposto all’ultimo km, qui Milan ha fatto un capolavoro. Perchè si è destreggiato alla grande prendendo la ruota giusta degli Alpecin che correvano per Kaden Groves ed è uscito al momento giusto ai 150 metri sprigionando una potenza che, lo si può tranquillamente dire, non ha attualmente eguali nel ciclismo mondiale. Una volata di testa sarebbe stata rischiosa, lui ha agito di conseguenza vincendo largamente ed aprendo le braccia come un gabbiano, quello stesso gabbiano cui deve il nome.
Secondo Tim Merlier (Alpecin), poi declassato perchè ha ostacolato Juan Molano (Uae). Terzo Groves, quarto Giovanni Lonardi (Polti). «Devo tutto alla mia squadra, sono stati fantastici nel sostenermi, dedico a loro questa vittoria», ha detto il campione della Lidl Trek.
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Che, appena tagliato il traguardo, mentre lo portavano alla cerimonia di premiazione ha abbracciato uno a uno i compagni di squadra che nel frattempo trovava per la strada. Mentre il padrone del Giro si complimentava con lui e tirava un sospiro di sollievo. A 400 metri dall’arrivo davanti a Pogacar a 60 all’ora sono caduti in tre. «Mi è andata bene», ha detto. Forse ha rischiato un po’ troppo. Ma altrimenti non sarebbe Re Taddeo.