Nives Meroi e Romano Benet stanno per partire per un Settemila dell’Himalaya: i bagagli sono pronti, ridotti all’essenziale, come richiesto da una spedizione in stile alpino, senza portatori d’alta quota, né ossigeno. L’imbarco è previsto per domani, dall’aeroporto di Lubiana, con un volo su Istanbul a cui ne seguirà un secondo su Kathmandhu.
La cordata tarvisiana si accinge a tornare per la sesta volta nel gruppo del Kangchenjunga, la terza montagna della terra, sulla cui catena hanno individuato una via ancora inesplorata: vogliono disegnare un percorso lungo l’affascinante e inviolata parete di roccia e ghiaccio del versante Sud dello Yalung Peak (7590 m).
Dal campo base a 5100 di quota, si tratta di 2500 metri di dislivello, con una media di 60 gradi di pendenza, che supereranno, con due campi intermedi e un terzo nei pressi della vetta. Non sono soli, ma in team con lo slovacco Peter Hamor, già compagno di scalata proprio sul Kangchenjunga nel 2012 – quando lui era salito in vetta da solo e loro si erano ritirati, guadagnando poi la cima nel 2014. Con lui l’anno scorso hanno condiviso anche l’impresa della nuova via sul Kabru IV (7314 m), poco lontano da lì.
È stato proprio Hamor a rivelare sui social l’obiettivo himalayano, altrimenti la notizia non sarebbe filtrata, considerato che Nives e Romano mantengono da sempre un alto profilo di riservatezza. Nives è alle prese con gli ultimi preparativi: «Sono in una modalità stato d’animo “frullatore pre partenza” – commenta – perché i maschi sono proiettati in avanti, mentre a me tocca avere cura anche di quello che si lasci» aggiunge, e mi prega di interagire con Romano per avere qualche elemento in più.
In effetti Romano appare più disteso: domenica scorsa è salito sul Grossglockner con gli sci, ha sistemato le ultime cose in negozio ed è disponibile a raccontare qualcosa sulla prossima impresa, il cui scenario è la scintillante catena che si stende tra Nepal e Sikkim: «Ci piacciono queste montagne, offrono diverse possibilità di esplorazione e soprattutto sono fuori dai percorsi turistici: per questo ci torniamo».
Nel 2019 avevano già cercato una via di salita verso il Kangbachen (7902 metri) lungo la parete sud, una salita per gran parte costellata di minacciosi seracchi: erano risaliti per un tratto, ma si sono dovuti fermare di fronte a grandi salti tra un seracco e l’altro, invalicabili senza l’uso di scalette.
«Intendiamo però provare a scendere da lì: i salti in salita sono impossibili da superare senza scale, ma in discesa ci si può calare in corda doppia senza grandi problemi: ed è questo il programma di massima, anche perché andremo a perlustrarli nuovamente dal basso, durante la fase di acclimatamento al campo base».
Lo Yalung Peak, meta della spedizione, vanta solo una salita dal versante Nord da parte di una spedizione slovena avvenuta nel 1965, ma il versante Sud è vergine.
«Nell’elenco di cime scalabili in territorio nepalese, tra l’altro, lo Yalung Peak non è compreso, per cui abbiamo chiesto il permesso per il Kangbachen, per raggiungere il quale è necessario però passare proprio per la cima dello Yalung».