UDINE. «Il fatto non sussiste». Andrea Carletti, all’epoca dirigente scolastico dell’isis Malignani, e Michele Cantarutti, che in quella scuola insegnava e sovrintendeva al laboratorio, hanno atteso più di tre anni e pagato nel frattempo circa 9 mila euro a testa, tra risarcimento danni e interessi, per sentirsi assolvere dall’accusa di avere concorso nella presunta calunnia di Danilo Canciani, un assistente tecnico, oggi pensionato, proprio come loro.
Accogliendo non soltanto la richiesta delle difese, ma anche quella della Procura generale, a propria volta favorevole a una riforma del giudizio di primo grado, la Corte d’appello di Trieste, ieri, ha ribaltato la sentenza con cui il gup del tribunale di Udine, nel 2021, aveva condannato gli imputati a 1 anno e 1 mese di reclusione l’uno. Il dispositivo, che prevede anche la conseguente revoca delle statuizioni civili, è stato emesso dalla seconda sezione penale presieduta da Monica Biasutti.
A mettere in moto il procedimento era stata la denuncia che il tecnico, non appena archiviato il fascicolo che lo aveva visto indagato per l’ipotesi di furto di un macchinario scolastico, aveva sporto contro Carletti e Cantarutti.
E cioè contro il dirigente che, il 26 febbraio 2018, aveva inviato alla Procura la relativa notizia di reato, sulla scorta della segnalazione con cui, il precedente 6 novembre, il sovrintendente del laboratorio lo aveva informato dello smantellamento e della sparizione da un’officina di una vecchia apparecchiatura per la saldatura. Nel ribadire quanto sostenuto già davanti al gup, i rispettivi difensori, gli avvocati Federico Plaino e Aldo Scalettaris con il collega Emanuele Fragasso, hanno insistito sull’assenza di prove che il materiale sparito fosse appartenuto a Canciani.
La tesi sostenuta da quest’ultimo e fatta propria dal pm prima e dal giudice poi, infatti, muoveva proprio dall’assunto che i pezzi assemblati per realizzare il macchinario fossero suoi. Assistito dall’avvocato Stefano Castiglione, il tecnico aveva spiegato di averli introdotti nell’istituto cinque anni prima, con il consenso degli allora dirigenti, e di avere deciso poi di smontare l’apparecchiatura in quanto inutilizzata da un paio d’anni e non in regola con la normativa anti infortunistica.
Tutt’altro che persuasi della genuinità della versione di Canciani, che in secondo grado si è costituito parte civile con l’avvocato Consuelo Fabbro e che ora dovrà restituire le somme nel frattempo incamerate, gli avvocati Scalettaris e Fragasso hanno osservato come Cantarutti avesse parlato semplicemente di una «irreperibilità» del materiale, cioè di «cose perfettamente vere», e ricordato che, nel mezzo tra la sua segnalazione e la denuncia penale, ci fossero state le risultanze dell’indagine disciplinare. Simili le argomentazioni dell’avvocato Plaino, che ha insistito sulla bontà dell’operato di Carletti e ricordato essersi limitato a trasferire all’autorità giudiziaria quanto segnalato e, successivamente, accertato in sede disciplinare.
Nessuno dei due, va da sé, poteva allora prevedere che il provvedimento di sospensione di cinque giorni dal servizio deciso nei confronti del tecnico sarebbe stato in seguito (dicembre 2020) annullato, in quanto illegittimo, dal giudice del lavoro.