foto da Quotidiani locali
Presidente Luca Zaia, prima Matteo Renzi, poi Carlo Calenda e infine anche la Cei, tutti bocciano la riforma sull’autonomia differenziata. Lei che è il principale sostenitore, come risponde?
«Io ho rispetto delle idee di tutti. Ma 2 milioni 273 mila cittadini veneti, pari al 98% dei votanti, hanno detto sì nel referendum per l’autonomia differenziata. Io non lo posso dimenticare. Il federalismo è centripeto, mentre il centralismo è centrifugo. Il modo migliore per creare spaccature o disuguaglianze è continuare con il modello centralista».
Però c’è un Paese che a volte sembra diviso in due.
«Questo Paese spesso viene descritto come un’Italia a due velocità. Le due velocità esistono ma non sono state create dall’autonomia, ancora mai applicata, bensì dal centralismo. Fossi al posto di chi difende lo status quo mi preoccuperei piuttosto di fare l’analisi di un modello che ha fallito, con assistenzialismo e mala gestio. Onde evitare dibattiti inutili, non mi riferisco agli attuali governatori ma a situazioni ereditate dal passato che portano ad avere alcune parti del Paese che sono chiaramente in difficoltà».
A cosa si riferisce?
«Trovo immorale, ad esempio, che ci siano cittadini costretti a fare le valigie per andare a curarsi fuori regione. Non è colpa dell’autonomia. È fondamentale fare una vera riflessione: autonomia è responsabilità, sfida positiva verso l’eccellenza, non compromesso centralista al ribasso. Ogni persona in tutto il Paese, da Nord a Sud, ha diritto di avere un ospedale in grado di dare risposte ai propri bisogni».
Però c’è un problema di risorse economiche.
«Finiamola di dire che se le cose vanno male, significa che il Nord ha avuto più risorse. È una balla. Ci sono regioni che non utilizzano i fondi comunitari. Il Veneto le investe fino all’ultimo centesimo, invece. E potrebbe usare più fondi di quelli che vengono assegnati, se fosse possibile. È un tema che deve essere affrontato. L’autonomia è una grande chance sia per il Nord ma soprattutto per il Sud. Il salto di qualità che possiamo fare noi con l’autonomia è minore di quello che potrebbe fare il Sud».
Perché allora la Conferenza episcopale italiana si esprime contro l’autonomia?
«La Chiesa si occupa delle anime, noi dei corpi. Posso garantire che il modello di autonomia non è stato fatto dalla banda Bassotti nottetempo. Questo modello nasce nel 1948 con la Costituzione repubblicana. Lo stesso Einaudi, nel presentare la Costituzione, disse: ad ognuno dovremmo dare l’autonomia che gli spetta. Nelle stesse ore nasceva la Costituzione tedesca, che era autenticamente federalista come la nostra. Solo che la nostra ha avuto una deriva centralista: si è optato per l’assistenzialismo. Se abbiamo debito pubblico di tale portata lo dobbiamo al fatto che nel passato si sono spesi soldi malamente».
Quindi come rassicurerebbe la Chiesa?
«C’è un illustre uomo del Sud, don Luigi Sturzo, grande riferimento della Chiesa cattolica, e lo dico da cattolico, che nel 1949 disse: sono unitario ma federalista impenitente. Posso rassicurare la Chiesa: questa riforma è anche un progetto di solidarietà».
Perché Renzi e Calenda dicono che non si farà mai?
«Forse la loro è una speranza. Renzi è caduto sul referendum e quel referendum prevedeva di fermare le Regioni. Quindi non è un mistero che sia contro l’autonomia. Quando fu approvato il referendum in Veneto, nel giugno 2014, il suo Governo lo impugnò. Un anno dopo la Corte ci diede ragione. Tutto questo per dire che sono posizioni che conosciamo».
Calenda però è un politico che parla con gli imprenditori veneti.
«Evidentemente parla con gli imprenditori sbagliati, perché qui vogliono tutti l’autonomia. Ci sono 2 milioni e 238 mila veneti tra cui gente della Lega, del Pd, dei 5 Stelle, che hanno votato il referendum. Ci vuole solo rispetto per questa gente. Sono milioni di persone, che vogliono dare ulteriore slancio al Nord Est e all’Italia».
Sempre Carlo Calenda sostiene che nella riforma dell’autonomia differenziata non si parla mai di tasse. Dice che i veneti non pagheranno un centesimo in meno di imposte.
«Tutta questa gente non l’ho mai vista proporre un progetto di autonomia alternativo al nostro. In ogni caso, è un sistema di virtuosità che viene premiato. Se il Pil della mia Regione cresce di più, perché sono più efficiente ad amministrare, tutti ci guadagnano».
In questi giorni è scoppiato il caso degli studenti musulmani di Treviso dispensati dallo studio della Divina Commedia, perché lede la loro sfera religiosa. Il Veneto si candida ad avere anche l’Istruzione tra le materie da gestire, ma anche la scelta dell’insegnante trevigiana è una forma di autonomia: tarare l’insegnamento in base alle esigenze. Non crede?
«Noi non abbiamo alcuna presunzione di cambiare i programmi scolastici. Magari proporremmo di studiare di più la storia della Repubblica Veneta che oggi si studia poco, ma il caso di Treviso è un’altra cosa. Da un lato mi sento di dire che ci stiamo indebolendo da un punto di vista di identità nazionale e mi chiedo come un insegnante, per eccesso di zelo, possa mettere in discussione uno dei pilastri della letteratura italiana. Poi però mi interrogo anche sul genitore che chiede di esonerare il figlio dallo studio di Dante: credo ci troviamo davanti a una posizione radicale fondamentalista. È un brutto campanello d’allarme».
In definitiva, questa riforma si fa o no?
«Io penso che se questo Paese non vuole portare i libri in tribunale ci deve essere una logistica istituzionale di modernità, per lasciarsi alle spalle il Medioevo del centralismo. Poi capisco che da Roma hanno un’altra visione del Paese ma noi che siamo in periferia abbiamo ben chiaro cosa serve».