Si è chiuso con tre condanne il processo per la sparizione di buoni e tessere carburanti dall’Autocentro di polizia per il Triveneto. Condannato per i reati di peculato e di estorsione a quattro anni e due mesi di carcere e a una multa di 3.500 euro Enrico Ferraretto, 52enne di Mestrino, ex poliziotto con funzioni di assistente capo; inflitti per estorsione due anni e quattro mesi e il pagamento di 1.700 euro di multa ciascuno (con l’interdizione temporanea dai pubblici uffici) a Gaspare Orazio Iraci, 60enne originario di Gela e già nei guai con la giustizia, e Franca Meneghetti, 54 anni, ex moglie di quest’ultimo e poi di Ferraretto.
Quest’ultimo dovrà anche pagare un risarcimento al Ministero dell’Interno che dovrà essere liquidato in un separato giudizio civile (Ministero che, difeso dall’Avvocatura di Stato, aveva presentato una richiesta di un milione e 200 mila euro). Infine tutti gli imputati dovranno versare un ristoro di mille euro, oltre alle spese legali, a carico dell’imprenditore Pietro Zen che, in un procedimento definito a parte, aveva chiuso il conto con la giustizia patteggiando la ricettazione di alcuni buoni e tessere carburante.
A difendere Ferraretto, Iraci e Meneghetti gli avvocati Andrea Frank ed Emanuele Scieri. Il pm Maria D’Arpa aveva chiesto la condanna per tutti: 5 anni per l’ex poliziotto, due anni e quattro mesi per i coimputati. Le difese faranno appello: le motivazioni della sentenza entro 90 giorni. Secondo le accuse – ora confermate da un primo grado di giudizio – Ferraretto si è appropriato di tessere elettroniche e buoni carburanti per un valore complessivo di 381.990 euro (tra il luglio 2016 e il settembre 2017 risultano sparite card per 600-700 euro a settimana) rivendute a prezzi scontati ad automobilisti. Tra questi risultava, appunto, Zen.
Ma quei buoni e tessere non erano affatto commercializzabili in quanto a disposizione dell’Autoparco delle forze dell’ordine che aveva una gestione gerarchica. E, nei gradini più bassi della scala, c’era l’allora assistente capo Ferraretto. Il 18 agosto 2017, in occasione di una verifica interna, si scopre un ammanco nella contabilità dell’Autocentro e, in particolare, la sparizione di una ventina di buoni e tessere.
Una commissione interna svolge una serie di controlli e i sospetti si concentrano su Ferraretto, mentre si identificano gli automobilisti privati (non operatori delle forze dell’ordine) che hanno fatto uso di quei benefit.
Tutti vengono interrogati e spunta il nominativo di Zen che viene indagato e perquisito: l’imprenditore spiegherà di essere stato “costretto” a comprare quei coupon in seguito a una visita avvenuta l’1 novembre 2017 da parte dei tre imputati che lo avevano diffidato a saldare un debito di mille euro (debito contratto con l’ex poliziotto).
La pubblica accusa ha sempre sostenuto che Ferraretto, peraltro con il vizio del gioco, avrebbe approfittato del suo ruolo di responsabile della sezione carburanti dell’Autocentro per impadronirsi di tessere e buoni carburante. E che avrebbe poi anche affittato un appartamento di sua proprietà a Iraci, già finito nei guai per traffico di droga e per rapporti con la malavita. Netto il dissenso della difesa che aveva sostenuto come non ci fossero prove. E che l’indagine sarebbe stata delegata a una commissione interna dell’Autoparco quando tutto l’ufficio avrebbe potuto (o dovuto) essere indagato. Alla fine il tribunale si è convinto che le prove della penale responsabilità siano chiare.