Undici anni fa aveva avuto problemi con la legge, poi aveva deciso di svoltare. Era fidanzato da poco più di un anno, lavorava in una vetreria della zona
Michael Boschetto avrebbe compiuto 32 anni il prossimo 25 maggio: lavorava come operaio in una vetreria della zona e la sera a volte come cameriere. Sognava di viaggiare, un avvenire, aveva tutta la vita davanti.
Abitava con il padre Federico e un tempo anche con la nonna, mentre la mamma Ilenia Piccolo non aveva pressoché mai vissuto con lui.
Ancora giovanissimo aveva vissuto una parentesi di vita delicata, che si era lasciato alle spalle.
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Passata l’adolescenza, era entrato nel giro dello spaccio di droga. Nell’ottobre di undici anni fa, appena ventunenne, era stato fermato dai carabinieri a Campodarsego e trovato in possesso di 30 grammi di mefedrone, una droga sintetica, che gli erano valsi l’arresto. Ma era davvero una pagina passata di vita, come raccontano amici e vicini di casa.
Da diversi anni aveva infatti cambiato vita e deciso di darle una svolta, di lavorare per poter girare il mondo e costruirsi un futuro.
«Mi aveva dato ascolto», racconta un amico di famiglia, «quando mi aveva confidato che voleva recarsi all’estero a lavorare, ad esempio in Germania, io gli avevo consigliato di trovarsi un lavoro qui vicino. Aveva trovato un posto alla vetreria Sunglass e la sera lavorava come cameriere. Voleva costruirsi un futuro».
Al bar, come in paese, tutti lo ricordano con le medesime parole: «Era un bravo ragazzo. Era cresciuto senza la mamma, e aveva avuto delle difficoltà in passato, ma oramai ne era uscito da tanto tempo e viveva una vita tranquilla». Anche al bar lo ricordano come un cliente gentile, che arrivava la sera con gli amici a bere qualcosa, senza mai causare problemi di nessun tipo. Un bravo ragazzo, insomma.
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Dopo il lavoro in vetreria Michael si trovava qualche sera al bar con gli amici di sempre, come era accaduto anche venerdì, la sera prima di morire.
«Ci eravamo visti venerdì sera intorno alle 20.30 e ci siamo salutati», racconta l’amico Giuseppe, «dopo aver trascorso una serata come tante. Quando al mattino la sua ragazza mi ha comunicato che era morto, credevo avesse avuto un incidente domestico, che fosse caduto dalle scale, che avesse battuto la testa. Non potevo certo pensare che qualcuno ce la potesse avere con lui al punto da ammazzarlo. Non aveva screzi con nessuno».
Giuseppe non si dà pace: lui e Michael erano amici fin da adolescenti. «Avevo 17 anni quando ci siamo conosciuti», aggiunge, «e abbiamo iniziato a frequentarci e da allora siamo sempre rimasti amici. Era una persona per bene, una persona buona. Da meno di un anno stava con Blen, che a volte veniva qui a casa sua. Con lei lo vedevo davvero felice. Non si può morire così, lui non doveva morire e soprattutto così: era sempre stato per me un grande e vero amico, mi aveva aiutato tante volte, mi ha sempre ascoltato quando gli parlavo dei miei problemi. Non è giusto, non lui, non se lo meritava».
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Pochi altri hanno voglia di parlare. I primi ad arrivare i via Gomiero, trattenuti dal nastro bianco e rosso posto dalle forze dell’ordine a impedire l’accesso alla scena del delitto, urlano la loro rabbia: perché Friso era libero di girare dopo essersi comportato in maniera così disturbata? Se lo domandano in molti.
Nemmeno il padre, chiuso in casa, ha voglia di parlare: il genitore preferisce non rilasciare dichiarazioni, stretto nel riserbo, nell’intimità e nel dolore.