Al Brescello, stagione 1994-95, il punto più alto nella carriera da allenatore, con la conquista della C1 festeggiata travestita da don Camillo. Al Cremapergo quello più basso, quando le tensioni con il presidente e il suo isterico fratello sfociarono in una clamorosa rissa nello spogliatoio. Paolo Chierico, classe 1951, pavese doc (nel senso di nato a Pavia, il 12 maggio di 73 anni fa, e qui sempre vissuto) ha da poco annunciato il suo addio alle panchine, dopo l’ultima esperienza al Casteggio, condotto alla salvezza in Eccellenza. Prima di fare il mister, tre lustri in campo, il numero 10 sulle spalle, come il suo idolo Gianni Rivera, la B assaporata col Como. «Sono cresciuto nelle giovanili del Pavia, allenato da Albani – spiega Chierico –. A lanciarmi in prima squadra, neppure 17enne, fu Brocchetta, nel 1968».
I compagni di squadra?
«In quel Pavia giocava Acquali, il papà di Dario. Ero il più giovane. Un Pavia in crisi che navigava nelle retrovie della D. Brocchetta mi fece giocare le ultime partite, quando la retrocessione era inevitabile. L’anno dopo, con il cavalier Fortunati alla guida del club, l’allenatore Zibetti mi dette fiducia e divenni titolare. A fine stagione venni ceduto al Como, in B. Poi tanti anni in C: Rovereto, La Spezia, Solbiate».
Il ritorno al Pavia?
«C’era Migliorini presidente e Gigi Bisleri allenatore. Lo avrei ritrovato, tanti anni dopo, da direttore sportivo dell’Oltrepo di Tino Rovati, che riportai in C2. Quell’anno col Pavia fummo promossi in C».
[[ge:gnn:laprovinciapavese:14320118]]
L’episodio curioso?
«Sempre al Pavia. In panchina c’era Ambrogio Pelagalli. Mi faceva giocare ma tra noi non c’era feeling. In una partita casalinga contro il Marzotto, feci due gol al volo, uno di destro e uno di sinistro. Al secondo gol, Pelagalli si alzò di scatto dalla panchina e corse in campo per venirmi ad abbracciare, io lo evitai con una finta e andai incontro ai miei compagni. Pelagalli ci rimase molto male».
Le scarpette al chiodo?
«Dopo la rottura del crociato. Avevo 33 anni, ero tornato momentaneamente al Como in attesa di trovare una nuova sistemazione. Decisi di smettere».
Subito dopo cominciò ad allenare.
«Sì. Ho iniziato con la scuola calcio nel Pavia. L’amico Chicco Falerni, che aveva appena smesso di giocare a pallacanestro, curava la parte atletica».
Ventisei società diverse dal 1984 al 2024. La soddisfazione più grande?
«La C1 conquistata col Brescello e la C2 con l’Oltrepo».
[[ge:gnn:laprovinciapavese:14320120]]
Il Pavia?
«Ci arrivai nell’ultimo anno di Achilli che poi andò a Livorno. Gli fece prendere Stefan Schwoch dal Crevalcore, lo rivendette al Ravenna dopo un paio d’anni per più di un miliardo».
Lei passa per un sacchiano ortodosso...
«Sacchiano e prima zemaniano. 3-4-3 il modulo preferito, ma ho giocato spesso anche con la difesa a quattro».
La maggiore delusione?
«Al Cremapergo. Un sabato mattina, mi avvicina il fratello del presidente Bianchi e mi dice con tono perentorio che l’indomani in porta deve giocare Arti, uno dei 5 nuovi arrivati dalla Reggiana che aveva promesso una cifra consistente per ogni partita giocata. Io ribatto che la formazione ormai è fatta. Lui se ne va visibilmente irritato. La domenica consegno la distinta al segretario, Arti non è titolare. Allora il presidente convoca il portiere che deve giocare al suo posto e lo minaccia di non pagargli più il “nero”. Il ragazzo viene subito da me a lamentarsi, dice che ha famiglia e a quei soldi non può rinunciare. Mi rassegno e faccio giocare Arti. Se la cava, ma nei minuti finali su uno spiovente innocuo fa una papera e perdiamo 1-0. Nel dopopartita, il fratello del presidente viene nello spogliatoio e mi fa: “Mister, lei ha bisogno di 15 giorni di riposo”. Gli rispondo: “Guardi che in pochi anni ha già cambiato sei allenatori”. Lui per tutta risposta mi sferra un pugno in faccia. Un giocatore allora reagisce colpendolo a sua volta con un pugno. Mi aveva preso di striscio ma andai comunque al pronto soccorso a farmi refertare. Un mese più tardi, dopo una sconfitta 2-1 a Crema con la Pro Vercelli di Motta, venni esonerato».
Veniamo all’oggi. L’Oltrepo promosso in D, il Pavia ancora al palo.
«Le vittorie le costruisce chi comanda, scegliendo collaboratori validi. Catenacci ha scelto le persone giuste, ha avuto le idee chiare sugli obiettivi. Quella del Pavia è una realtà che conosco dall’esterno, so che il presidente Nucera ha sempre onorato gli impegni, ma evidentemente c’è qualcosa che non funziona nella conduzione societaria».
