foto da Quotidiani locali
PAVIA. Un “fermoimmagine” della città medioevale. L’affresco della veduta di Pavia, nella controfacciata della basilica di San Teodoro, compie 500 anni. Domenica 21 aprile, alle 16, l’associazione Amici di San Teodoro accompagnerà i visitatori in un viaggio a ritroso nel tempo, quando la torre di Boezio e quella del Pizzo in giù ancora svettavano alte nello skyline della città, il cardo maximus della romana Ticinum - l’attuale Strada Nuova - correva in linea diretta da Nord a Sud verso il ponte, senza piegare il suo corso come fa oggi, e la grande cupola del Duomo ancora doveva essere costruita, anche se era già stato aperto un cantiere nelle due chiese gemelle.
I due affreschi
L’affresco, o meglio i due affreschi in San Teodoro che ritraggono la città , attribuiti al pittore di San Colombano Bernardino Lanzani, sono un prezioso documento iconografico e storico, giunto fino a noi attraverso i secoli.
Tra ipotesi (tante) e certezze (poche) ci si muove nella ricostruzione di storie, leggende e tradizioni della Pavia antica.
E un po’ di mistero ammanta anche gli affreschi della basilica, la più appartata del centro storico, che si mostra all’improvviso dopo aver percorso un dedalo di viuzze buie. Tanto per cominciare le vedute della città sono due: una, affrescata sulla parete laterale della navata sinistra, dovrebbe essere la più antica, anche se di poco.
Della sua esistenza ci si accorse durante i lavori di restauro del 1956. Era rimasta incompiuta ed era stata coperta da quella poi diventata più celebre (staccata e spostata in controfacciata) con l’imponente figura di Sant’Antonio Abate benedicente, seduto all’ingresso del Borgo, di spalle alla città e al castello dei Visconti. Entrambi gli affreschi sono attribuiti alla mano del Lanzani o quantomeno alla sua bottega.
E un mistero riguarda proprio il doppio affresco: perché coprirlo con un altro dal soggetto analogo? Le teorie secondo le quali il pittore avrebbe notato difetti di prospettiva e avrebbe voluto correggerli hanno perso via via consistenza.
Un voto per la salvezza dall’assedio
E’ certo invece che si tratti di un lavoro votivo, commissionato, come attestano i documenti d’archivio, come ex voto civico per la vittoria nell'assedio del 1522 da parte degli spagnoli. Vi si scorgono facilmente soldati lanzichenecchi armati, intenti in combattimenti nei pressi del castello e attorno alle mura.
Se il termine post quem è sicuro (la data dell’assedio), qualche dubbio sorge sul termine ante quem, che dovrebbe corrispondere alla consegna dell’opera.
Il 13 marzo 1523 Lanzani firma un contratto con il "protonotario apostolico, prevosto e restauratore" della chiesa, pavese di S. Teodoro, Luchino Corti, con il quale si impegna, a saldo di un debito, a eseguire gli affreschi con le Storie della Maddalena nella cappella omonima, poi distrutta, e dei quali sopravvive solo un piccolo frammento con il Redentore.
E si è discusso a lungo sull’attribuzione, tra lui e l'anonimo maestro delle Storie di S. Agnese per le due versioni affrescate della veduta di Pavia. Se però si dà per certa l’attribuzione a Bernardino Lanzani allora il campo temporale si può restringere fino a individuare il 1524 come anno in cui viene terminato il grande affresco.
Bernardino condannato a morte
E’ infatti quello l’ultimo periodo di permanenza del pittore a Pavia. Si sposta tra Pavia e Pieve Porto Morone. E proprio nel borgo al confine della provincia, la sera del 1° giugno 1525, ferisce a morte, al culmine di un diverbio, un tal Bartolomeo da Lossano. Costui pare lo colpisca per primo e Lanzani reagisce accoltellandolo.
Non gli resta che fuggire, ripara a Bobbio, accolto nell’abbazia. Viene però condannato, in contumacia, alla pena capitale: taglio della testa, confisca di tutti i beni e l'estradizione dai territori soggetti alla giurisdizione della contessa Sforza. —