VIGEVANO. Il prestito veniva elargito con ogni rassicurazione e la promessa di un aiuto a superare quel momento di difficoltà economica. Poi le regole cambiavano e il “benefattore” si trasformava in aguzzino. I tassi di interesse salivano fino al 150% e scattavano le minacce e la violenza in caso di mancato pagamento dei debiti. Questo, almeno, è il quadro che emerge dalle indagini dei carabinieri della compagnia di Vigevano, che hanno arrestato due persone e ne hanno denunciate altre due per le accuse di usura ed estorsione.
In carcere sono finiti Robert Ferataj, 55 anni, e Kujitim Gecai, 40 anni, entrambi di origine albanese e residenti a Vigevano. Nell’inchiesta sono indagati a piede libero anche George Ionut Andrei, di origine rumena, e Davide Gallo, di 61 anni.
Secondo l’indagine coordinata dalla magistrata Giuliana Rizza il gruppo (anche se con ruoli differenziati) avrebbe gestito un giro di usura ai danni di alcuni vigevanesi. Tre, finora, le vittime accertate: tra loro c’è anche un dentista, titolare di uno studio a Vigevano. Gli arrestati saranno interrogati nei prossimi giorni.
I prestiti fuori legge
Secondo le indagini dei carabinieri, Ferataj sarebbe stato a capo della banda. Lo schema, per l’accusa, era questo. L’uomo in un primo momento concedeva prestiti con facilità a persone in stato di bisogno, tra cui anche piccoli imprenditori che avevano necessità di liquidità in poco tempo e senza la possibilità di ottenere finanziamenti da canali regolari, quindi banche o altri istituti di credito. Il 55enne, secondo l’accusa, aiutava le proprie vittime prestando il denaro, poi pretendeva la restituzione delle somme in tempi brevissimi e con tassi da usura, anche del 150% e oltre. In caso di mancato pagamento scattava la seconda fase.
Le minacce
In poco tempo le vittime si ritrovano in trappola. Finivano infatti per essere minacciati di morte in un clima estorsivo, fatto anche di violenze, in cui entravano in campo, secondo la ricostruzione dell’accusa, gli altri due stranieri, Gecai e Andrei. Le vittime, sempre secondo l’accusa, venivano minacciate e pressate affinché pagassero i loro debiti. Gli indagati si sarebbero anche presentati sul posto di lavoro delle vittime, armati di manganello. In una occasione una vittima, che non poteva pagare, sarebbe stata costretta a svendere a uno degli estorsori, per poche migliaia di euro, il fuoristrada di sua proprietà, con la minaccia di ritorsioni nei confronti dei propri cari.
Alla fine una delle vittime ha deciso di denunciare. L’ordinanza di custodia cautelare, firmata dalla gip Daniela Garlaschelli, è stata notificata nella serata di mercoledì. I due arrestati sono stati portati in carcere a Torre del Gallo. Entrambi sono difesi dall’avvocato Fabio Santopietro e questa mattina saranno interrogati.
Il ruolo degli altri due indagati
Gli altri due indagati sono stati perquisiti, ma avrebbero avuto un ruolo più marginale nella vicenda. Il 61enne, in particolare, avrebbe svolto la funzione di intermediario nella locazione di un appartamento, di proprietà di una vittima, che sarebbe stata costretta ad affittare a uno straniero e a cedere al suo usuraio la caparra e l’affitto, a titolo di risarcimento parziale del debito. Nelle perquisizioni sono stati sequestrati circa 14mila euro in contanti, oltre a un manganello e un tirapugni. Le indagini proseguono per verificare l’eventuale esistenza di altre vittime, che spesso non denunciano.
«Chi è vittima di usura non deve avere timore di rivolgersi alle autorità – spiegano i militari in una nota –. Inoltre non è necessario che la segnalazione provenga dalla vittima, ma anche un familiare, un amico o un collega, che si accorge dell’esistenza di una situazione di pericolo, può denunciare il fatto in un qualsiasi ufficio delle forze dell’ordine».
I precedenti – Negli anni ’90 l’arresto del clan Valle
Prestiti a interessi altissimi, commercianti e imprenditori con l’acqua alla gola finiti nell’incubo dei ricatti e delle minacce. Vigevano ha già conosciuto il volto dell’usura svelato da inchieste che hanno segnato la storia della città. Risalgono ai primi anni Novanta gli arresti dei componenti del clan Valle. Nella rete della famiglia calabrese trapiantata a Vigevano finirono piccoli imprenditori e commercianti, e fu il coraggio di una di loro, Maria Grazia Trotti, a fornire materiale per le indagini e trasformare in prove quelli che erano sospetti. Seguirono processi in vari gradi di giudizio che portarono a condanne definitive. I beni del clan (ville, bar, appartamenti) furono confiscati e destinati a scopi sociali. La famiglia si trasferì nel Milanese. Da allora a Vigevano non furono registrati casi di usura di quelle dimensioni, ma episodi meno eclatanti dimostrarono che il fenomeno esisteva con altri protagonisti e altre vittime.