La donna costretta a ricorrere al giudice per far valere la legge che stabilisce l’indennità anche dopo la fine del contratto
PAVIA. Per vedersi riconosciuto il diritto al pagamento dei cinque mesi di maternità obbligatoria è stata costretta a ricorrere al Tribunale, che le ha dato ragione condannando il Ministero dell’istruzione a versarle 7.800 euro. Un’odissea tra norme e burocrazia quella vissuta da una maestra precaria di 35 anni di Pavia, che, sostenuta dall’avvocata Francesca Brusoni, ha dovuto far valere davanti alla giudice Donatella Oneto un principio già stabilito dalla legge, è cioè il diritto a percepire la maternità anche dopo la scadenza del contratto di lavoro, in sostituzione della disoccupazione (che viene congelata).
Il contenzioso è nato da una diversa interpretazione della norma, da parte del Ministero, che regola le cosiddette “indennità di maternità fuori nomina”, cioè quelle riconosciute anche dopo la scadenza del contratto a tempo determinato. La legge stabilisce che dopo due mesi «dalla risoluzione del contratto», se la lavoratrice si trova «all’inizio del periodo di congedo disoccupata, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità anziché all’indennità ordinaria di disoccupazione».
Nel caso specifico la donna era stata assunta in una scuola di infanzia di Pavia con un contratto a tempo determinato, da ottobre 2020 fino a giugno 2021. A maggio, un mese prima della scadenza del contratto, scopre di essere incinta ed entra in maternità anticipata. A luglio, dopo la fine del contratto, fa domanda per la Naspi, l’indennità di disoccupazione, e poi, convinta che non ci sarebbero stati problemi, all’inizio della maternità obbligatoria, due mesi prima del parto, chiede all’istituto dove ha prestato lavoro (che interviene al posto dell’Inps nel caso della pubblica amministrazione) di usufruire della maternità.
La dirigente scolastica accoglie la domanda e manda tutto alla Ragioneria territoriale dello Stato, per il pagamento dell’indennità. Ma la Ragioneria respinge la domanda. La pratica quindi torna alla scuola e poi al Ministero dell’Istruzione, che spiega che il pagamento non è possibile perché la piattaforma telematica non riconosce la casistica in cui ricade la 35enne. Alla quale non resta che appellarsi al tribunale. «Ho affrontato la causa grazie a una funzionaria dell’Inps che vedendomi disperata, quando ero ormai al nono mese, mi dedicò del tempo e mi sostenne – racconta la maestra –. Per fortuna nella pubblica amministrazione ci sono anche persone così».