«Ho cominciato per caso: ero a Sarajevo proprio quando si scatenò la fase più cruenta dell’assedio. Scrivevo su una vecchia macchina da scrivere recuperata tra le macerie e dettavo i pezzi al dimafono, nella sede della Mezzaluna rossa, pagando ogni volta 200 marchi tedeschi, dopo aver attraversato a piedi tutta la città, tra i colpi dei cecchini e le granate d’artiglieria che scoppiavano ovunque». Francesco Battistini, classe 1961, bergamasco, da trent’anni inviato di guerra del Corriere della Sera, dopo l’esordio giornalistico all’Eco di Bergamo, e le esperienze al Giornale e alla Voce di Indro Montanelli, sarà giovedì al collegio Cairoli di Pavia per raccontare com’è cambiato il suo mestiere da allora a oggi e l’impatto delle nuove tecnologie sul modo di fare informazione.
Tra la metà dei Novanta e gli ultimi conflitti, ha scritto da tutti i fronti caldi: Balcani, Libia, gli Stati Uniti dopo l’attentato dell’11 settembre, Afghanistan, Iran, Ucraina e Medio Oriente.
Galeotta Sarajevo
«Andai in Bosnia al seguito di un gruppo di volontari lecchesi che portavano aiuti. Doveva essere un soggiorno di pochi giorni, restammo bloccati un mese durante i bombardamenti. Scrissi lì i miei primi reportage di guerra. I rischi erano gli stessi della popolazione civile, i giornalisti in quella situazione condividevano i destini degli abitanti di Sarajevo. Dormivo in una vecchia fabbrica abbandonata, insieme ai lecchesi. Poi ho seguito le fasi successive dell’assedio, sono stato più volte in Bosnia e in tutta l’ex Jugoslavia. Più avanti la guerra civile in Albania, il Kosovo e la missione italiana. E così via».
Si è mai trovato faccia a faccia con la morte?
«Sicuramente sì. Anche se quasi sempre te ne accorgi a cose fatte di essere finito in situazioni complicate. Soprattutto se regna il caos ed è impossibile o quasi distinguere le bande paramilitari dai civili».
E’ mai stato arrestato?
«In Iraq, nel 2003. C’era ancora Saddam. Trascorsi dodici giorni in carcere. Poi anche in Libia. Ferito, per fortuna, mai».
In Ucraina?
«C’ero già stato nel 2015, durante la crisi del Donbass e l’annessione della Crimea. Poi a dicembre 2021, quando Biden disse che tempo due mesi e ci sarebbe stata l’invasione. Ho girato tutta l’Ucraina, negli ultimi giorni prima dell’attacco russo era chiaro che qualcosa sarebbe accaduto, ma gli ucraini non si aspettavano un’offensiva su così larga scala, nè il tentativo di prendere Kiev».
Devo chiederglielo: a suo avviso, come finirà?
«A meno di un ribaltamento a Mosca, credo si dovrà arrivare necessariamente a una spartizione dell’Ucraina. Qualcosa Kiev dovrà cedere. Ad esempio la Crimea. Fateci caso, ma a Kiev da mesi nessuno ne parla più».
Stessa domanda su Gaza.
«Un’altra situazione lasciata incancrenire per vent’anni. E’ chiaro che la Striscia non poteva sopravvivere chiusa in quel modo all’esterno, ed è altrettanto evidente che i nodi irrisolti della politica di ipersicurezza di Netanyahu stanno venendo al pettine. Il problema è che non ci sono più interlocutori, non c’è più un negoziato di pace. Una soluzione politica non si è trovata in vent’anni».
Come se ne esce?
«Innanzitutto con un cessate il fuoco. Poi l’intervento di una forza di interposizione, a meno che gli israeliani non vogliano mantenere l’occupazione militare. Penso che bisognerà necessariamente mettere in piedi una forma di amministrazione civile provvisoria».
Dalla macchina da scrivere a pc, smartphone e social.
«In trent’anni è cambiato tutto. Ora il lavoro dell’inviato di guerra è più “schizzato” e meno approfondito. Arrivare per primo sulla notizia contava anche prima, ma allora ci stavi sopra per giorni, adesso la bruci in un attimo. Conosco dei vecchi giornalisti americani e inglesi che hanno cambiato mestiere proprio perché non ci si ritrovavano più. Adesso con la raffica di siti e fonti, è più complicato verificare la fondatezza delle notizie. E con l’intelligenza artificiale cambierà di nuovo tutto. Chi potrà escludere che le intercettazioni sono dei falsi clamorosi? Lo abbiamo già constatato nella vicenda del bombardamento dell’ospedale di Gaza: le voci dei miliziani di Hamas sono vere o false?».
