In aula gli i legali hanno negato che i loro assistiti possano avere colpe perché subalterni nelle gerarchie di un sistema organizzativo complesso che rispondeva a strategie generali su cui non avevano il potere di intervenire
I dirigenti del gruppo Fs, imputati e condannati nel processo della strage ferroviaria di Viareggio (Lucca) del 29 giugno 2009, seguivano le indicazioni strategiche poste dai vertici societari, anche quelle inerenti alla scelta di noleggiare e affidare la manutenzione dei carri merci a società all'estero, pertanto a loro carico non si possono addebitare colpe e, anche se avessero proposto soluzioni diverse o messo in guardia Fs dai rischi, le loro istanze non avrebbero avuto nessun potere di cambiare tali scelte né di impedirle. In buona sostanza è ciò che hanno sottolineato i difensori di alcuni dirigenti del gruppo Fs stamani al processo di appello bis a Firenze.
In aula ha seguito la discussione l'ingegner Mauro Moretti, già ad Fs e in precedenza di Rfi, il quale nelle pause ha commentato in modo riservato coi vari legali gli interventi difensivi proposti. L'avvocato Alberto Mittone, difensore di Mario Castaldo, direttore divisione Cargo Trenitalia (6 anni di condanna nel primo appello) ha ribadito che il suo assistito, come altri dirigenti delle Fs, agiva in un sistema complesso che dava garanzie sia rispetto alle indicazioni delle agenzie sulla sicurezza ferroviaria, sia per norme e regolamenti vigenti, sia per l'organizzazione interna, sia pure per i documenti che la società esterna Gatx forniva su carri e manutenzioni.
Per Fs "si parla di una realtà complessa di 12.000 dipendenti e di oltre 2 milioni di carri merci", ha evidenziato l'avvocato, "non è realistico pensare che egli sia stato informato con una struttura di questo genere e con questi numeri" e "non c'è prova che sia stato messo al corrente", "di un problema di sicurezza ferroviaria come quello di cui stiamo trattando", il cedimento dell'assile corroso di un carro del treno con gas Gpl che deragliò. Mittone ha indicato anche l'opportunità di "ricostruire il grado di informazioni che si sono scambiati altri, i titolari di queste informazioni interne" sul movimento dei carri.
Nella difesa di Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia (6 anni di condanna al primo appello), lo stesso avvocato Mittone ha esortato a "non lambiccarsi sull'ordinanza Eba", ente ferroviario tedesco per la sicurezza, "del 2007 come se" non seguirla "fosse origine di tutti i mali. Era limitata alla Germania, forse poteva essere immediatamente esecutiva ma è stata sempre considerata superficiale nelle sue indicazioni. Ci sono cavalli di battaglia accusatorii ben addestrati come questo che non portano a nulla" perché "il sistema veniva gestito e corretto dai numerosi attori che per le rispettive competenze agivano sulla circolazione ferroviaria in Italia".
Lo stesso legale ha ricordato che l'Ansf, l'Agenzia italiana per la sicurezza ferroviaria "nel 2008 fa una relazione in cui non dice niente sui carri merci esteri, affronta altri temi, che riguardano i passeggeri o i cantieri, ma non fa nessuna censura sul tema dei carri noleggiati all'estero. Se ci fosse stato qualcosa da evidenziare Ansf lo avrebbe detto, invece su questa tema non dice nulla".
"Non è vero che omisero il controllo, era la norma che diceva che non era necessario il controllo" sulla manutenzione dei carri, ha invece detto l'avvocato Cesare Piazza, difensore di Emilio Maestrini (4 anni nel primo appello), responsabile unità produttiva direzione ingegneria, sicurezza e qualità di Trenitalia.
"Seppure Maestrini avesse svolto un semplice tracciamento documentale, immaginato salvifico dalla corte di mezzo, non sarebbe servito a niente", ha detto l'avvocato Piazza, "e comunque - ha sottolineato - come poteva pretendersi da un semplice dipendente di mettersi in contrasto con le scelte strategiche dei vertici del gruppo, con deliberazioni che lo avevano preceduto nel tempo e che trovò consolidate?". "Ciò non è giuridicamente esigibile", ha proseguito, "non si può negare che le decisioni strategiche apicali non possono essere incolpate a chi è subordinato nella scala gerarchica". Per Piazza "se anche Maestrini avesse espresso pareri contrari, essi non avrebbero avuto nessun potere impeditivo" su "scelte strategiche di alta amministrazione che potevano adottare solo i vertici aziendali del gruppo Fs".
LA REAZIONE DEI FAMILIARI
"Di nuovo gli avvocati degli imputati offendono la città e i suoi cittadini. Lo fanno in punta di diritto, con parole che sono pugni allo stomaco, lame che ti trafiggono nuovamente e alimentano un dolore mai svanito. Ci sarebbe da replicare in aula battendo i pugni, facendo ingoiare ogni singola falsa affermazione". Lo scrivono su Fb familiari delle 32 vittime della strage ferroviaria di Viareggio dell'associazione "Il Mondo che vorrei", riguardo all'udienza odierna del processo di appello bis a Firenze, in cui hanno discusso i difensori dei dirigenti di società del gruppo Fs negando che abbiano colpe poiché subalterni nelle gerarchie di un sistema organizzativo complesso che rispondeva a strategie disposte dai vertici del gruppo Fs. La stessa onlus nel post ha sottolineato "quanto questa città non si è piegata alla prepotenza ma continua a camminare a testa alta e a schiena dritta, dichiarando che questo è un valore che non può essere liquidato con pochi spiccioli, ci sarebbe ma non c'è più possibilità". "C'è solo da nascondersi e stare in silenzio... dalla vergogna", ha concluso Il Mondo che vorrei.