Il pm chiede il rinvio a giudizio per i titolari, due bagnini e il fornitore dell’impianto dove avvenne l’incidente. Cinque pratesi alla sbarra per la tragedia
PIETRASANTA. Il 17 luglio 2019, all’Opa di Massa, quattro giorni dopo l’incidente avvenuto nella piscina del bagno Texas di Marina di Pietrasanta, moriva Sofia Bernkopf, 12 anni, di Parma. Oggi, due anni e mezzo dopo la tragica scomparsa di Sofia, a chiusura delle indagini, la Procura di Lucca chiede il rinvio a giudizio per otto persone, indagate a vario titolo per il reato di omicidio colposo. Richiesta, quella a firma del pubblico ministero del Tribunale di Lucca Salvatore Giannino, che coinvolge i i cinque proprietari dello stabilimento balneare, Edo Cafissi, le sue due figlie Elisabetta e Simonetta e i rispettivi mariti Mario Marchi e Giampiero Livi – tutti di Prato – e ancora i i due bagnini Emanuele Fulceri di Viareggio e Thomas Bianchi di Camaiore ed Enrico Lenzi, quest’ultimo fornitore-installatore della piscina.
Una morte quella della piccola Sofia per la quale erano state inizialmente indagate 12 persone. Quel 13 luglio, la dodicenne, in vacanza in Versilia con babbo Edoardo e mamma Vanna, lo aveva trascorso fra il mare e la spiaggia come tante volte in precedenza: Sofia, che frequentava la prima media insieme al fratellino gemello, mentre stava giocando con i suoi coetanei si tuffò in una vasca per l’idromassaggio profonda appena ottanta centimetri. Vasca da cui non riemerse: si ipotizzò a causa della potenza del bocchettone dell’idromassaggio, dove rimasero attaccati i capelli della bambina così come si parlò di un gioco fra bambini finito male. Ipotesi, appunto, su cui si farà chiarezza in sede di tribunale.
Furono alcuni coetanei di Sofia a dare l’allarme con la piccola che arrivò all’Opa di Massa in arresto cardiocircolatorio: nonostante il ricorso all’Ecmo, una macchina che fa le veci di cuore e polmoni, il danno dovuto alla mancanza prolungata di ossigeno si rivelò, come temuto, irreversibile.
Gli accertamenti tecnici eseguiti durante le indagini condotte dalla Capitaneria di porto di Viareggio avevano riguardato sia il funzionamento delle vasche sia il sistema idraulico dello stabilimento. Prove poi consegnate ai consulenti tecnici del pm Giannino, che hanno rivestito un ruolo fondamentale anche perché i filmati delle telecamere su quanto avvenuto quel giorno al bagno Texas non erano stati salvati.
Nei giorni successivi alla tragedia, Edoardo Bernkopf, padre di Sofia, a quella domanda, «perché la nostra bambina», aveva replicato con le parole segnate da un dolore che travalicava ogni senso e percezione, ma prive di una qualsiasi rabbia. «L’unica risposta – fu il sussurro del padre – è che il Signore aveva bisogno di angeli, e, se è così, di certo ha scelto bene». Quelle stesse parole che ancora oggi destano una profonda commozione in una Versilia che mai potrà dimenticare quell’ordinario, tranquillo e poi tragico pomeriggio di luglio.
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