L’emozione del disegnatore di Peccioli già star negli Usa. «Questo fumetto mi ha davvero cambiato la vita»
Ha avuto il coraggio di farsi guidare dalla passione. E di ascoltare il suo talento. Quel mondo in bianco e nero dei fumetti in grado, invece, di raccontare storie dai mille colori diversi. Riccardo Burchielli, fumettista di Peccioli, ha deciso di licenziarsi da un lavoro che amava e che gli dava sicurezza e si è buttato anima e corpo sul mondo dei comics. Una passione che, dopo le prime fanzine autoprodotte, lo ha presto portato prima al debutto come disegnatore nel 1998 per Marco Editore, poi a collaborare nella serie “John Doe” (Eura Editoriale) cinque anni più tardi.
La svolta arriva nel 2005, quando l’allora 30enne Burchielli entra in contatto con l’editor americano Will Dennis che gli propone una collaborazione e lo mette in contatto con lo sceneggiatore Brian Wood, con il quale crea la serie “DMZ”, pubblicata dall’etichetta Vertigo della DC Comics. Un successo enorme negli Usa che lo rende un artista di fama internazionale. Oggi quella miniserie fanta-politica di ambientazione distopica, purtroppo attualissima visto la guerra combattuta anche casa per casa in Ucraina, diventa una serie tv prodotta da Hbo Max. La stessa che ha lanciato, tra le tante, serie come “I Soprano”, “Sex and the City” e “Il Trono di Spade”.
«Sono un grande appassionato di cinema, quindi sono davvero emozionato nel vedere come il fumetto in grado di cambiarmi la vita sia diventato una serie tv, è davvero un sogno che si realizza – racconta Burchielli – La storia si differenzia un po’ da quella del fumetto, ma l’ambientazione è fedele a quella che ho sempre disegnato per la serie DC Comics dal 2006 al 2012. Siamo nel futuro prossimo, dopo che un’aspra guerra civile ha reso Manhattan una zona demilitarizzata, DMZ appunto, distrutta e isolata dal resto del mondo». La protagonista, a differenza del fumetto, è la dottoressa Alma Ortega (interpretata da Rosario Dawson) che intraprende un viaggio straziante per ritrovare il figlio che ha perso durante l’evacuazione di New York City, all’inizio del conflitto. Sulla sua strada troverà gang, milizie, demagoghi e signori della guerra, tra cui Parco Delgado (Benjamin Bratt), il popolare – e letale – leader di una delle bande più potenti della DMZ.
«La produzione della miniserie è stata veloce dopo l’acquisto dei diritti da parte di Hbo Max, questo nonostante il periodo di pandemia, che mi ha impedito di essere negli studios di Atlanta, sul set del film – racconta ancora il fumettista pecciolese – Non vedo l’ora di vedere il risultato finale del lavoro della regista Ava DuVernay e dello sceneggiatore e show runner Roberto Patino. Quello di oggi sarà un lancio mondiale, che coprirà Belgio, Australia, America Latina, Sud-Est dell’Asia, Nuova Zelanda e buona parte dell’Europa».
Per i disegni del fumetto, Burchielli si è sempre basato sui reportage di guerra. «Ho sempre cercato di ricreare nei miei fumetti qualcosa di realistico. Ricordo una scena nei primi due numeri di “DMZ” ambientata in un ospedale per bambini improvvisato tra i palazzi distrutti. Per disegnarlo mi sono ispirato a dei libri fotografici sulla guerra in Afghanistan, per fare un esempio. Purtroppo il tema della guerra è molto attuale, e non lo è solo oggi. Le guerre non mancano mai nella storia dell’umanità, purtroppo. Quello che arriva dall’Ucraina è impressionante, alcune immagini sembrano davvero riprese dai disegni e dalle pagine di “DMZ”. Penso alle colonne di persone in fuga dalle grandi città, i mezzi incolonnati, alla devastazione degli edifici, ai morti» .
Per Burchielli, al di là dei riferimenti attuali, è l’ennesimo riconoscimento di una carriera prestigiosa. Iniziata con un editor della Vertigo che, colpito dai suoi lavori in mostra a una fiera di Roma, gli inviò sei mesi dopo una mail con una proposta. L’editor era Will Dennis, la proposta era “DMZ”. Un impegno che per sette anni ha coinvolto Burchielli, insieme allo sceneggiatore Brian Wood, ogni giorno della propria vita. «Per me è stato come crescere un figlio e un po’ oggi è come vederlo uscire di casa da solo per la prima volta».
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