L’agronomo Italo Sapere: «Il bene batte il male, la macchia mediterranea sa come fare a riprendersi più forte di prima»
CAVOLI. Castancoli quattro mesi dopo: la rivincita della natura sull’incendio. La zona panoramica sopra Cavoli, nel sud ovest dell’isola, è un luogo tristemente e periodicamente protagonista delle cronache, a causa dei roghi. Fiamme che potrebbero essere dolose, ma la mano che appicca il fuoco non è mai stata trovata. L’ultimo episodio risale al 16 ottobre 2021: le fiamme divamparono potenti bruciando oltre 40 ettari e mettendo a rischio gli abitanti di alcune case. Massiccio e lungo fu l’intervento di volontari, forze dell’ordine e vigili del fuoco impegnati anche con elicotteri e canadair per domare l’incendio. Una battaglia durata un giorno e una notte che lasciò un deserto di cenere, ma ora tante piante sono già piene di germogli alla loro base.
Arrivando nell’area attraverso il sentiero che parte da San Piero, a prima vista lo scenario mostra un grigiore totale e le piante annerite dal fuoco. Ma vicino al terreno spicca un verde vivo e sono tante foglioline nuove. «È la rivincita della natura sul male spesso generato dall’uomo», afferma Italo Sapere, agronomo dell’azienda agricola Sapereta di Porto Azzurro, che ci spiega i vari aspetti della ripresa descrivendo quasi una vittoria del bene sul male. Non solo: il rogo, come informa Gian Mario Gentini del locale Circolo culturale Le Macinelle, ha anche riportato alla luce gli antichi terrazzamenti un tempo ricoperti di vigne e dove si coltivava anche il grano marzolino.
«Boschi e foreste sono un “capitale naturale” da tutelare nell’ottica di un reale sviluppo sostenibile – sottolinea Sapere –. Il danno provocato dagli incendi è spesso rilevante economicamente. Per fortuna le piante della vegetazione mediterranea hanno una capacità di reazione alla distruzione operata dal fuoco. E sono gli incendi ad aver favorito l’evoluzione della macchia mediterranea e le diverse specie nostrane hanno sviluppato adattamenti per meglio fronteggiare questi eventi negativi. Alcune piante hanno strategie riproduttive alternative tramite polloni radicali (un germoglio prodotto direttamente dalla radice, ndr) o semi con un germogliamento che è favorita proprio dal fuoco. Nel primo caso si tratta di riproduzione vegetativa e avviene attraverso l’emissione di nuovi germogli, mediante tuberi, rizomi, bulbi, che la pianta emette dalle radici quando chioma e tronco vengono danneggiati dal rogo. Altre piante hanno invece un tipo di seme il cui sboccio è favorito dal calore».
Dopo il passaggio del fuoco, specifica Sapere, le prime piante a germogliare sono le ginestre, le ortiche, la felce aquilina e altre piante erbacee. Tutte sono capaci di trattenere il terreno con le loro radici. Dopo alcuni mesi i cisti, ma anche alcune latifoglie, come sughere, lecci, olivi, ripartono ricacciando polloni dalle radici, che in genere non sono danneggiate dal fuoco perché il calore non penetra molto nel terreno, solo 5-10 centimetri. I pini, hanno semi protetti dai “coni serotini” (ossia pigne con schiusura ritardata) con “squame” protette da resine. Il fuoco fa sciogliere i semi, ossia i pinoli, che cadono e possono germogliare per creare nuove piante.
«La natura è potente e si rigenera, – continua a spiegare l’agronomo Sapere – ma i segni di un incendio spariscono dopo decenni, e perché un bosco torni in equilibrio e maturità servono secoli. Ma possiamo ridurre i danni e accelerare la ripresa. Come? Limitando, dopo l’incendio, la perdita di terreno fertile per le piogge, usando gli stessi tronchi bruciati, messi trasversalmente rispetto alla pendenza, per rallentare il ruscellamento e l’erosione delle acque, evitando così smottamenti. Poi la cenere lasciata dal fuoco è ricca di potassio ed altri sali minerali, e aumenta, anche se temporaneamente, il livello di nutrienti nel suolo e quindi il tasso di sopravvivenza delle piantine risulta maggiore. Intervenendo al meglio il bosco può in effetti riprendersi “rapidamente”».
«Lo dimostra il recupero dopo un maxi incendio della metà del 1980 che partì dal Buraccio -Valdana e arrivò fino alla spiaggia di Felciaio bruciando macchia mediterranea, pinete e un po’ di sughere e lecci. Già nella primavera successiva si notò come la flora erbacea avesse colonizzato la zona, diminuendo così l’erosione del terreno. Le sughere protette dalla corteccia annerita non avevano subito danni. Grazie ai semi sparsi dai pochi alberi superstiti cominciarono ad apparire piccoli pini su tutta l’area. Oggi quei pini sono alti sei o sette metri, e le tracce dell’incendio sono scomparse. In futuro – conclude – si dovrebbe procedere ad alcuni tagli per lasciare spazio e luce alle latifoglie, così da ricostituire un bosco misto, ricco di biodiversità e meno vulnerabile alle fiamme».
La ferita, insomma, si rimargina. Ma ci vuole tempo: a una osservazione superficiale la traccia dell’incendio non è più visibile, ma per raggiungere l’obiettivo finale servirà comunque un secolo o più. Forza Castancoli, stai risorgendo.
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