Pronta ad andare in Svizzera per il suicidio assistito dopo il No dell’Italia
TRIESTE «Sono esausta, esaurita. Sto perdendo anche la voglia di andare avanti. Io vorrei morire col sorriso sul viso, nel Paese dove ho scelto di vivere, e dove ho pagato le tasse», dice in un video di appello al Parlamento, dopo la diffida all’Azienda sanitaria giuliano isontina che le ha negato l’accesso alla procedura.
E dichiarandosi pronta ad andare in Svizzera, per accedere, se non al suicidio assistito, alla morte per eutanasia, e porre così fine alle sue sofferenze.
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Martina Oppelli, triestina di 49 anni, chiede di potersene andare. Di smettere di soffrire e di farlo alle sue condizioni. Perché quella patologia da cui è affetta, la sclerosi multipla secondaria progressiva evoluta, è una malattia irreversibile, senza possibilità di cura, che l’ha resa tetraplegica e le provoca una gravissima limitazione motoria, rendendola completamente dipendente dall’assistenza di terzi e dai comandi vocali, di cui necessita per continuare a esercitare la sua professione, quella di architetta.
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«Sono esausta, esaurita. Sto perdendo anche la voglia di andare avanti», dice Martina. Nell’agosto 2023, rende noto l’associazione Luca Coscioni, aveva inviato richiesta all’Azienda sanitaria perché si procedesse alla verifica delle sue condizioni di salute, di modo da accedere alla morte volontaria assistita nei perimetri disegnati dalla sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale.
Ma dopo essere stata visitata dalla commissione medica multidisciplinare a ottobre 2023, «non aveva ricevuto alcuna risposta» e solo dopo «una serie di solleciti», Asugi le ha comunicato di non poter accogliere la richiesta perché mancherebbe il requisito del trattamento di sostegno vitale.
«Questo diritto mi è stato negato dal Comitato etico, perché secondo loro non rispondo a uno dei quattro requisiti indispensabili, ovvero essere mantenuta in vita da trattamenti vitali», dice Martina nel suo appello: «Ma secondo voi, io come mangio? Come bevo? Come mi lavo? Come vado in bagno? Come sopravvivo, come assumo i farmaci? Io non sopravvivo senza una persona vicina».
A febbraio 2024 la donna, assistita dal collegio legale dell’associazione Coscioni, ha quindi diffidato l'Azienda sanitaria, affinché procedesse alla immediata rivalutazione delle sue condizioni di salute. Ma Asugi «ha negato questa possibilità, sostenendo di non avere alcun obbligo a rivedere un proprio precedente provvedimento e che tale richiesta di revisione contrasta con il principio di “economicità” nella pubblica amministrazione».
Martina Oppelli ha dunque depositato, tramite i propri legali, un ricorso d’urgenza per chiedere che l’Azienda venga «condannata alla rivalutazione del requisito del “trattamento di sostegno vitale” e alla individuazione del farmaco letale, delle sue quantità e della modalità di autosomministrazione in modo da poter accedere al sucidio medicalmente assistito in Italia», rendono noto dall’associazione Coscioni.
In un video appello, rivolgendosi ai senatori, dice: «Sono esausta, esaurita. Sto perdendo anche la voglia di andare avanti. Questo diritto mi è stato negato dal Comitato etico, perché secondo loro non rispondo a uno dei quattro requisiti indispensabili, ovvero essere mantenuta in vita da trattamenti vitali. Ma secondo voi, io come mangio? Come bevo? Come mi lavo? Come vado in bagno? Come sopravvivo, come assumo i farmaci? Io non sopravvivo senza una persona vicina. Certo, non sono macchine, sono persone. Insomma, nella legge che state discutendo adesso, in merito al fine vita, vi chiedo di tener presente ogni aspetto, ogni dolore, ogni dolore è assoluto nel momento in cui viene vissuto, e va rispettato. E non parlate più di suicidio, perché non lo è. Si parla di eutanasia, di buona morte. Ammetto di aver anche fatto domanda all’estero, proprio perché non ce la faccio più, ma i mezzi economici, e soprattutto la fatica fisica per arrivarci, sarebbe tanta. Ce la farei, perché come sono arrivata fino a qua, arriverò anche là, ma io vorrei morire col sorriso sul viso, nel Paese dove ho scelto di vivere, e dove ho pagato le tasse».
In Italia l’aiuto al suicidio medicalmente assistito non costituisce reato in nome della sentenza “Cappato” della Corte costituzionale, che fissa i criteri per cui è possibile accedere alla procedura di fine vita: la persona deve essere affetta da una patologia irreversibile e senza possibilità di cura, che le causa sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili; deve avere piena capacità di intendere e autodeterminarsi, e deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.
Proprio su questo punto il Friuli Venezia Giulia aveva costituito primo caso, riconoscendo tale anche l’assistenza continuativa da parte di terzi di cui Anna, triestina di 55 anni anche lei affetta da sclerosi multipla, necessitava per sopravvivere. Il verdetto, nel suo caso, era arrivato al termine di una lunga battaglia legale durata mesi e iniziata poco meno di un anno fa, lo scorso giungo, davanti al Tribunale di Trieste.
In assenza di una norma nazionale sul tema, con il testo che doveva recepire il parere della Consulta affossato al termine della precedente legislatura, non sono infatti definitivi tempi e modalità certe ai quali le Azienda sanitarie devono attenersi per la verifica delle condizioni di salute fisica e psicologica delle persone che fanno richiesta di accedere al suicidio assistito. Nel caso di Anna sono stati necessari sei mesi dalla sua richiesta e altri sei dalla denuncia, passando per una condanna del Tribunale contro l’Azienda sanitaria, prima che il 28 novembre scorso, circondata dai suoi familiari, la donna è infine diventata la terza persona in Italia a morire con il suicidio medicalmente assistito e la prima a farlo con il completo sostegno del Snn.
Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni e difensore che coordina il collegio legale di Martina Oppelli, dichiara sul caso: «Il diniego di Asugi alla richiesta di Martina Oppelli è paradossale perché la stessa azienda sanitaria, meno di un anno fa, aveva dato, dopo la condanna del Tribunale di Trieste, una risposta positiva ad ‘Anna’, anche lei affetta da sclerosi multipla e totalmente dipendente dall’assistenza continuativa di terzi in assenza della quale non sarebbe stata in grado di sopravvivere. Nel caso di ‘Anna’ questa necessità era stata letta come ‘trattamento di sostegno vitale’. Perché nel caso di Martina no? Senza una assistenza continuativa e vista la sua completa impossibilità di movimento, Martina non sarebbe in grado di provvedere a nessun bisogno primario e quindi andrebbe incontro ad una morte certa».
Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni ha dichiarato: «Spero che il Parlamento nazionale non girerà la testa dall’altra parte, ma non mi faccio illusioni. Se Martina sarà costretta a recarsi in Svizzera, le ho garantito che forniremo ogni aiuto eventualmente necessario, nell’ambito delle nostre azioni di disobbedienza civile».
