Il capo della Procura il 17 giugno va in pensione dopo 43 anni di servizio. Sul caso Resinovich: «Nulla da rimproverarmi, solo clamore da chi dice di averle voluto bene»
TRIESTE Se Trieste ha ormai gli anticorpi per tenere a bada i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata, non ha quelli per arginare la microcriminalità giovanile straniera. Che, tra risse, coltellate, pestaggi e rapine con martelli e spray al peperoncino, evidentemente tanto “micro” non è. «C’è una recrudescenza», ammette il procuratore Antonio De Nicolo, che sull’orlo del pensionamento è costretto ora a impegnare i suoi pm e gli investigatori delle forze dell’ordine per fronteggiare un fenomeno finora sconosciuto a Trieste, in queste dimensioni almeno. Per De Nicolo il 17 giugno sarà l’ultimo giorno di lavoro, dopo 43 anni di servizio. Ne ha viste di cose, insomma.
Per il futuro è in corso da parte del Consiglio superiore della magistratura la procedura per designare il prossimo procuratore di Trieste: ci vorranno non meno di sette mesi. Il facente funzioni sarà il pm Federico Frezza, il più “anziano” dei sostituti procuratori.
Procuratore, Trieste è sempre più una città criminale?
«Nonostante tutto qui non ci sono fenomeni così diffusi così come avviene in realtà urbane di maggiori dimensioni. Ma il disagio, che va di pari passo con la marginalità, adesso è soprattutto appannaggio degli extracomunitari. Chi vive nella marginalità è più propenso al crimine. E in questo ultimo periodo noto una recrudescenza della criminalità minorile straniera. Sotto il profilo normativo questi giovani non possono essere impiegati in attività lavorative per evitarne lo sfruttamento; parliamo di ragazzi in salute, di sedici e diciassette anni, che forse qualche attività lavorativa potrebbero svolgerla e potrebbero anche essere impiegati nel volontariato e in attività sportive. Dovrebbero costituire una risorsa, invece vengono accantonati e dimenticati. E così sono più esposti a situazioni criminali. Ma se leggiamo le cronache di altre città, Trieste è in buona compagnia. Certi quartieri di Milano, ad esempio, sono ormai invivibili la sera».
C’è il rischio che questo avvenga pure qui?
«Dipende quanto sarà progressivo questo incremento. Inoltre le leggi non aiutano: le norme vietano di espellere i minorenni, qualsiasi cosa abbiano fatto. Andrebbe ripensato se ciò sia corretto. Parlando dei maggiorenni, invece, in Italia siamo carenti negli accordi di riammissione con i Paesi di provenienza dei migranti che commettono reati. A questi extracomunitari viene consegnato il modulo di espulsione, ma poi non viene eseguita. Manca un sistema coercitivo perché non ci sono gli accordi di riammissione. Le espulsioni sono sulla carta».
C’è da aver paura di girare per strada, con tutte queste rapine, risse e aggressioni?
«C’è da aver paura di girare per strada dappertutto. Ma chi viene da Milano, ad esempio, dice che a Trieste si sta bene. Insomma, non mi sento ancora di dire che Trieste è una città violenta e pericolosa».
Ci sono anche tanti furti nelle abitazioni.
«Sempre stati e mai diminuiti. Ritengo positivo il supporto tra vicini nella vigilanza reciproca. Tra l’altro questa è una città che aiuta molto: l’immagine più importante, dopo la sparatoria tra kosovari in via Carducci, era stata quella di una foto scattata da una ragazza dal bus. Prontezza di riflessi e desiderio di collaborare con le autorità: questo caratterizza Trieste».
La città può contare su un numero sufficiente di forze dell’ordine?
«La scopertura è significativa, non c’è dubbio».
Negli anni scorsi la criminalità organizzata era entrata in porto. Il pericolo è ancora attuale a Trieste? Ad esempio anche negli investimenti infrastrutturali; o nel turismo e nella ristorazione – in forte crescita – con il riciclaggio di denaro?
«I tentativi ci sono e ci saranno. Guardia di finanza e Dia sono molto attenti: se ci sono situazioni sospette, vengono segnalate. Servirebbero però controlli più assidui e capillari, ma le forze che abbiamo non lo permettono. Così come non si riescono a compiere accertamenti più ampi nell’edilizia».
Quali sono i casi che più l’hanno colpita in questi anni di indagini a Trieste?
«Quando ero pm, era stato l’omicidio dell’allora assessore Cecchini nel 1991 ucciso con una coltellata micidiale alla schiena, o anche quella vicenda del ragazzo che aveva ammazzato la nonna a mani nude. Era un 25 dicembre, ero in turno... Nel corso della mia carriera ho notato che durante le festività si manifestano i più grandi disagi distruttivi. Ricordo anche il caso irrisolto dell’omicidio dell’imprenditore Deotto, ucciso in una rapina a Lignano, e di una donna che era con lui: rapita, uccisa e scaricata in spiaggia a Sistiana.
Il caso Resinovich le toglie il sonno?
«Il sonno non me lo toglie. E siccome in tutto questo clamore c’entra il comportamento di chi afferma di aver voluto bene a questa povera signora, e non perde occasione di andare in tv, come caso mediatico non mi affascina affatto».
Il gip ha chiesto un supplemento significativo di indagini.
«La richiesta è la riproduzione della memoria difensiva».
Niente da rimproverarsi?
«Io so come ha lavorato la Squadra Mobile. E il gip, nella premessa della sua ordinanza, ha puntualizzato che gli inquirenti hanno dato il massimo. La memoria difensiva ha poi posto alcune osservazioni su attività da incrementare ulteriormente e le stiamo svolgendo».
RIPRODUZIONE RISERVATA