Me lo aspettavo, ma non con queste dimensioni. Perché non si toccano le icone e Blonde, il film, fin dall'inizio puzzava di progetto passibile del reato di iconoclastia molto più del romanzo di cui era adattamento, una non-biografia che già immaginava molto, lavorando più sulle situazioni della vita di Marilyn Monroe, che sulla cronaca fattuale.  Prima che il film uscisse (anzi, mentre era ancora in lavorazione), il motivo per cui se ne parlava di più, accanto al fatto che sarebbe stato, anche qui per motivi prevedibili, il definitivo lancio nell'empireo di Ana de Armas fornendole un ruolo da Oscar, era che a detta di Netflix e del suo regista, non ci sarebbe andato leggero e tanto per capirci sarebbe stato il primo film VM 18 prodotto dalla piattaforma streaming. Quando lo lessi, sentii che c'era qualcosa che non andava in questa comunicazione di facile fraintendimento. D'impulso ho pensato che, come non si toccano le icone, non si viola la dignità dei morti (soprattutto considerando la fine tragica della Monroe), ma ho cercato di frenare il pregiudizio che mi saliva dentro perché non si giudica un'opera a priori, senza averne visto nemmeno un dettaglio, neppure la copertina, e perché avevo una certa fiducia nel mondo talvolta ambiguo, ma più spesso progressista, con cui Netflix parla di sesso e mental health.  

Ho pensato alla bufera che si sollevò quando la piattaforma distribuì Cuties (Donne ai primi passi), feroce riflessione sull'influenza che la generale pornificazione della cultura ha inevitabilmente anche sui bambini, immersi nei media digitali e social in cui possono trovare di tutto, nonostante il controllo dei genitori, ho pensato a documentari sullo stato dei lavoratori del sesso come Hot Girls Wanted, ho ricordato la bontà della prima stagione di Tredici, rara serie che ripercorre il calvario di un'adolescente fino al suicidio con alert all'inizio e alla fine di ogni puntata, e per certi versi anche Sky Royo, il progetto che sfrutta senza mezzi termini il linguaggio dell'exploitation anni 70, ma con le sue protagoniste che rompono la quarta parete a elencare agli spettatori i numeri e i fatti dello sfruttamento sessuale, uscendo dalla fiction e riportando gli spettatori a quanto sia cruda la realtà del consumo di sesso a pagamento e quanti insospettabili ne siano fruitori; mi è venuto in mente anche il documentario sul caso Epstein, che forse avrebbe avuto meno clamore mediatico in epoca post #metoo di come poi è stato anche grazie alla discussione creata da questo titolo in streaming. 

Andrew Dominik viene da film forti come L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e Cogan e Killing Them Softly, e ha girato This Much I Know to be True, un documentario molto bello, insieme intenso e dark, su un cantautore ombroso, a volte oscuro, quanto immenso e purtroppo segnato da un tragico destino famigliare come Nick Cave, che di Blonde avrebbe firmato la colonna sonora.

Blonde si preannunciava di rottura, dinamitardo rispetto alle possibili polemiche, controverso fin dai presupposti nell'affidare un materiale delicato come quello relativo a un mito della cultura pop scomparso per suicidio a un regista dalle tinte forti, con la certezza che avremmo visto Marilyn “a letto”. Era una comunicazione sul nulla, perché era tutto ancora per lo più sulla carta, che probabilmente non avrebbe fatto bene. Poi, è arrivato il teaser e lì ho mollato i mio pregiudizio iniziale. E' stato come rivedere il teaser di Joker, un film che mi ha letteralmente fatto saltare sulla sedia per l'intensità con cui tratta il trauma e una certa follia umana e/o sociale. Ana de Armas -Norma Jean che invoca Marilyn allo specchio finché lei si manifesta con una risata che gela il sangue nelle vene era la promessa di qualcosa che poteva scavare dentro. E la sua protagonista era chiaramente da candidatura all'Oscar. 

A Venezia il film mi ha un po' deluso. Troppo lungo, per certi versi visibilmente rimaneggiato (in post-produzione Netflix aveva chiesto di alleggerire certe scene a tema sessuale), un po' irrisolto ma con idee e partito con intenti interessanti, impeccabile nella musica e nell'interpretazione di Ana de Armas. Insomma, un film brutto che, se guardato fino alla fine, poteva far riflettere; un film che mi ha confermato, per quanto meno intensa e chiara, l'impressione di aver visto il Joker di Phoenix. Di Blonde si è detto che è tutto campato per aria e sporca inutilmente e per profitto la memoria di un'icona, che indugia sul dolore e sulla violenza sessuale, fisica e psicologica, che è quasi un horror (di cui però non avevamo bisogno), che è misogino… Non concordo. Sono ancora convinta che Blonde sia un film non riuscito ma che ci ha provato e pure tanto, un film che ci voleva post #metoo perché della natura predatoria storica di una importante fetta di Hollywood si deve parlare, anche rischiando critiche e flop, perché di traumi e di come possano segnare una vita, addirittura fino a decretarne la fine, se vissuti senza sostegno e da soli o, peggio, senza esprimerli mai, nascondendoli, bisogna parlare, anche col rischio che il film d'autore che lo fa con toni inconsueti poi non sia compreso o davvero comprensibile. 

Ana de Armas è Marilyn Monroe in Blonde (2022)
Ana de Armas è Marilyn Monroe in Blonde (2022)
2022 © Netflix

Vedere Blonde mi ha fatto male, è stato faticoso e a momenti insostenibile, anche in termini di ilarità che certe note di grottesco potevano suscitare, ma ha seminato qualcosa in me spettatrice. Ho voluto e dovuto metabolizzarlo prima di dire qualcosa. L'ho trovato più femminista di quanto si sia detto e scritto, l'ho trovato molto forte sul tema dei traumi che scavano baratri nell'anima fino a sviluppare disturbi dissociativi e comportamenti che vanno dalla tendenza a cadere in dipendenze emotive e non o all'autolesionismo. In Blonde ci ho visto una sorta di Passione di Marilyn (anima e carne offesa - senza che nessuno muovesse un dito - da un mondo di uomini e una società che, se non patriarcale, comunque lo asseconda) che non ha portato ad alcuna rivoluzione, in Blonde ho rivisto la nascita di un doppio nato dal trauma come quello del Joker, meno sovversivo e per questo forse anche più tragico, ho rivisto l'archetipo di una madre matrigna che cresce una prole senza padre raccontando una favola ancorata forse nella follia, illudendola su un amore che le è stato negato e rincorrerà inutilmente per tutta la vita; in Blonde ho rivisto le donne che non possono scegliere riguardo al proprio aborto o meno, le storie di donne che hanno vissuto la tragedia di ritrovarsi molestate sempre e comunque ovunque mettessero piede e… della Marilyn di Blonde ho sofferto tantissimo per tutti i “daddy” che ha pronunciato, per me una delle cose più violente del film, per il punto di vista e il modo non paritario di costruire i rapporti che inevitabilmente richiama (Le parole, specie se reiterate, sono importanti). E davvero non capisco perché alla fine ci siamo fissati così tanto sul fatto che è tutto immaginato e per niente veritiero. Per forza, era adattamento d'autore di qualcosa che era già in letteratura fiction.

Julianne Nicholson è la madre di Norma Jeane in Blonde
Julianne Nicholson è la madre di Norma Jeane in Blonde
Matt Kennedy/NETFLIX

Il film Blonde lavora creativamente con una certa autonomia partendo da un romanzo omonimo di Joyce Carol Oates che già rielabora dei punti precisi della biografia della Monroe, è un non-biopic che vuole chiaramente riflettere sul lato (rimasto) oscuro della vita di una delle più grandi stelle del cinema assurte a icona, fissata nella storia anche grazie al lavoro di  Andy Warhol. Nel mio giudicarlo andando forse un po' controcorrente, mi rassicura il fatto che il valore dell'idea, degli intenti, dell'aver provato a scavare nel senso di un'icona invece di limitarsi a idolatrarla (perché, non so gli altri, ma io è un bel pezzo che cerco di capire di cosa sia effettivamente icona Marilyn), sia stato in qualche modo difeso in questi ultimi giorni proprio da Joyce Carol Oates in un tweet

Blonde (2022)
Blonde (2022)
Matt Kennedy/NETFLIX

«Penso che sia una brillante opera d’arte cinematografica, ma ovviamente non si tratta di un film per tutti», ha detto la scrittrice, sorpresa che in tempi successivi al MeToo  «la cruda esposizione dei predatori sessuali di Hollywood sia stata interpretata come “sfruttamento”». Per lei l'intento del regista era stato quello di raccontare «Norma Jeane con sincerità», avvertendo poi che «Il regista è irremovibile, intransigente. Gli ultimi 20 minuti sono quasi troppo potenti per essere guardati» ed elogiando infine la fotografia e la performance di Ana de Armas».

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Blonde ha una scena esplicita e da brivido (con JFK) di cui dobbiamo proprio parlare