Lo scorso anno, Christian Bale si è ritrovato a girare tre film diversi, ma da mesi non è più sul set di un film e non sa quando vi tornerà: una situazione che lo rende felice. «Potrei andare avanti per sempre a non lavorare», afferma. È un po’ in ritardo per il nostro appuntamento in una tavola calda di Santa Monica che preferirei non citare perché lui e il regista di una delle sue ultimissime fatiche cinematografiche, David O. Russell, vengono qui spesso per discutere i copioni e osservare la gente. In effetti, mentre parliamo, lui continua a essere distratto da come si comportano gli avventori, vari personaggi a cui ha dato un nome, abitanti del posto che frequentano il locale e ama osservare al pari di vecchi amici. Sono  persone che non sanno chi sia Christian Bale e anche se lo sapessero non gliene importerebbe nulla. 

Christian Bale per GQ

Cappotto e maglia Dolce & Gabbana

L’attore indossa una maglietta e dei pantaloni scuri e informi con una barba tale da potere interpretare un generale della Guerra Civile. Da sotto quella barba sbuca Batman, mi sembra. O Patrick Bateman, forse. È il volto di una star del cinema conosciuto in 35 anni di film che gli sono valsi quattro candidature e una vittoria agli Oscar, nel 2010 per The Fighter. Bale aveva 13 anni quando ha recitato in L’impero del sole di Steven Spielberg, il suo primo ruolo importante, una parte che ha cercato e alla fine ha accettato perché la sua famiglia aveva bisogno di aiuto. Da allora la sua non è stata quella che si definirebbe una vita normale, ma non lo era neanche prima: suo padre, ex pilota e consulente finanziario, ha fatto trasferire continuamente Bale, i suoi fratelli e la madre lungo il Regno Unito, rimettendo ogni volta tutto in discussione per ricominciare da capo. L’attore non si lascia andare a riflessioni personali, però non è difficile vedere il ragazzo che c'è ancora in lui: attratto dagli estremi, affascinato dalla capacità di reinventarsi, motivato a risolvere i problemi della propria famiglia e combattuto su quanto ha dovuto fare e sacrificare per prendersi cura delle persone a cui voleva bene. Vale, inoltre, la pena osservare che ha un modo assolutamente delizioso di opporsi a ogni tentativo di indurlo a una maggiore introspezione. Il suo accento è nominalmente gallese, la voce più musicale e maliziosa di come tende a essere sullo schermo. Proprio con quella voce è arrivato a chiedermi se ho figli, quali sono le mie speranze e sogni nella vita. Ha mostrato interesse verso le altre cose che ho scritto ponendo domande dettagliate a riguardo, tutto nella speranza di non parlare di sé. In parte perché è convinto che se le persone arrivassero a conoscerlo davvero, sarebbe la rovina per qualunque progetto stesse cercando di realizzare come attore; in parte, credo, perché l’argomento non gli interessa veramente più di tanto. Ciò che desidera e insegue è l’ossessione o l’oblio: la cancellazione totale di sé stesso. E lasciatemelo dire: consiglio di parlare con le persone a cui interessa l’oblio. Mai una volta che siano noiose! Vista la premessa, non concede molte interviste come questa, ma i film si sono accumulati e allora fa un tentativo. In estate è stato il cattivo di Thor: Love and Thunder. Questo mese interpreta un tizio con un occhio solo di nome Burt nel nuovo, strampalato film di David O. Russell dal titolo Amsterdam. E poi, alla fine dell’anno, ha in uscita The Pale Blue Eye, un mistery con omicidio ambientato nell’Ottocento che ha girato sotto la direzione di un altro suo abituale regista: Scott Cooper. «Di questo», dice, riferendosi al fatto di avere tre film in uscita nello stesso anno: «non c’è alcun bisogno. Io non ne ho necessità. Nessuno ha bisogno di vedermi così tanto». Tuttavia, eccoci qui. Bale vive a Los Angeles dagli anni ’90, ma non è la città che siamo abituati a immaginare. «Puoi vivere qui  e non far parte della comunità del cinema», spiega. «Come me. Non ho niente a che fare con loro. Sono qui perché mia moglie è di queste parti. Se non lo fosse, probabilmente non vivremmo qui. Si tende a pensare che la gente del cinema ciondoli senza pensieri, si frequenti di continuo parlando dei film, ed è una cosa che mi fa venire voglia di sbattere la testa contro il tavolo».

Christian Bale per GQ

Giacca e pantaloni Loro Piana. Camicia RTH. Berretto Begg x Co. Orologio Vacheron Constantin. Girocollo David Yurman

Beh, ci sono attori che iniziano a recitare perché hanno maturato una vera ossessione per il cinema e la gente dell’ambiente. Mi sembra di capire che non sia il tuo caso, dico bene? Benissimo, non sono quel tipo di persona. Sono semianalfabeta in fatto di cinema. Deludo tutti per quanto poco ne so. Non penso sia importante, né necessario per quello che faccio. 

In questo momento non stai girando niente. Sei il tipo di persona che è contenta di non lavorare? 
Più che soddisfatto: fottutamente estasiato. Ho sempre pensato: «Quando finirà? Deve finire?». Mi piace fare cose completamente estranee al cinema. Sono molto felice di non giocare a travestirmi, di non fingere di essere qualcun altro per lunghi periodi di tempo. 

Quando dici «giocare a travestirsi», sembra che ci siano state volte in cui sei stato quasi… non proprio imbarazzato di fare il tuo lavoro ma… 
Oh, no, veramente imbarazzato e lo sono stato per molti anni. Direi proprio mortificato. Sai, non mi faccio neanche illusioni, l’unico motivo per cui vengo notato o mi sento utile in questo mondo è quando faccio finta di non essere io. Ed è il motivo per cui farmi intervistare è una cosa stranissima perché mi dico: «Aspetta un secondo. È un suicidio professionale, fare una cosa del genere…».

Fare questa intervista non è un suicidio professionale
Beh, da un lato mi dico: «Dai, sono pronto per la sfida». Dall’altro penso più: «Eh, non lasciare che sia questo il motivo». Per cui è una morte lenta. Vivo questa morte lentissima in pubblico. 

Stai rispondendo a una domanda sul fatto di essere intervistato e ne sto facendo una su quanto sei a tuo agio nell’identificarti come attore. Hai detto di essere veramente imbarazzato
Mi piace la follia del lavoro in sé. La cosa imbarazzante è l’idea che la gente ha di un attore. Voglio dire, quanti mestieri veramente utili puoi fare nella vita, lavori in cui aiuti il prossimo? Sto solo creando un altro stupido rumore di fondo? Eppure, la recitazione in sé, mi diverte per quanto è ridicola. Adoro le cose in cui puoi spingerti all’eccesso. Le persone sono fottutamente affascinanti. Adoro la gente, osservare come si comportano e posso farlo in un modo che altrimenti verrebbe percepito come una forma di follia. 

Cosa intendi nel dire, «Adoro le cose in cui puoi spingerti all’eccesso»? Voglio essere sicuro di capire bene. 
Si tratta di un’ossessione, è questo che intendo. Puoi essere ossessivo senza che la gente dica: «Deve andare in un manicomio» Giusto? Ma, ehm, è di cinema che ti piace scrivere? Qual è la tua passione? Intendo, questo è quello che voglio fare…? 

In questo preciso momento sto facendo ciò che desidero
Hai altre ambizioni? 

Questa conversazione appaga la mia ambizione. Stavi dicendo che prevedevi di avere più tempo per chiudere i tre film in uscita quest’anno, ma poi è arrivata la pandemia. 
Abbiamo girato Amsterdam nel pieno della prima ondata a Los Angeles. Credo che abbiamo fatto qualcosa come 26.000 tamponi. Perché ho parlato con l’esperto di sicurezza anti COVID e prima di girare stavano scomponendo tutte le scene per capire quando avrei avuto la bocca aperta. Dicevano, «Beh, in questa scena vedo che ridi» e poi «in questa canti». Io ribattevo: «Sì, ma potrei ridere in tutte le scene, o potrei cantare in tutte le scene». E loro: «No, ma non è nel copione». E io: «No, cambierà tutti i giorni. Cambiamo a ogni ciak».  

Ho apprezzato come canti in questo film. 
Oh. Grazie mille. Adoro cantare. Probabilmente, posso garantire solo una cosa ogni volta che canto: fare sentire quanto mi sto divertendo. Punto. Ma, per esempio, sono andato in uno studio di registrazione per Todd Haynes nel film Io non sono qui. Mi sono divertito da matti e ho pensato di avere fatto un ottimo lavoro. Poi, quando l’ho sentito, ho detto: «Già, hanno fatto cantare qualcun altro, vero?» Forse speravano che non me ne sarei neanche accorto. Hanno pensato: «Quello lì è così privo di orecchio che non ci farà neanche caso». Ma, sai, infastidisco molto la mia famiglia perché canto continuamente. Quando comincio, devono dirmi: «Per favore, smettila». Mi piace da morire.

Christian Bale per GQ

Gilet Tom Ford. Maglione Ralph Lauren Purple Label. Pantaloni Greg Lauren. Orologio Audemars Piguet. Anello personale

Continuo a cercare di chiederti dei film e finiamo sempre a parlare di altro, per esempio il canto, e ho il sospetto che sia un po’ voluto
No, ma è più interessante parlare di altre cose che della roba che già conosco, non credi? 

Sì, ma io non la conosco
Già. 

Il tuo ultimo film prima dei tre di quest’anno è stato Le Mans '66 - La grande sfida (Ford v. Ferrari) del 2019, in cui interpreti un pilota di automobile con un carattere molto difficile. A un certo punto il regista, James Mangold, ti ha chiesto di interpretare solo te stesso, dico bene?
Insomma, penso che mi stesse prendendo un po’ per i fondelli, almeno credo, ma forse no. Anche se devo dire che era il nostro secondo film. Stiamo parlando di farne un altro. Ci divertiamo a lavorare insieme. 

Quindi non ti consideri una persona veramente difficile? 
No. Per niente. Assolutamente no, proprio no. Sono del tutto grato e stupito di avere la possibilità di continuare a lavorare e devi conservare quella gratitudine. Però, senza essere ingrato, non devi abbassare l’asticella, capisci? Questo significa che non devi pensare: «Oh, sono così felice e grato di lavorare, perché non me lo sarei mai aspettato nella vita,» anche se è tutto vero. La gratitudine deve trasformarsi in un altro tipo di pensiero: «Devo fare le cose assolutamente al meglio delle mie possibilità». Nel mondo del cinema ci sono personaggi pieni di passione, giusto? Perché a volte essere troppo premurosi può sembrare un modo di fare delle persone che hanno la tendenza a essere, ogni tanto, un po’ sopra le righe.

«Penso che qualcuno ritenga erroneamente che io sia un attore adatto al ruolo di protagonista, la cosa si ripete e non la capisco».

Stavo pensando che per certi versi, i tre film di quest’anno, Thor, Amsterdam, The Pale Blue Eye, propongono una visione della tua carriera ridotta in una sorta di microcosmo. Due sono il genere di film d’autore in cui ti vediamo spesso, e poi c’è un grande franchise di intrattenimento. Sono curioso di sapere che cosa ti attira a partecipare a mega-produzioni come Thor: Love and Thunder
Ho pensato: «Sembra un personaggio intrigante; potrei riuscire a cavarci qualcosa di buono, chissà?» E mi era piaciuto Ragnarok. Ho portato mio figlio a vederlo. Si arrampicava come una scimmia sulle poltrone e poi ha detto: «Oh, sono stufo, andiamo via». Io gli ho fatto: «No, no, no. Aspetta, aspetta, aspetta, aspetta, aspetta, aspetta». In realtà pensavo: «Voglio vederlo fino alla fine». 

Alcuni attori si sono cimentati in un genere di film come Thor e ne sono usciti dicendo, «Atmosfera fantastica. Persone adorabili. La recitazione in chroma key, però, non fa per me». 
È la prima volta che ne facevo uno. Voglio dire, sono per definizione monotoni. Ci sono delle persone valide e altri attori che hanno molta più esperienza di me in questo genere. Riesci a differenziare un giorno dall’altro? No. Assolutamente no. Non hai idea di cosa fare. Non riuscivo neanche a distinguere uno studio dall’altro. Continuavano a dirmi, «Sei nello Studio tre». Beh, rispondo: «Qual è?» «Quello blu», mi fanno. «Sì, ma sei nello Studio sette». «Qual è?» «Quello blu». E io, «Uh, dove?» 

Suppongo che qui non ci siano stati tentativi di calarsi nel personaggio in stile Method Acting. Sarebbe stato un tentativo penoso. Magari, mentre cerco di farmi aiutare a mettere e togliere le zanne e spiego che mi sono rotto un’unghia o inciampo nella tunica. 

In quel film interpreti il cattivo. Mi pare che tu sia più propenso a interpretare personaggi sgradevoli rispetto a, aperte le virgolette, attori protagonisti, chiuse le virgolette.
Assolutamente, sì. Non ho mai capito del tutto una serie di attori per cui ho grandissimo rispetto quando dicono: «Oh, ti deve piacere il personaggio». E io penso: «Non so se piacerà gli altri. A me va bene che non mi piaccia».

Christian Bale per GQ

Cappotto e tuta Prada. Stivali Le Chameau. Berretto Loro Piana

Mi domando se questo aiuti a spiegare la tua longevità: quello che fai non è  mai dipeso dalla volontà di piacere. 
Giusto. Sono sempre un po’ confuso quando le persone dicono: «Lo faccio per i miei fan». Oh, che cosa carina. Che persona squisita devi essere, lo fai per i tuoi fan. Meraviglioso. Che cuore grande devi avere. Beh, allora perché hai cominciato? All’inizio nessuno aveva dei fan. Preferisco le persone che lo fanno per sé stesse. Non voglio guardare persone che lo fanno per me. Penso: «Come fai a sapere che cosa voglio?» Intendo dire: stupiscimi, fallo per te stesso, voglio sapere che per te questo è tutto. Del tipo, mettici dell’intensità, dai, fallo per te stesso. 

Sei mai stato attratto dalla versione più tradizionale del divismo cinematografico? 
Le reputo persone veramente utili perché sono sé stesse. Poi ci sono quelle come me che hanno trovato di essere utili per qualcuno soltanto quando hanno deciso di non essere sé stesse, giusto? Quindi, «Devi essere semplicemente te stesso» è il peggior consiglio che si possa dare a uno come me, perché, sai una cosa? Ho fatto carriera grazie al fatto di avere ignorato quel consiglio e, invece, mi sono sempre detto: «No, devi essere qualcun altro. Qualcun altro». 

Sospetto di sapere quale sarà la tua riposta a questa domanda: hai una teoria sul perché hai avuto tanto successo? Perché non sei un caratterista, nei film interpreti ruoli da protagonista. Nessuna strategia. Penso che qualcuno ritenga erroneamente che io sia un attore adatto al ruolo di protagonista, la cosa si ripete e non la capisco.  

Alcuni attori entrano in questo settore perché amano il cinema. Altri perché adorano recitare. Alcuni perché vogliono essere famosi, anche se probabilmente non lo ammetteranno. La cosa interessante di te è che non rientri in nessuna di queste categorie, se ho capito bene
Mmmm, sì. No. Voglio dire, dimmi tu cosa pensi che sia, ma no, lo sai.… 

Beh, mi sembra di capire che hai iniziato a recitare per altri motivi, collegati alla necessità di sostenere la tua famiglia. 
Mi limiterò ad annuire. Ma, sì. Guarda, io e un paio di amici, facevamo dei piccoli sketch, come tutti i bambini. Da piccoli si recita un po’ in quel modo. Finché mi sono trovato in una situazione per cui le cose in casa erano diventate difficili… ho scoperto che recitando potevo mantenere la famiglia: è per questo che lo faccio. Ho un rapporto di amore e odio con questa storia, anche se penso che sia una cosa molto sana. 

Hai mai cercato seriamente di abbandonare la recitazione? 
Che cosa significa «seriamente»? Ci sono stati un paio di momenti in cui mi sono detto: «Non sono mai andato all’università. Non ho studiato. Lo voglio fare». Però non dura a lungo. Ogni tanto ci provo e poi, mi dico: «Oh, andiamo». Questo… è quello che faccio… 

Adesso stai cercando di dire che in realtà recitare ti piace? 
Sì. Sì. Quali sono le circostanze di famiglia che ti hanno spinto nel settore? Oh, varie cose, problemi di salute. Cose del genere. Perfino una Gran Bretagna faziosa. È stato anche per questo.

Christian Bale per GQ

Camicia Boglioli. Pantaloni Polo Ralph Lauren. Orologio Rolex

Si direbbe che tuo padre, che ha fatto il pilota, il consulente finanziario e poi ha sposato Gloria Steinem, fosse un uomo interessante. 
Era un personaggio. Sì. Amava l’avventura. È l’unico motivo per cui ho sempre avuto una fiducia incrollabile nelle mie possibilità. Non era privo di senso pratico, ma mi diceva: «Se non ce la metti tutta, allora è chiaro che non è possibile». La sua influenza è la ragione per cui non ho mai provato una sensazione del genere: «Merda, mi serve una rete di sicurezza». Era un girovago e non si trovava mai nel posto giusto, per cui ci siamo spostati parecchio. Sai a cosa mi è stato utile? Per capire che se anche ti ritrovi seduto su un camion, dopo una settimana fuori da una casa, quando devi andare a vivere sul divano di qualcuno per un mese o più, bisogna pensare: «Andrà tutto bene». Sai cosa intendo? Una soluzione si trova. In questo era straordinario. Non si faceva mai prendere dal panico in quel genere di situazione. Credo che mi abbia trasmesso la tendenza ad avere un atteggiamento abbastanza spericolato. Così qualsiasi cosa facessi non mi sembrava per nulla avventato. Oh, niente lavoro? Potenzialmente niente lavoro per sempre? Nessun problema. Ehi, andrà tutto per il meglio. Questo è il motivo del mio atteggiamento nei confronti di quello che faccio attualmente, ne sono convinto. 

È morto quando avevi poco più di vent’anni. È una cosa che ha lasciato il segno? 
Certo. Chiaro. Che mi dici di te? Hai ancora i genitori? 

Sì, li ho ancora. Ho anche una domanda per te in proposito: tuo padre è morto nel 2003 e proprio in quel periodo accetti parti piuttosto estreme in film come L’uomo senza sonno, per cui hai perso una quantità di peso esagerata, e poi L’alba della libertà che hai girato con Werner Herzog nella giungla tailandese. Hai la sensazione che le due cose fossero collegate? 
Lui di sicuro non è mai stato noioso e di certo mi ha sempre insegnato che essere noiosi è un peccato. Così, forse, c’era un collegamento, sai? Sono sempre stato attratto dal sogno visionario di uno come Werner Herzog, dal modo in cui cerca di realizzarlo e dall’approccio che aveva buttandosi a capofitto nel tentare di arrivare fino in fondo. Mi ricorda molto mio padre. Adoro i pensatori non ortodossi intenti a seguire la propria strada anche se tutti gridano che sono completamente pazzi. 

Ti mantieni facendo questo lavoro da molto tempo e so che a volte hai fatto fatica a ottenere ruoli. A volte, però, ci sono stati momenti in cui sei stato veramente notato come attore, dopo American Psycho, per esempio… 
Un’esperienza in cui, per inciso, ho sentito parlare per la prima volta di GQ. Da bambino, sono cresciuto in cittadine del Galles e dell’Inghilterra senza sapere cosa fosse GQ. Così il mio primo riferimento è stato Patrick Bateman, lui adorava GQ.  Ricordi? Dicevano cose come: «Molto GQ». Per cui ho l’impressione che GQ sia fatto da e per serial killer yuppie. E chiunque lo legga è un serial killer yuppie.  

Sono sicuro che chiunque legga questa cosa la apprezzi. Quel film ha avuto successo ed è diventato talmente iconico da darti, probabilmente per la prima in carriera, la possibilità di scegliere, giusto? 
Beh, in tutta onestà, la prima cosa da dire è che ci avevo messo un sacco di tempo per realizzarlo e mi hanno pagato il minimo indispensabile consentito dalla legge. Vivevo in una casa insieme a mio padre e mia sorella che stava per essere pignorata. La mia preoccupazione era «Porca miseria. Devo guadagnare un po' di soldi» ora che avevo finito American Psycho. Ricordo la volta in cui ero seduto nella roulotte del trucco e i makeup artist ridevano di me perché mi pagavano meno di chiunque di loro. Così in seguito è stato un unico pensiero a motivarmi: «Devo guadagnare abbastanza per evitare che la casa venga sequestrata». 

Per un secondo hai pensato alla tua carriera nel senso di «Devo solo trovare un modo per farmi pagare». 
Sì. È così che ho mantenuto le persone fin da quando avevo 12, 13 anni. Per cui c’è sempre stato, quell’elemento. Non ho mai vissuto un momento in cui abbia pensato: «Credo che mi piacerebbe prendermi quattro anni di pausa». No. Questo non succederà. È impossibile. 

Mi stupisce sapere che ti pagavano così poco: è dovuto al badget di American Psycho o al tuo posizionamento, in quel periodo, nella gerarchia nell’industria cinematografica? 
Uhm, alla natura della mia partecipazione al film. Nessuno mi voleva tranne il regista. Mi avrebbero accettato solo se potevano pagarmi quella somma. Mi stavo preparando alla parte quando altri già la interpretavano. Comunque, io mi preparavo. E, sai com’è, le cose cambiano. Uscii di testa. Ma la riconquistai.

Christian Bale per GQ

Giacca e pantaloni The Row. Camicia Boglioli

Uno degli attori che fu scelto per un breve periodo prima di te è stato Leonardo DiCaprio. Ho visto sui giornali come negli anni ’90 tu abbia perso almeno cinque ruoli affidati a DiCaprio, tra cui Titanic.
Oh, ragazzi. Non capita solo a me. Guarda, ad oggi, chiunque ottenga un qualsiasi ruolo è solo perché prima lui ci ha rinunciato. Non importa cosa ti dicono e nemmeno quanto sei amico dei registi. Tutte le persone con cui ho lavorato hanno offerto prima a lui ognuno di quei ruoli. Capito? Una di quelle persone me lo ha detto chiaro e tondo. Quindi, grazie Leo! Perché letteralmente, ha la possibilità di scegliere tutto ciò che fa. Inoltre, buon per lui, è fenomenale.

L’hai mai presa sul personale?
No. Sai quanto sono grato di ottenere qualsiasi cavolo di parte? Voglio dire, non sono capace di fare la quantità di cose che realizza lui. Non vorrei neanche la sua visibilità. In più ci riesce in modo magnifico. Ho il sospetto che a Hollywood quasi tutti gli attori, più o meno della stessa età, devono la loro carriera alla sua scelta di rifiutare qualche progetto.

Tu hai sfondato come attore bambino e sai bene quanto sia difficile il passaggio di trasformazione in un interprete adulto. Come credi di esserci riuscito?
Tutto si ricollega al mio particolare rapporto di amore e odio nei confronti di questo mestiere. Non sono mai stato il ragazzino che supplica: «Per favore, sì sono disposto a fare anche dei numeri di danza moderna». Non lo sono mai stato. A volte ho sabotato intenzionalmente le cose. Spesso mi defilavo senza dire nulla, non mi presentavo alle audizioni e quant’altro. Sono anche pessimo alle audizioni, cazzo, perché non è il mio modo di lavorare. Dicevo: «Non sono in grado di interpretare il pezzo proprio adesso, qui seduto. Ho bisogno di concentrazione». Mi sono sempre sentito diverso quando incontravo altri ragazzi che, invece, ci riuscivano. Stavo lì seduto e pensavo: «Oh, porca puttana. In realtà, non sono per niente come gli altri». Loro avrebbero fatto di tutto per ottenere quel ruolo, mentre io non sapevo neanche se lo volevo.

Alla fine, però, ti sei trasferito a Los Angeles: come mai?
Sono venuto a Los Angeles per lavoro. Poi tornavo sempre indietro, ma non ho mai trovato un’occupazione in Inghilterra. Accadeva sempre qui. Così ho portato con me mio padre perché, a causa della sua salute, del clima e tutto il resto c’erano condizioni molto più favorevoli.

Hai socializzato con altri giovani attori e ti sei trovato a tuo agio nell’ambiente della giovane Hollywood?
Non ho mai avuto niente a che fare con loro. Non li ho mai incontrati e non l’ho mai voluto. Se mai mi fossi trovato vicino alla possibilità di socializzare, mi sarei detto: “Nah, ah, ah, ah,” prima di andarmene in tutt’altra direzione. Oh, in realtà sai una cosa? Quando ho fatto Velvet Goldmine, uscivamo tutti insieme. Allora ero più vecchio. Avevo 23 anni.

Velvet Goldmine era un film su un gruppo di ragazzi cool che uscivano insieme! Lo richiedeva la parte.
Esatto. Ho semplicemente scoperto l’esistenza di splendidi attori che chiacchierano, si conoscono, escono insieme e poi recitano meravigliosamente. Ma io non ci riesco ed è un mio limite. Non ne faccio una tragedia. In un certo senso so quando non riuscirò più a separare la mia persona dal personaggio che sto interpretando.

«State alla larga, tranne sul set».
Di solito dico letteralmente: «Non ci riesco perché sarò il peggior attore che abbiate mai visto se continuiamo a chiacchierare». Sai, durante le riprese di Amsterdam, ho dovuto rivolgermi con queste parole a Chris Rock. Sono andato da lui a dirglielo. Cavoli se mi piace la sua comicità. Ricordo che appena è arrivato ho esclamato: «Ah, wow, fantastico. Sì, come stai, amico?» Abbiamo fatto due chiacchiere. Poi sono andato a girare una scena e ho pensato: «Oddio. Sono solo Christian, qui in piedi, un fan di Chris Rock». Così sono tornato da lui e gli ho confessato: «Amico, devo tenere le distanze». Hai provato a nuotare e ridere allo stesso tempo? Non so tu, ma io annegherei. Non posso contemporaneamente ridere e nuotare. Il concetto è piuttosto semplice. Per cui ho dovuto risultare antipatico, anche se mi sarebbe piaciuto tantissimo continuare a chiacchierare con Chris.

Lui come ha reagito?
Mi ha risposto: «Oh, ti giochi la carta dello stronzo. Intendi fare l’asociale e non parlare». Io a malincuore ho ribattuto: «Sì. Mi spiace, amico». E sono io quello che ci ha perso, credimi.

Adesso nella mia testa vedo Chris Rock arrabbiato con Batman. Mi domando: com’è stato trovarsi al centro di qualcosa di così importante che ha dominato la cultura, come i tre film di Batman da te realizzati sotto la regia di Christopher Nolan?
In realtà, per molti aspetti, ho sempre avuto l’impressione di vivere un’esperienza che faceva qualcun altro. Pensavo: «Oh, sì. Qui è accaduta una certa cosa. Sta andando benissimo, mi dicono. È fantastico». Così me ne andavo da Ralphs, il supermercato, a comprare delle banane.

C’era una parte di te, quando hai visto che quei film stavano funzionando veramente bene, che era preoccupata di rimanere imprigionata per sempre nel personaggio di Batman?
Sì, ma mi piaceva da matti. Capivo quanto perché pensavo: “Potrebbe essere la volta buona. Potrei non essere mai nient’altro che questo.” Per molti colleghi non sarà così. Pensavo: “Ah, forse sarò costretto a fare qualcosa di diverso. E magari questa cazzo di cosa dell’attore che sono stato costretto a fare da bambino e inizialmente non volevo neppure fare è finita, ne sono fuori. Sono libero.” Dopo, però, non è successo.

Christian Bale per GQ

Cappotto Salvatore Ferragamo. Camicia vintage Abercrombie & Fitch via The Society Archive. pantaloni Polo Ralph Lauren

Qualche giorno dopo Christian Bale ripropone lo stesso locale a Santa Monica, arriva di nuovo un po’ in ritardo e dice che sta vivendo un déjà vu: 
«Cosa ho detto l’ultima volta? Pensa che ho dimenticato la macchina vicino alla tangenziale? Di nuovo». Stesso séparé. Stessi loschi personaggi di Los Angeles che ci passano davanti come squali in un acquario. Stessa barba da Guerra di secessione.
«Chiedo scusa per averti riportato qui», dice. Mi racconta che in alternativa ha pensato di portarmi a fare motocross. «Però, ho riflettuto sul fatto non puoi parlare mentre fai motocross. Fai solo…» scherza mimando il gesto di girare l’acceleratore di una moto. «Che forse sarebbe il mio sogno».
Si dà il caso, dice, che corresse in moto. Allunga il braccio sinistro: «Metallo, tutto metallo, tipo 20, 25 viti in tutto il braccio».

Il tuo braccio sinistro è tutto di metallo?
No, la clavicola è in titanio. Il polso sembra un apribottiglie: se mi dovessero aprire, vedresti una grossa placca di metallo che tiene insieme il polso e anche delle viti nel ginocchio. Il che dimostra quanto il mio entusiasmo per le moto fosse superiore alle mie capacità di guidarle. Dopo ho smesso. Mia figlia era molto scontenta del costo del taxi per venire a prendermi in ospedale. Mi ha consigliato di non spendere più il denaro di famiglia in quel modo.

Ti manca?
Ah, sì, decisamente. È avvincente e meraviglioso. Voglio dire, so che a nessuno potrebbe piacere se non ci fosse anche un elemento di pericolo, ma ti permette di provare un’immensa euforia. Una sensazione inspiegabilmente rilassante ed euforizzante allo stesso tempo. Un fascino straordinario senza paragoni.

[Qui, il mio registratore si guasta e lui mi aiuta a trovare la app dell’ iPhone per registrare la nostra conversazione.]
Guarda negli Strumenti; di solito è lì, perché io lo uso continuamente.

A cosa ti serve?
La uso quando voglio parlare con me stesso. Anche per affinare la dizione, la cadenza di un dialetto o quando intervisto delle persone. Me ne sono reso conto dopo che abbiamo parlato l’altro giorno perché a un certo punto hai detto: «Beh, non sono io che devo rispondere alle domande in questa intervista». Di solito, è ciò che dico io. È così che vedo il mio lavoro. Penso: «Sono io l’intervistatore, ascolto le persone e poi faccio il mio mestiere. Non sono l’intervistato». È il motivo per cui cerco sempre di fare finta, in qualche modo, di stare parlando di qualcosa, ma in realtà non sto dicendo niente. Ho una montagna di meravigliose registrazioni di tutte le varie persone reali che ho interpretato. È ancora tutto conservato, comprese le registrazioni dei miei figli.

Cosa pensano i tuoi figli quando li registri?
Oh, gli piace da pazzi. Non c’è niente di meglio per attirare l’attenzione delle persone che imitarli. Ci sono di sicuro momenti in cui verrai completamente ignorato e allora non ti resta che fare un’imitazione. Così restano incantati. Inizi a far finta di essere loro e tutti ti danno retta. È il modo istantaneo per richiamare l’attenzione delle persone.

Sembra una bella mossa per un attore quattro volte candidato all’Oscar. Non sono sicuro su cosa riuscirei a fare io.
Nessun problema, chiunque ci riesce. Tutti lo adorano. Oh, devi provare. Pensaci. Se mentre sono seduto con te, capisci che ti ho studiato abbastanza fino a poterti veramente imitare, non importa quanto sia bella l’imitazione. Ti ho guardato abbastanza per poter dire, «Sai cosa, Zach, questo è quello che sei e quanto hai fatto». Lo recito ed è affascinante. Pensano: «Oddio, qualcuno mi ha prestato così tanta attenzione?» Credo sia il pensiero che gli passa per la testa. Hai subito la loro attenzione e poi puoi dire qualsiasi cosa tu voglia. 

È una strana visione dell’umanità: abbiamo bisogno di essere lusingati prima di prestare attenzione.
Vogliamo essere visti!

Mi hai detto che questo è lo stesso séparé in cui vi siete seduti tu e David O. Russell per lavorare ad Amsterdam. Come vi siete conosciuti?
Feci un’audizione per Three Kings in cui non mi volle neanche nella sala. In realtà l’ho, più o meno, insultato. Sapeva chi voleva scegliere per il ruolo, ma penso che per educazione stesse esaminando altre persone. Così era tutto indaffarato a lavorare a un copione o non so a cosa e lasciava che il direttore del casting gestisse la situazione. Mi sedetti a suo fianco e chiesi: «Oh, non ha niente da dire? Se ne sta lì seduto in questo silenzio totale, non ha intenzione di dire niente?» Allora ha sollevato lo sguardo, c’è stato un lampo nei suoi occhi e mi ha detto, «Va bene, sai come voglio che lo reciti? Ti ricordi di Macaulay Culkin in Mamma, ho perso l’aereo?» Ha preso la propria faccia tra le mani e spalancando gli occhi ha detto: «Questo voglio sentire. Adesso voglio ricevere quella sensazione dalla tua lettura».

Christian Bale per GQ

Cappotto e T-shirt Dolce & Gabbana. Catenina David Yurman.

Un regista che ti chiede di fare un’audizione come Macaulay Culkin in Mamma, ho perso l’aereo equivale a un «vaffanculo»?
Direi proprio di sì. Ma gli voglio bene da morire ed è stato l’inizio di un bel rapporto. 

Hai detto che avete collaborato al copione di Amsterdam. Sei anche produttore del film. Che cosa significa?
Ti rispondo dicendo che, dopo David, sono la persona che ha dedicato più tempo al progetto. Significa che ci metto dei soldi? No. Niente del genere. Sono più quello che si definirebbe un produttore creativo.

Sei anche produttore di The Pale Blue Eye, giusto?
Di nuovo, molto generosamente, me l’ha chiesto Scott. Si deve veramente al mio rapporto di lavoro con David e Scott. Hanno detto tutti e due, «Ehi…dai, metticela tutta», sai cosa intendo?

I…
In realtà, scusa… scusa se ti interrompo. In particolare, ci tengo a dire che a David, ho detto: «Amico, abbiamo creato qualcosa di speciale. Voglio subito il controllo della situazione per proteggere il lavoro. Non voglio scoprire che finiamo per fare un film diverso e non puoi dirmelo». Pertanto, è vero, gli ho veramente detto: «Amico, vai!» Non posso, di conseguenza, dire se veramente me l’avrebbe chiesto o no.

Incredibile.
Sì, ho capito che era una mia pia illusione che me lo chiedesse. Non l’ha fatto, però spero di essere stato un aiuto e non un peso per lui.

«C’è un valore nel raccontare una storia, sai? Ti sembrerò completamente fuori di testa, ma per come mi piace fare questo lavoro cerco di distruggere me stesso per costruire un altro personaggio»

Burt, il personaggio che interpreti in Amsterdam, sembra un tipo per cui non si può neanche scrivere un copione tanto è ritagliato su di te e il tuo stile di interpretazione. Mi domando da dove venga la varietà dei tuoi innumerevoli personaggi. Lo so che è nella natura di questo lavoro, ma non è quello che fa la maggior parte degli attori.
Beh, ci sono approcci diversi a questo tipo di mestiere e ognuno ha una propria validità. Esistono attori che sono solo innegabilmente dei bastardi carismatici e desideri che facciano sempre la stessa cosa. Se cambiano, mi scombussola. Penso: «Mi piace da matti vederti impegnato in quella specifica parte perché ci posso contare e mi diverte da morire». E sai cosa, non è ciò che faccio io, perché voglio tutto il pacchetto. Stavo pensando alla tua domanda del tipo «Perché cazzo hai fatto Thor?» E…

Scusa se sono io a interromperti, ma non è così che ho formulato la domanda!
Beh, è l’impressione che ho avuto dal modo in cui me l’hai chiesto. Hai detto: «Sì, va bene, che cazzo di senso aveva Thor?» Il motivo è che adoro quei film. Li amo. C’è un’atmosfera e un tempo per ognuno di essi e credo fermamente che ogni singolo genere di film possa essere fatto mettendoci del genio.

Per la cronaca, la domanda non era «Perché cazzo hai fatto Thor?» è ovvio che tu, da persona creativa concentrato in una carriera da attore impegnato, volessi lavorare con David O. Russell che ti ha già fatto guadagnare la candidatura per due Oscar. Thor è meno evidente.
Già, è meno evidente. Comunque, amo veramente i film che abbiamo realizzato io e David, sai cosa intendo? Parlo del processo di realizzazione perché non ho controllo sul resto. Quindi è il processo che conta insieme a David. Anche se non passiamo sempre quello che si definirebbe un giorno piacevole, siamo entrambi presenti con tutti noi stessi sapendo che siamo completamente in sintonia. Di conseguenza possiamo correre in spiaggia, abbracciarci o non parlarci per settimane di fila.

David è noto per i suoi set difficili: hai citato Three Kings che è stato un ambiente turbolento. Huckabees è stato ancora più duro per alcune persone, senza parlare di American Hustle. Qual è la tua esperienza?
Se riesco a capire da dove provengono le difficoltà, tendo a cercare di fare da mediatore. È nella mia natura tentare di dire: «Ehi, andiamo, sediamoci e risolviamo la questione. Ci deve essere un modo per far funzionare le cose».

Christian Bale per GQ

Maglione Loro Piana. Jeans Balenciaga. Occhiali Ray-Ban personali

Dopo American Hustle, Amy Adams si è confidata e ha detto di aver pianto molti giorni su quel set. È stato riferito che tu sei intervenuto a suo favore con David e gli hai detto: «Smettila».
Ho fatto da mediatore.

Allora è accaduto veramente? Stavi facendo sì con la testa. Okay. Questo ti fa provare sensazioni diverse riguardo al film finito?
No. No, no, no. No. Qui abbiamo a che fare con due talenti incredibili. Non lascio che quanto accade durante la lavorazione interferisca in alcun modo. Se mi rendo conto che ci siamo avvicinati al risultato voluto, e ricorda che ci si può solo avvicinare perché la nostra immaginazione è troppo sviluppata per raggiungerlo pienamente, è impossibile che non sorgano screzi, soprattutto se lavori con persone dotate del talento creativo pazzesco di Amy o di David. Sono dei cazzo di fenomeni. Inoltre, non va dimenticata anche la natura dei personaggi. Non erano persone che cedono davanti a nulla, giusto?

Ho fatto l’esperienza di riguardare il film e di chiedermi: sapere che Amy ha avuto problemi con il regista mentre girava questo film dovrebbe influire sul mio piacere nel vederlo?
No. No. E, a proposito, non sono stato io a decidere per lei, me lo ha chiesto.

Ha detto: «Va bene, American Hustle può andare avanti».
Esatto. Sì. Proprio così.

E tu? Come ti senti riguardo al modo in cui l’hai gestita?
Ho fatto quello che sentivo appropriato, molto in stile Irv.

Il tuo ruolo di Irv in American Hustle è da commedia, uno stile che è sembrato nuovo per te.
Nessuno me l’aveva richiesto prima. Così, all’improvviso, è accaduto. Hanno domandato, «Sei capace di fare anche questo?» Ogni tanto ottieni un ruolo in cui hai modo di fare qualcosa di completamente diverso. Di conseguenza, si apre un menu completamente diverso. È una ventata d’aria fresca... Penso che dipenda anche dal fatto di avere una certa età, ti tira più fuori quella corda.

La volta scorsa ti ho domandato se hai una teoria sul perché hai avuto successo in ruoli da protagonista. E tu hai risposto deliberatamente: «Non ce l’ho».
Una cosa che sicuramente penso è di non essermi mai considerato un protagonista. È noioso. Non si ottengono le parti migliori. Anche se ho un ruolo da protagonista, faccio finta di interpretare, per esempio, il quarto, quinto personaggio in ordine di importanza, perché hai più libertà. Inoltre, non penso più di tanto all’effetto d’insieme che un personaggio avrà. Sono io che ci devo giocare, un po’ come fanno gli animali e i bambini. Avere una visuale limitata su quello che stai facendo e non pensare all’effetto che susciti. Sai, ho imparato alcune cose, molto essenziali. Una è che mi voltavo sempre rispetto alla telecamera se vivevo un momento che pensavo potesse essere un po’ imbarazzante. Il cameraman era costretto a intervenire e doveva dire: «Probabilmente era una ripresa fantastica, Christian, ma non abbiamo visto niente, perché continui a girare la testa dall’altra parte. Del tipo, per favore, devi capire che se nella vita potrebbe essere un momento per cui uno vuole la sua privacy, al cinema ci devi lasciar entrare. Capito?».

Stai parlando di un tuo imbarazzo personale o del personaggio?
Se non interpreti un esibizionista estremo, o magari qualcuno che non è sincero con le emozioni, nessuno tende a piangere e girarsi verso ogni parte della stanza, sai come dico? Le persone riconoscono che è un momento che stanno vivendo e piangono in silenzio tra sé e sé. Se sei troppo consapevole della presenza di una telecamera, ti giri anche rispetto all’inquadratura perché pensi: «Non posso lasciare assistere neanche loro». È una reazione del tutto naturale. Umana.

Christian Bale per GQ

Trench Diesel, salopette Levi’s, camicia Polo Ralph Lauren

Bisogna essere al 95 per cento umani e nel personaggio e al 5 per cento consapevoli.
Stiamo raccontando una storia. C’è un valore nel raccontare una storia, sai? Ti sembrerò completamente fuori di testa, ma per come mi piace fare questo lavoro cerco di distruggere me stesso per costruire un altro personaggio. Se guardo al passato, ho fatto molti film per cui penseresti: “Davvero? Valeva la pena tanto sforzo per interpretare quel pezzo di merda?” In un certo senso distruggi te stesso per non essere più infastidito dal senso di umiliazione. Non sei imbarazzato, perché dimentichi il più possibile che sei tu. Non per nulla ho iniziato la frase dicendo che ti sembrerò fuori di testa. La cosa in realtà mi porta a una considerazione divertente: come sai non so quando è stata l’ultima volta che ho rilasciato un’intervista come questa, in cui ho veramente parlato per un certo periodo di tempo. Sono abituato a schivare e a non dire un cazzo di niente facendo finta di dire qualcosa, così non dico niente e poi è finita, okay?

Dopo che ho parlato con te l’ultima volta, sono accadute un paio di cose: un mio amico aveva qualche problema e mi ha contattato perché aveva bisogno di aiuto o qualcosa di simile. Ero concentrato su quello, ma poi ho anche pensato: «Che terribile errore è stato concedere queste interviste a Zach». Il senso era, «Oh, cazzo. Merita che gli parli veramente mentre io non faccio altro che cercare di non dire un cazzo di niente, o faccio solo: ‘Eh, l’ho già detto prima, non diciamo niente di nuovo qui.’» Mi piace che i film escano in modo teatrale e sono sinceramente preoccupato che smetta di succedere. The Pale Blue Eye ha avuto la rete di protezione di Netflix. Amsterdam no. Penso: «Oh, cazzo». Mi hanno sempre detto che questo genere di comunicazione aiuta. Non ci ho mai creduto. Eppure, ho pensato: «Va bene». Ci tengo. Ci tengo, sai? Non è il genere di realtà che ho la possibilità di vivere interpretando dei personaggi. È il mondo della realpolitik tipo, «Porca puttana. Voglio potere continuare a fare questo tipo di lavori». Quindi, era quella la mia motivazione originale. Ho pensato, «Sì, va bene. Okay. Forse è arrivato il momento». 

Riguardo a te e me, hai appena voluto comunicarmi che durante la nostra ultima conversazione hai cercato di non dire niente?
Aspetta, aspetta, aspetta. Cosa intendi?

Non ho capito se hai voluto dire che sei andato a casa dopo l’ultima volta e hai pensato, «La prossima volta, Zach merita la verità».
Tu cerchi qualcosa in più. Non che non fosse la verità, ma ho pensato: «Oh, mamma». Sì. Mi sono detto: «Come faccio per rispettare allo stesso tempo quello che sta cercando?».

«Non mi interessano le mezze misure. Dico: ‘Ah, no, sono a posto così’, oppure ‘Oh, davvero? Dai, andiamo più a fondo di chiunque altro abbia mai osato prima.’ Così la vita diventa più divertente».

Hai avuto l’impressione dopo la nostra ultima conversazione di essere riuscito a boicottarmi o evitare di rispondere alle domande?
Non è questo. Era un territorio in cui non entravo da tanto tempo, per cui non sapevo che cos’era accaduto. Mi sono detto: «Oh, sì». Me ne sono andato pensando: «Che cosa è successo? Gli ho dato qualcosa o ha pensato, ‘Porca puttana. Non c’era niente in quello che ha detto’?» A proposito, dobbiamo parlare di altre cose? Perché mi sento un bastardo molto egoista.

Vuoi dire cose che non sono Christian Bale?
Sì. Non so, di che cosa parla la maggior parte delle persone? Perché mi sembra che stiamo parlando troppo di me.

È un po’ il senso di questo esercizio.
Sì, ma puoi… sai com’è, non so. È vanità sfrenata questa? Non so. Mi piace mettermi nei tuoi panni. Adoro sedermi con delle persone reali, intervistarle e ottenere tutte le informazioni, portarmi via il registratore, trascrivere la conversazione e poi immaginare il personaggio. Non sono abituato a qualcun altro che cerca di fare lo stesso con me.

Detesto darti questa notizia ma anche tu sei una persona reale.
Cosa?!

Christian Bale per GQ

Giacca Fendi Men’s. Maglione Tom Ford. Pantaloni e stivali Balenciaga. Orologio Rolex

Sto cercando di pensare di cos’altro potremmo parlare se non di te.
Beh, i miei interessi e le mie passioni rientrano ancora nell’universo di Christian Bale, giusto? Per una decina d’anni, ho cercato di mettere insieme i pezzi... Se è corretta la storia della mia famiglia su cui ho fatto delle ricerche, una delle mie sorelle è stata in affidamento per un certo periodo. Un dato che dovrebbe essere irrilevante; non devi avere un legame personale per preoccupartene, ma la Contea di Los Angeles ha più bambini in affidamento che praticamente qualsiasi altra parte degli Stati Uniti d’America. La maggior parte della gente non ne ha la minima idea. Mi sono imbattuto in un’organizzazione che è stata fondata dopo la Seconda Guerra Mondiale in Austria. Si tratta di SOS Children’s Villages. Ho preso un volo per Chicago e sono andato a visitarla. Ho scoperto l’esistenza di un’organizzazione fantastica impegnata a evitare che i fratelli vengano separati.

Una cosa che a quanto pare ti è accaduta veramente.
A quanto pare. Era una sorella maggiore. Per cui non ho ricordi precisi, ma se la storia della mia famiglia è esatta, sì. Ci tengo a sottolineare, in realtà, che non dovrebbe avere importanza. Le persone dovrebbero interessarsi ai bambini in quanto tali, per amor di Dio. Dico bene? Però, ho pensato: «Va bene, magari posso comprare un pezzo di terra quaggiù per contribuire a lanciare Children’s Villages California». Ho immaginato Tutti insieme appassionatamente e tutti quei bambini felici che si sono lasciati un trauma alle spalle e corrono in giro, come si chiamano? La famiglia Von Trapp? Non ho mai visto il film. Poi ho capito che era disperatamente irrealistico. Il vero obiettivo è l’integrazione nella comunità. Ci è voluta un’eternità e finalmente ho trovato dei partner meravigliosi: abbiamo comprato due ettari di terra e adesso stiamo costruendo con lo scopo di tenere insieme i fratelli. In più se desiderano rimanere in quel posto fino a 21 anni, ci potranno rimanere fino a 21 anni. Quindi adesso stiamo mettendo in piedi questo progetto e devo entrare in un territorio sconosciuto per me: la raccolta di fondi. Non sono bravo a chiedere soldi a qualcuno. Devo imparare come fare.

Non puoi semplicemente inventare un personaggio che è molto bravo a raccogliere fondi e interpretare quel personaggio?
Esatto. Quando ho passato anni in cui non trovavo lavoro, ci sono state volte in cui mi sono chiesto, «Oh, com’è la mia polizza assicurativa, perché l’albero è caduto dal cortile del vicino?» E pensavo: «Non riesco a leggere una cosa del genere». Alla fine ho pensato: «Diventerò un personaggio che nella vita ama solo leggere polizze assicurative sulla vita». Così la lessi, fronte e retro, e poi chiamai il mio agente State Farm e la passai in rassegna fino a sfiancarli. Mi dissero, «Non c’è mai stato nessuno così meticoloso con una polizza». Hai proprio ragione. Devo diventare qualcuno che adora raccogliere fondi.

Sentirti parlare di quanto sei impegnato in questo progetto mi porta a domandarmi: conosci le mezze misure?
Non mi interessano le mezze misure. Dico: «Ah, no, sono a posto così», oppure «Oh, davvero? Dai, andiamo più a fondo di chiunque altro abbia mai osato prima». Così la vita diventa più divertente.

È un modo di vivere faticoso?
Mi piace sentirmi esausto. Amo sfiancarmi. Alla fine, voglio essere completamente e fottutamente spossato, sai. Ti porta da qualche parte. Capisci cosa voglio dire?

Christian Bale per GQ

Camicia Boglioli. Pantaloni Polo Ralph Lauren. Orologio Rolex

PRODUCTION CREDITS:
Foto di Gregory Harris
Styling di Mobolaji Dawodu

Grooming David Cox using Kevin Murphy 
Set design Heath Mattioli for Frank Reps 
Produzione  Patrick Mapel and Alicia Zumback at Camp Productions