Ai primi di dicembre dell’anno scorso, circa 10 settimane dopo aver assunto il ruolo di direttore artistico del marchio francese di lusso Kenzo, il designer giapponese Nigo è volato in jet privato da Parigi a New York, dove si è subito diretto nella townhouse di Midtown Manhattan del prestigioso gioielliere Jacob&Co. È un pellegrinaggio ben noto all’icona dello streetwear, la cui passione per le catene personalizzate con ciondoli tempestati di diamanti ha fatto di Jacob “The Jeweler” Arabo il suo biografo informale. Questa cronaca della carriera di Nigo è iniziata con le collane con teste di scimmie grosse come un pugno ispirate a A Bathing Ape, il marchio di streetwear che ha cambiato la cultura street fondato dallo stilista nel quartiere di Harajuku a Tokyo nel 1993. Poi sono arrivati i simboli dei dollari-gioiello per commemorare il marchio Billionaire Boys Club cofondato con il producer superstar Pharrell Williams un decennio dopo. In omaggio a Human Made, la linea di sobrio abbigliamento casual per hypebeast lanciato nel 2010, Jacob ha realizzato un assortimento di orsi polari, anatre e altri personaggi in stile cartone animato in diamanti e oro bianco.

Mentre Nigo passeggiava per tutta la lunghezza dello showroom simile a un tunnel di Jacob&Co., inondato di una luce abbastanza potente per rivelare le imperfezioni di qualsiasi gemma, si è capito chiaramente perché LVMH, la casa madre di Kenzo, avesse una tale fiducia nell’appeal presso i giovani di uno stilista di 50 anni. Vestito con jeans, felpa bianca col cappuccio e giubbotto di denim, Nigo era arrivato per trovare ad aspettarlo Lil Uzi Vert. Presto è seguito A$AP Rocky. Poi il manager discografico Steven Victor, che ha convocato una troupe cinematografica per girare un video musicale improvvisato per promuovere l’album I Know Nigo, un progetto pandemico che sarebbe poi fiorito in uno dei dischi hip hop più interessanti del 2022. L’album comprende 11 brani, tutti curati da Nigo, con nuova musica di Pusha T; Kid Cudi; Tyler, the Creator; e vari altri rapper la cui associazione con l’icona dello streetwear è diventata una sorta di vanto nell’hip hop. Il vanto supremo, però, è quello di Nigo, che ha dato prova di vero carisma usando l’occasione del suo nuovo album per riunire, per la prima volta dal 2009, Clipse and the Neptunes – un duo rap scomparso dai radar e raramente attivo, riavvicinati dal loro stilista preferito. «Nigo è il curatore e trendsetter per eccellenza», mi dice Pusha T in una email. «La sua capacità di essere così influente per così tanto tempo è senza precedenti ed è significativa del suo apprezzamento e amore per la cultura». L’alternanza degli shooting per video musicali con il suo lavoro per Kenzo ha ricreato una sensazione familiare – che ha colpito per la prima volta Nigo due decenni fa, quando A Bathing Ape esplose in America. Fu subito adottato da celebrità dell’hip hop come Jay-Z, Pharrell, Busta Rhymes e Kanye West, che, a sua volta, ha cercato lo stilista quando era in visita a Tokyo. «Ho pensato: oh, ecco che ci risiamo», commenta Nigo. Naturalmente, il ruolo in Kenzo presenta una nuova sfida. Per la prima volta nella sua lunga carriera, il marchio la cui ascesa o caduta sarebbe dipesa dalle sue decisioni non era quello creato da lui personalmente. Lo stilista ha invece barattato l’invenzione pura per la reinvenzione alla guida di un’iconica casa di moda parigina che è più vecchia di lui di qualche mese. Kenzo Takada, fondatore del marchio, rimane una figura di riferimento al numero 18 di rue Vivienne, benché si sia ritirato dall’azienda nel 1999. Dopo la recente morte dello stilista, nell’ottobre 2020, Nigo è diventato particolarmente attento all’esigenza di bilanciare la sua visione creativa con una certa dose di fedeltà al compatriota scomparso.

«È legittimo affermare che Nigo è il primo stilista di streetwear ad assumere il comando di questo genere di marchio», osserva Toby Feltwell, cofondatore e direttore creativo del marchio di streetwear Cav Empt, che ha lavorato con lui in Bape e Billionaire Boys Club. («Direi che Virgil è stato un genere di stilista post-streetwear», aggiunge, non per sminuire la storica svolta impressa da Virgil Abloh a Louis Vuitton, ma per correggere un diffuso equivoco riguardo all’attuale rapporto dello streetwear con la moda in passerella.)

Un mese dopo lo shooting da Jacob&Co., Nigo sarebbe tornato sulla scena internazionale per presentare la sua prima collezione Kenzo – la linea per l’autunno 2022, che è attualmente in negozio. È stata una parata di abiti da lavoro, completi e maglie colorati, piena di stampe d’archivio, presentata con basco e giacca da postino, tutte ricavate dai tessuti semplici (denim, cotone, lana) che Nigo conosce molto bene.

La sfilata è stata un esempio della grande capacità dello stilista di procurarsi visibilità – Ye era seduto con Julia Fox alla presentazione della collezione Kenzo dentro alla Galerie Vivienne di Parigi, a fianco di Pharrell, Pusha T e Tyler, the Creator. Quando un giornalista gli ha chiesto perché fosse lì, Ye ha pronunciato due sillabe prima di andarsene: «Nigo». 

Nigo nel quartier generale di Kenzo a Parigi, dove il designer lavora alle prossime collezioni quando non si trova a Tokyo

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Nigo nel quartier generale di Kenzo a Parigi, dove il designer lavora alle prossime collezioni quando non si trova a Tokyo

Quando sono arrivato alla sede centrale parigina di Kenzo agli inizi di giugno, Nigo era impegnato a lavorare al seguito della sua prima collezione, in un ampio ufficio inondato di sole situato nella parte posteriore del rigoroso complesso al numero 18 di rue Vivienne – un edificio che potrebbe facilmente passare per il quartier generale di una banca europea. L’outfit dello stilista era altrettanto sobrio: vestito con una semplice felpa grigia e jeans, senza gli occhiali da sole e il cappello che così spesso costituiscono la sua divisa, sembrava un manifesto ambulante dell’ossessione giapponese della fine del Novecento per l’abbigliamento casual americano.

L’ufficio di Nigo è spoglio come il vuoto cortile sottostante. Al centro della stanza, fotografie della collezione in corso sono disposte in pile ordinate sul lungo tavolo che lo stilista usa come scrivania. A destra di quella scrivania ci sono file di armadietti, una macchina espresso, e un piccolo frigorifero, e a sinistra finestre dal pavimento al soffitto affacciate sul cortile silenzioso. Dietro c’è un séparé pieghevole che funge da spogliatoio improvvisato, con un solo gancio per appendere il suo immancabile giubbotto di denim.

«Sono qui per una settimana circa ogni mese», mi dice. Durante questi soggiorni lontani dalla sua casa di Tokyo, si alza all’alba per seguire i suoi affari in Giappone, tra cui la supervisione dell’attività di Human Made. Nelle ore successive della mattina, mentre Parigi si sveglia, lavora alla sua ultima collezione per Kenzo, che comporta molta più collaborazione di quella a cui è abituato – o quanto meno molte più persone di quelle con cui è abituato a collaborare.

«Il mio modo di lavorare non è quello di un dittatore che comanda dall’alto, ma più di un regista», mi ha spiegato Nigo. «Invece che istruzioni molto definite, porto al team immagini e capi di riferimento che spero li ispireranno». Inizialmente, questo si è tradotto nell’uso di riferimenti specifici presi dalla sua collezione personale, con la sensazione che «fosse essenziale guardare a vestiti veri per evitare di produrre qualcosa che sembrasse artificiale, che è sempre un pericolo nello streetwear, specialmente in Europa». Per la primavera 2023, è riuscito a fare un uso migliore dei riferimenti tratti dai vasti archivi di Kenzo, che hanno alimentato la sua voglia di «collezionare, editare ed essere fiducioso che le cose che voglio collegare staranno bene insieme». Ai primi di giugno, con poco più di tre settimane rimaste prima di andare in scena, era concentrato per ottenere «una dose di coerenza» che collegasse la sua prima collezione Kenzo con la seconda.

«Non sono dell’idea che un marchio debba muoversi più velocemente dei clienti», dice Nigo, descrivendo l’attuale sistema in base a cui funzionano la maggior parte dei marchi di moda, un sistema con cui non intende allinearsi: «Fai una sfilata perché la gente si entusiasmi per i vestiti, e poi, quando quei vestiti sono in negozio, sei già passato oltre, a qualcosa di completamente diverso».

Sul tavolo tra noi è posata una rivista giapponese di moda d’epoca, che Nigo apre per rivelare varie pagine piene di fotografie in bianco e nero di Kenzo Takada, che è diventato per lui oggetto di intenso studio. Sfogliando la rivista, il suo distacco degno di Buddha si dissolve in una fascinazione emozionata.

«Il mio lavoro per Kenzo rispecchia il mio legame personale con il marchio, per cui metto l’accento su dov’era collocato negli anni ’80, perché è allora che ho iniziato a interessarmi alla moda», mi confida Nigo.

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Nella maggior parte delle foto della rivista, Takada indossa cappotti e completi doppiopetto spiccatamente europei su dolcevita. Ma in alcune sembra appassionato dello stesso abbigliamento casual americano che avrebbe poi affascinato Nigo – jeans con una spessa cintura di pelle, chemisier scozzesi, e maglie drappeggiate sulle spalle come una sorta di cosplay dell’Ivy League. «Ho sempre pensato che i capi occidentali fossero molto più cool», dichiara lo stilista. «Al punto che ho iniziato a detestare la cultura giapponese». Questo odio si è affievolito, ma la genuina affinità di Nigo con il fondatore di Kenzo sembra veramente radicata nella fascinazione comune per le mitologie sartoriali dell’Occidente.

La fascinazione di Nigo per l’Amerikaji, o lo stile casual americano, è cominciata con una famosa boy band giapponese degli anni ’80 che si chiamava The Checkers. «Si vestivano come rocker degli anni 1950, e mi piacevano da pazzi», mi racconta. «Ho iniziato a portare i jeans Levi’s 501 e le T-shirt Adidas e un bomber che presi in un negozio specializzato in abbigliamento casual americano». Poi è venuto Run-DMC, che ha contribuito a collegare l’ossessione per l’Amerikaji con la cultura americana, proprio mentre stava diventando sempre più sinonimo di cultura hip hop. Ma il successo di Nigo sarebbe dipeso tanto dal suo senso emergente del gusto quanto dai suoi studi in un prestigioso istituto di moda di Tokyo che si chiama Bunka Fukuso¯ Gakuin, dove si è diplomato nel 1991 dopo un corso per redattori di moda. La sua ispirazione era Hiroshi Fujiwara, fondatore del marchio seminale di streetwear giapponese Goodenough, che veniva salutato come originario vate della street-culture del Giappone. 

A quei tempi, non era ancora noto come Nigo, ma con il suo nome di battesimo, Tomoaki Nagao. Aveva però una tale somiglianza con Hiroshi Fujiwara, che gli amici iniziarono a chiamarlo Hiroshi Fujiwara Nigo, che significa Hiroshi Fujiwara numero due. Un lavoro come assistente personale di Fujiwara cementò il soprannome, che fu presto abbreviato in Nigo. Quella prossimità con Fujiwara lo ha anche portato al centro della promettente scena dello streetwear di Harajuku. Si accaparrò un lavoro nella rivista di moda maschile di tendenza Popeye – con lo slogan “la rivista per i ragazzi di città” – e nel 1993 Nigo e il suo compagno di scuola alla Bunka Fukuso¯ Gakuin, Jun Takahashi, aprirono un negozietto che si chiamava Nowhere, situato in quelle che erano allora le tranquille vie laterali di Harajuku. Takahashi vendeva abbigliamento con il suo marchio, Undercover, mentre Nigo trattava marchi di streetwear importati dall’America. (Fujiwara era da tempo il rappresentante di fatto di Stüssy in Giappone.) Prima della fine dell’anno, Nigo iniziò a creare le sue T-shirt e giacche in edizione limitata, decorate con immagini di primati prese dal Pianeta delle scimmie. Il logo con la scimmia del marchio fu disegnato da Shinichiro Nakamura, artista meglio conosciuto come Sk8thing, che diede anche alla linea di abbigliamento di Nigo il suo nome stranamente poetico: A Bathing Ape in Lukewarm Water. Questa strizzata d’occhio alla vita senza scopo, tollerabilmente comoda, della generazione di Nigo, che entrava nell’età adulta nel pieno della prima crisi economica del Giappone dopo la guerra, fu abbreviato in A Bathing Ape, e, in ultimo, Bape.

Nel corso del decennio successivo, Bape esplose, prima in Giappone, poi all’estero. Il suo straordinario successo era in parte dovuto alla strategia di incentivare la domanda limitando l’offerta, un concetto che stava già funzionando per Stüssy in Giappone. Il fondatore di quel marchio, Shawn Stussy, aveva realizzato inizialmente vestiti per surfisti, che però avevano preso piede anche tra gli skateboarder. «Shawn era focalizzato sulle persone per cui faceva vestiti», mi ha detto Fujiwara. «Le sue priorità non cambiarono dall’oggi al domani quando Stüssy divenne popolare tra le persone che non facevano surf». Quella focalizzazione colpì Fujiwara, che impiegò una strategia simile con Goodenough. Nigo seguì poi l’esempio di Goodenough e limitò la produzione e le vendite ai suoi negozi, che hanno coltivato un’aura di esclusività intorno alle T-shirt e alle giacche Bape fatte con materiali normali, poco costosi.

I look delle prime due collezioni Kenzo di Nigo, autunno 2022 e primavera 2023, hanno fatto uso di alcune delle cose che lui conosce bene: denim, stampe grafiche e cappelli scenografici

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I look delle prime due collezioni Kenzo di Nigo, autunno 2022 e primavera 2023, hanno fatto uso di alcune delle cose che lui conosce bene: denim, stampe grafiche e cappelli scenografici
Courtesy of Kenzo

I suoi contatti in riviste importanti come Popeye e Hot Dog, e la sua comprensione da addetto ai lavori della stampa di moda giapponese, nel frattempo, gli hanno garantito il genere di visibilità che ha contribuito a dare risalto al marchio di abbigliamento di culto. Scene che lasciavano prevedere il futuro internazionale dello streetwear si svolgevano davanti al piccolo negozio, dove i fan scatenati si mettevano in fila a centinaia per poter comprare una delle 50 nuove T-shirt Bape. Andò avanti così per diversi anni prima che Nigo capisse finalmente la principale differenza tra lui e il suo mentore: diversamente da Fujiwara, che non aveva mai voluto una grande azienda con un esercito di dipendenti, Nigo desiderava di più. Nel 1998, aprì vari nuovi negozi in tutto il Giappone, ognuno pensato per proiettare un senso di lusso, e iniziò a produrre abbastanza T-shirt da vendere a tutti. Bape presto trascese l’esclusività e divenne, probabilmente, il primo marchio di streetwear del mondo capace di camuffarsi da marchio di lusso.

Il profilo di Nigo è diventato internazionale intorno al 2003, quando ha fatto amicizia con Pharrell. Si sono conosciuti tramite Jacob, che, mi racconta Pharrell, «stava parlando di questo tizio che entrava con poster di me e dei gioielli che creavo con Jacob, dicendo che voleva farsene fare di esattamente uguali. Così Jacob glieli faceva, ma se io ce l’avevo in oro giallo, Nigo se lo faceva fare in oro giallo, bianco e rosa». Alla fine, si sono incontrati a Tokyo, dove Nigo invitò Pharrell a usare il suo studio di registrazione quando era in città per un concerto. «E quando ho lavorato nel suo studio, ho capito che era tutto un mondo», mi dice Pharrell. «Un piano era uno studio, un altro uno showroom di abbigliamento, il successivo uno showroom di calzature, e quello ancora successivo uno studio fotografico dove realizzava tutte le sue campagne».

Negli anni seguenti, Nigo e Pharrell divennero come Vivienne Westwood e i Sex Pistols – e dato che Pharrell era sinonimo di hip hop, lo era anche Nigo. Questa evoluzione trova la massima evidenza nella musica di Nigo, che produce concettualizzando canzoni, campionature e ritmi che sono realizzati attraverso un ampio ventaglio di collaboratori: il suo album di esordio, Ape Sounds, uscito per l’etichetta britannica Mo’ Wax nel 2000, mescolava pop psichedelico e trip-hop in una contaminazione di generi con featuring di Money Mark e Cornelius. Cinque anni dopo, con il suo gruppo giapponese di hip hop Teriyaki Boyz, Nigo vantava producer come DJ Premier, Just Blaze, The Neptunes, Ad-Rock dei Beastie Boys e Mark Ronson. Quello che è successo nel frattempo mi è stato spiegato da Feltwell, che studiava giurisprudenza e lavorava come rappresentante A&R per Mo’ Wax quando Nigo lo chiamò a lavorare da Bape.

«Ci siamo accorti che stava arrivando un grande cambiamento nella cultura popolare internazionale, e che in un certo senso noi ci rientravamo in modo simbiotico», mi dice Feltwell. «Lo vedevamo arrivare, e capivamo che doveva esserci un nuovo look che fosse in linea con quel movimento culturale».

Con Feltwell che faceva da interprete, Nigo trascorse più tempo a New York, dove i due si convinsero sempre di più che l’hip hop americano sarebbe diventato la forza culturale dominante nel decennio successivo. All’inizio del secolo, intanto, divenne evidente la crescente rilevanza culturale del Giappone in America – Hayao Miyazaki vinse un Oscar per La città incantata, Takashi Murakami fece sensazione nella Pop art, e le vendite dei prodotti Hello Kitty lasciavano presagire quello che sarebbe poi successo con i Pokémon. Nel 2003, la cultura pop americana venne inondata da visioni del Giappone grazie a Lost in Translation di Sofia Coppola, che fu girato a Tokyo per un budget di 4 milioni di dollari e ne guadagnò 118 al box office. (Hiroshi Fujiwara fece un cameo.) Un anno dopo, con la canzone Harajuku Girls, Gwen Stefani rese omaggio al quartiere che Fujiwara e Nigo avevano contribuito a costruire. Tutto questo giocò a favore di Nigo, così come la sua vasta curiosità per l’America e il suo senso malleabile dell’aspetto che la cultura americana doveva avere. Poi, naturalmente, c’era la sua provvidenziale amicizia con il gioielliere preferito dal mondo dell’hip hop.

Nel tempo, la propensione di Nigo a collezionare gioielli appariscenti, arte moderna e mobili vintage lo ha portato ad acquistare una casa completa di magazzino per la presunta cifra di 30 milioni di dollari nel centro di Tokyo. «Le cose mi sono sfuggite di mano, ed è in parte il motivo per cui qualche anno fa ho deciso di vendere alcuni pezzi della mia collezione», mi dice Nigo. Lo ha fatto tramite un’asta da Sotheby’s nel 2014, che è stata presentata come vendita di una collezione privata. Comprendeva opere d’arte di Andy Warhol, KAWS e Hajime Sorayama; mobili di Jean Prouvé e Charles e Ray Eames; e beni di lusso che spaziavano da orologi Richard Mille a bauli di Maison Goyard, Louis Vuitton e Fendi. Mettere all’asta parte della sua collezione, mi racconta, è stata l’occasione per assistere a qualcosa di simile al suo funerale – l’asta fu intitolata Nigo Only Lives Twice (Nigo vive solo due volte). Quel desiderio esprimeva la visione del mondo profondamente orientata verso gli oggetti che ha adottato, che è in contrasto con la sua convinzione che «la vera gioia di collezionare cose è sapere che la tua collezione non sarà mai completa».

Al momento dell’asta, erano passati tre anni da quando Nigo aveva venduto la casa madre di Bape, Nowhere Co. Ltd, per poco più di 2 milioni di dollari – una somma che rispecchiava gli ingenti debiti della società più che il suo fatturato, che rimaneva superiore a 60 milioni di dollari all’anno. A parte il debito crescente, la vendita sembrava in parte motivata dal desiderio di Nigo di passare oltre sul piano creativo, invece che rimanere legato alle stesse felpe col cappuccio e sneakers che facevano andare avanti il suo colosso scimmiesco, stagione dopo stagione. «In un certo senso mi sentivo limitato dal successo di Bape, perché mi costringeva a passare molto tempo a fare cose che non volevo necessariamente fare», dice Nigo. «Ogni stagione doveva avere le sue felpe con gli squali o i capi camouflage color cioccolato – le parti del marchio che avevano più successo hanno finito per diventare zavorre».

Human Made, che Nigo ha fondato nel 2010, era un tentativo di riallacciarsi alle sue radici, e per anni un basso profilo è stato una specie di rifugio per lo stilista, che ha rivelato nella sua libertà post-Bape di essersi abbandonato al piacere dell’understatement Amerikaji e alla libertà di focalizzarsi sulla realizzazione di «qualcosa di reale». «Attualmente tutto è scioccante e chiassoso. Il mio approccio è fare qualcosa di così radicato nella realtà da essere in contrasto con tutta la follia di questi vestiti che non si può veramente immaginare che qualcuno indossi sul serio». La libertà può essere una sorta di trappola, però, anche se Nigo non se n’è reso conto fino a quando non gli venne chiesto di assumere la direzione di Kenzo. «Ho capito che avevo fatto più o meno tutto quello che si può fare nel mondo dello streetwear», dice. «Ho capito che avevo bisogno di una nuova sfida».

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Con tre settimane rimaste per preparare la sua seconda collezione, Nigo mi raggiunge per pranzo nel suo ristorante italiano preferito, nel 2° arrondissement di Parigi. Davanti agli antipasti di cremosa burrata annaffiati con vino bianco, mi dice che non aveva mai immaginato che la sua agenda lavorativa potesse un giorno ruotare intorno alle sfilate. «Non considero quella parte del settore della moda particolarmente romantica», osserva. «Ma avendo trascorso la mia carriera in un’altra parte del mondo della moda, accettare questo lavoro da Kenzo è stato attraente in parte perché mi offre la possibilità di vivere quella che si potrebbe considerare moda mainstream». La curva di apprendimento era ripida. Mentre creava la sua prima collezione, Nigo ha dovuto adattarsi a una cultura lavorativa completamente diversa. Il suo staff era inizialmente in tensione, perché non è insolito che i nuovi direttori creativi si portino il loro personale. «Credo che molti si aspettassero di essere licenziati», mi confida. L’arrivo del CEO Sylvain Blanc ha facilitato la transizione, ma ci sono volute settimane perché la tensione residua svanisse. «Il gruppo non cambia CEO e direttore creativo insieme perché le cose sono andate meravigliosamente bene», commenta Feltwell. «C’era un motivo per i cambiamenti che si dovevano apportare».

Altre sfide si sono rivelate più attraenti. Per la prima collezione, Nigo ha colto l’occasione per creare una linea di abbigliamento donna, che è stata accolta positivamente. Ha anche limitato l’estetica streetwear verso cui il marchio aveva virato per una parte del decennio precedente, offrendo abiti, cappotti e semplici vestiti da lavoro colorati, al posto di felpe grafiche e logo appariscenti. Ora in sintonia con lo staff di Kenzo, Nigo ha scoperto che la sua sfida, in qualità di veterano dei trendsetter, era indagare nel futuro più di quanto richieda l’industria dello streetwear. In Human Made, una piccola divisione interna permette di trasformare rapidamente le idee in prototipi e i prototipi in prodotti.

«Creare quel senso di desiderio, quella sensazione che devi avere qualcosa per te», mi spiega Nigo, richiede non soltanto la capacità di «guardare avanti rispetto a tutti gli altri, ma anche di essere in sintonia con i loro sentimenti». Una delle sfide che il suo lavoro per Kenzo presenta è quindi immaginare le sensazioni delle persone riguardo a un capo di abbigliamento tra diversi mesi, più che diverse settimane. «Provenendo da un contesto in cui non è tutto imperniato sulle sfilate, o presentare i vestiti ai media con mesi di anticipo, sono grato della possibilità di studiare e imparare qual è tutto il senso di quel mondo», confida Nigo. «Ma per me, il vero evento è quando i vestiti arrivano in negozio». 

Il fitting di un look prima della sfilata

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Il fitting di un look prima della sfilata
Una serie di motivi della collezione Spring 2023 di Kenzo, tra cui il fiore giapponese boke che Nigo ha introdotto come nuovo motivo del marchio

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Una serie di motivi della collezione Spring 2023 di Kenzo, tra cui il fiore giapponese boke che Nigo ha introdotto come nuovo motivo del marchio

Un modo per gestire questo sfasamento è stato proporre un drop da ordinare subito della collezione primavera-estate 2023 incentrato su un dipinto di un fiore boke giapponese su maglie girocollo, pantaloni da falegname e giacconi; una capsule semplice di abbigliamento stiloso che suggerisce tanto un’evoluzione quanto un’interpretazione. A fine marzo, quando Victor Victor Worldwide ha lanciato l’album I Know Nigo con un negozio pop-up a Lower Manhattan, la fila lungo tutta la via ha fatto venire in mente la battuta più famosa di Matthew McConaughey nel film La vita è un sogno: Nigo continua a invecchiare ma i suoi clienti rimangono della stessa età. Tre mesi dopo, tuttavia, il lancio della sua eccentrica collezione per la primavera-estate 2023 sul tema dell’Ivy League per Kenzo è servita a ricordare che lo stilista, almeno per ora, può permettersi di tutto. In prima fila, Justin Timberlake era seduto accanto a Jaden Smith; nel backstage, David e Cruz Beckham hanno posato con il designer. La prima collezione di Nigo per Kenzo, l’autunno-inverno 2022, è in parte biografia, in parte autobiografia. Le stampe con fiori della giungla ricordano capi iconici di Bape e la collezione di Kenzo per l’autunno-inverno del 1976. I baschi con la scritta “1970” commemorano l’anno di nascita di Nigo e la prima sfilata di Kenzo Takada alla Galerie Vivienne. E, con quella che è forse la sua dichiarazione più personale, Nigo ha dato a una stampa il nome del suo insegnante di ceramica, Shuji Fujimura.

Circa quattro anni fa, Nigo ha aggiunto un laboratorio di ceramica al suo complesso di Tokyo, dove trascorre il tempo libero a realizzare tazze per la cerimonia del tè. «Il mio maestro di cerimonia del tè vive in campagna e non lo vado a trovare spesso, e ho scoperto che la mia capacità cala rapidamente senza una pratica regolare», mi spiega lo stilista. Il suo obiettivo è raggiungere il senso di ospitalità che deriva dal «servire il tè ai miei ospiti in una tazza che ho fatto personalmente». E tuttavia la presa che ha su di lui, ammette, è probabilmente «legata alla sua attrazione per gli oggetti e alla sua tendenza ad accumulare».

Quando ci siamo incontrati per la prima volta nel suo ufficio alla sede centrale di Kenzo a Parigi, ho chiesto a Nigo se gli sembrava di poter tenere il suo hobby separato dalla sua carriera. Poteva rimanere un santuario, inviolato dagli impulsi imprenditoriali che hanno definito la sua vita e dominato la nostra cultura? O continuerà a far evolvere Harajuku, il quartiere che ha ridefinito lo streetwear internazionale, aprendo il suo negozio di ceramiche? Diverse settimane dopo, in un afoso pomeriggio a Tokyo, ho pensato alla sua risposta mentre camminavo per le vie di Harajuku, passando davanti a boutique di Bape, Human Made e Billionaire Boys Club mentre andavo a pranzo in uno dei due ristoranti di piatti a base di curry di cui Nigo è proprietario.

«Mi conosci troppo bene», ha detto.  

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