Questo articolo è pubblicato sul numero 2-3 di Vanity Fair in edicola fino al 19 gennaio 2021
Mi piace pensarla come quel vecchio detto ebraico: ciascuno ha un solo grande segreto che tenta tutta la vita di mantenere. La maggior parte non ci riesce, qualcuno sì: in entrambi i casi si prevedono catastrofi.
Misteri violati e misteri difesi, è questo The Undoing – Le verità non dette, la serie televisiva ideata da David Kelley che andrà in onda in Italia dall’8 gennaio su Sky Atlantic e che ha scomodato la parola capolavoro. Per quanto mi riguarda esiste un metro di paragone molto semplice: se durante la visione scendo dal divano per eccesso di tensione, continuando a guardare lo schermo da in piedi o sedendomi a terra, allora qualcosa di grosso bolle in pentola. Era accaduto con le prime due stagioni di Homeland, con le ultime di Breaking Bad, ultimamente con Succession, ci risiamo con questa storia interpretata da Nicole Kidman, Hugh Grant e dalla nostra Matilda De Angelis, orchestrati da Susanne Bier.
Bisogna stare attenti a raccontare The Undoing: siamo davanti a una serie televisiva che non è un thriller, nemmeno un giallo, piuttosto la fotografia di un equilibrio tra esseri umani. Si può anticipare che i personaggi di Kidman e Grant si amano, una certa forma di amore su cui mettere la mano sul fuoco, e che la ragazza interpretata da De Angelis si insinua esattamente dove il legame sembra indissolubile. Infedeltà? È una questione sorpassata, e va molto oltre perché New York si annoia davanti all’ovvio.
Qui si tratta di insospettabilità, ovvero di persone che giuriamo di conoscere e che invece scavano tane in altre direzioni. Hugh Grant, per esempio, che interpreta un oncologo pediatrico dai buoni alibi. O la stessa Kidman, psicoterapeuta, che indaga le violazioni nelle coppie degli altri. A vederli sembra tutto sotto controllo, a parte una sera, quando una giovane donna si trova in ascensore con Kidman: si conoscono appena, ma è scendendo al piano terra di un grattacielo di Manhattan che la nostra psicoterapeuta avverte una falla. È un sentore immotivato e cocciuto, come quando percepiamo un disegno oscuro ma non abbiamo il fegato di averne coscienza. Eppure c’è, a fior di anima, e comincia a tormentarla finché non trova ragione la notte stessa, quando la giovane donna darà via all’incubo.
Lo straniamento di Nicole Kidman in quell’ascensore rievoca una vicenda d’Oltralpe in cui un uomo si finse medico senza mai esserlo stato, passandola liscia fino a un epilogo drammatico. Si chiama Jean-Claude Romand ed è a lui che Emmanuel Carrère dedicò una delle sue opere più celebri, L’avversario. Quando interrogarono la comunità intorno a Romand, un vicino disse che non aveva mai avuto motivo di credere alla doppia vita del medico, o probabilmente sì. Qual era l’indizio? Nessuno in verità, soltanto un’avvisaglia che lo infastidiva: la gentillesse, quel modo sempre cordiale di porsi. Anche la giovane donna dell’ascensore si rivolge a Nicole Kidman riguardo alla sua cortesia: glielo dichiara negli occhi, «Sei una donna gentile», emanando il senso di compassione con cui si trattano gli ingenui.
Inganni. Presagi. Ma The Undoing è anche un affresco sui soldi, più precisamente su quel ceto in cui rientra l’autista privato o un appartamento a Manhattan con più di tre camere da letto. Le false certezze si divertono ad annidarsi nell’agio, come se l’opulenza risparmiasse energie da ribattere altrove: quanta ebbrezza nel vivere un destino che non ci spetterebbe, vestendo i panni proibiti. Così la propria pelle non basta più ed ecco che per la prima volta una serie televisiva ospita allo stesso tempo l’Edmond Dantès del Conte di Montecristo, ricercare un altro sé stesso in rivalsa, e il Raskol’nikov di Delitto e castigo, voler rinascere nell’abisso, e infine lei, l’Emma Bovary nel romanzo di Flaubert, con il suo pretendere un piede nel focolare e uno all’avventura: per tutti loro l’errore è pensare che siano mossi dalla fame di vendetta, di sovversione, di fuga. È il contrario: tutti loro vogliono moltiplicare l’ordinario. Avere cuori doppi.
Il cuore doppio, ecco il motore eccitante di questo film in sei puntate dedicato alle verità nascoste. In qualcuno batte nitido: è il padre del personaggio di Nicole Kidman, un Donald Sutherland magnifico, che si trova a tenere le fila mentre la tragedia è in atto. Nel mezzo della vicenda c’è una scena in cui va a parlare con il rettore perché vogliono allontanare il nipote dalla scuola che Sutherland stesso ha finanziato. Il nostro Donald è seduto sulla poltrona e ascolta le ragioni della decisione. Si sente dire che è per il bene del nipote, per il bene della comunità, per il buon senso che deve prevalere. Annuisce, poi prende la parola e ricorda al rettore chi ha di fronte: «I am an old-fashioned cocksucker». Ovvero: non ti azzardare, perché la mia natura – e quella del nostro mondo – è la vendetta.
Cane mangia cane. Caino uccide Caino. Abele è mai esistito? È una domanda impropria perché a New York non c’è luce senza tenebra, e viceversa, ma gli americani sono tra i pochi rimasti a osare bene la purezza nei loro personaggi da pellicola. Questo candore resiste nel figlio della coppia Kidman-Grant: ha poco più di dieci anni e scopre cos’è la doppiezza dai genitori. È sconvolto, finché non diventa assuefatto al teatro del male. È figlio di quei genitori. Lo è comunque. E non li ripudia, come a dire: forse la stessa china toccherà anche a me.
Forse toccherà anche a noi.
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