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Coronavirus, le 21 «parole infette» da salvare secondo Paolo Iabichino

Il direttore creativo ha scritto una sorta di “vocabolario-riflessione” sui termini che in queste settimane di emergenza sono diventati più frequenti o hanno assunto nuove coloriture. Ve lo presentiamo qui
ABBRACCIO
BACIO
CASA
DIMENTICANZA
EROI
FLASH MOB
GIRARE
HOBBY
IGIENE
LONTANANZA
MANI
NUMERI
OZIO
PATRIA
QUARANTENA
REMOTO
SALUTE
TELEFONARE
USCIRE
VECCHIAIA
ZONA

«Prima o poi il Covid se ne andrà, ma sta proiettando un’ombra lugubre su alcune parole che dobbiamo proteggere, per farle risuonare ancora senza il sapore amaro di questo maleficio».

Così Paolo Iabichino, direttore creativo, ha spiegato cosa lo ha spinto a scrivere le “Parole infette”, una sorta di “vocabolario-riflessione” sui termini che in queste settimane di emergenza sono diventati più frequenti o hanno assunto nuove coloriture.

«Nel nostro modo di usare le parole è racchiuso il nostro modo di vivere la vita, dalla concezione dello spazio, del tempo e della materia, al senso del potere, della giustizia, dell’intimità, e oggi più che mai molte parole stanno assumendo nuove sfumature, o noi un nuovo sguardo su di loro». Non parla da linguista, ma da uomo di pubblicità navigato, abituato a maneggiare con cura le parole e l’immaginario, sapiente nel calibrare la delicatezza del tocco. «Perché il terreno è scivoloso e cadere è un attimo», prosegue «le trappole della prosopopea e del registro epico sono insidiose quanto diffuse».

Questo si avverte con fragore anche all’interno del mercato pubblicitario, dove le aziende dimostrano di reagire al Covid-19 in modi differenti. Alcune hanno adattato le loro creatività al nuovo sentiment del momento, puntando su contenuti più valoriali; altre invece hanno deciso di prendere tempo per capire l’evoluzione degli eventi, soprattutto quando il blocco totale lascerà il passo alla ripresa di economia e consumi. Altre ancora hanno scelto il silenzio, come Coca-Cola che ha deciso di sospendere tutta la pubblicità e devolvere 120 milioni di dollari a sostegno dell’emergenza Covid-19. «Al centro di questa situazione anomala, ci siamo noi, le persone, e le nostre parole, anche loro contagiate e specchio del nostro malessere e questo è il senso di Parole infette», conclude Paolo che le consegna accompagnate da 21 scatti inediti di Isabella Nenci, editor per Zanichelli, raffinata fotografa per passione. «Ho letto le parole infette, mentre ero, come tutti, chiusa dentro casa», ci racconta Isabella. «Mi sono presa cura di queste 21 parole cercando di rappresentarle con quel che vedevo, tra stanze e cortile, e ho lasciato agire le descrizioni di Paolo come un innesco».

ABBRACCIO
Riusciremo ancora ad abbracciarci? Sembra impossibile adesso e forse ci resterà addosso un impaccio innaturale, riflesso di una diffidenza prossemica che non riusciremo a sciogliere immediatamente. Invece l’abbraccio dovrà diventare il nostro lasciapassare per la vita che ritorna. Un rito propiziatorio per esorcizzare il passato, ma soprattutto per stringerci rispetto all’incertezza che verrà. Perché oltre all’abbraccio il virus ha in qualche modo contagiato anche la nostra idea di futuro.

BACIO
Idem come sopra e ancora più forte dovrà essere lo sforzo per difendere una parola che in tutto il mondo dice di noi. Gli altri popoli invidiano la naturalezza con cui i latini si salutano e il bacio ha bisogno di essere protetto. Se lo perdiamo il Covid ci avrà portato via un importante gesto identitario, il più robusto anticorpo della nostra socialità.

CASA
È incredibile come siano bastati pochi giorni per snaturare pericolosamente questa parola. Il bene-rifugio per eccellenza, il luogo più intimo, lo spazio del privato che protegge affetti, interessi, passioni, pensieri e ritualità. In queste ore gli angoli delle nostre case sono la quinta delle nostre chiamate in video-conferenza. Cani, gatti e famiglie comprese. Non appena saremo fuori, finalmente fuori dalle nostre case, dovremo saper ritrovare le nostre solitudini confidenze dietro la porta che si richiude. E tornare a sentire la parola casa che risuona, priva di questo strascico di memoria.

DIMENTICANZA
Troppo presi tutti dalle nostre domestiche protezioni, abbiamo dimenticato le case degli ultimi. Quelle dei detenuti, per esempio, che ce l’hanno ricordato con rivolte, incendi e qualche morto. Ma ci siamo dimenticati anche delle case sui marciapiedi e di coloro che senza l’aiuto dei passanti hanno dovuto aggiungere la battaglia contro la malattia a quella contro la povertà. Le case dei sacerdoti, spogliate dei loro anziani inquilini, quelle chiuse delle prostitute senza clienti o quelle di prima accoglienza, dove i migranti hanno scoperto un impietoso mare in tempesta sulla nostra terraferma. Ecco, dimenticanza è la parola con cui fare i conti nei giorni a venire, per provare a ricordarci sempre di tutti i dimenticati.

EROI
Ma anche eroine. È una parola nobile ed è stata finalmente caricata di un significato contemporaneo. Non più i fumetti, non più la Marvel o la mitologia, non più la retorica sportiva che ammanta ogni lutto di eroismo. Abbiamo finalmente capito il significato più profondo di questa parola. Grazie ai volti sfigurati dalle mascherine, al personale sanitario contagiato in corsia, agli appelli, ai video, ai selfie sorridenti nonostante tutto, alle immagini strazianti dei nostri ospedali come trincee. Per una volta ciascuno di noi ha potuto vedere gli scudi delle favole dietro quegli eroici camici bianchi.

FLASH MOB
Questa è una parola che fino a un po’ di tempo girava solamente nelle agenzie di comunicazione. È diventata il volano scenico dei nostri balconi. Alle 12 e alle 18. Canzoni, inni, stramberie, cori e tutto l’inventario del nostro resistente talento. Abbiamo sorpreso il mondo con i nostri patriottici flash mob, temo che quando si tornerà a progettarli per le comunicazioni di marca, ci ricorderemo di questi giorni e un comprensibile disagio ci farà accantonare l’idea.

GIRARE
Nel senso di viaggiare. Andarsene a spasso. Girovagare. Camminare. Pedalare. Evadere. Percorrere. Attraversare. Spaziare. Prendere l’aereo. Il treno. L’autobus o la metro. Andare di qua e andare di là. Muoversi. Esplorare. Tra tutte, questa è la parola più preziosa da custodire. Perché siamo il Paese dell’ospitalità e dobbiamo urgentemente ridare fiato a esercizi commerciali e strutture ricettive. E poi entrare nelle librerie, nei cinema, nei musei, nei teatri, dobbiamo girare il più possibile, tutte le volte che possiamo, e in fretta dobbiamo liberarci dall’infezione dello stallo a cui siamo stati costretti.

HOBBY
Credo sia la parola più a rischio. Dopo così tanti giorni dentro i nostri passatempi, è probabile che l’idea stessa di passatempo sia definitivamente tramontata. Sarebbe un delitto, i nostri hobby sono il termometro della nostra creatività, lo spazio di pensiero dedicato all’altrove. Casomai, lasciamo quelli vecchi e abbracciamone di nuovi, ma conserviamo questa parola per allenare la passione verso qualcosa che non sia solo l’impegno di ciascuno nelle proprie attività lavorative. E poi, spero che dopo questa vicenda siano in molti a scoprire l’hobby straordinario del volontariato.

IGIENE
Ha dell’incredibile, ma non avevamo mai pensato a questa parola con una proiezione altruistica. Abbiamo sempre parlato di igiene personale, siamo sempre stati molto preoccupati di essere irreprensibili per ben figurare o per proteggerci, ma ora c’è questa nuova sfumatura che si porta dietro un sentire inedito. L’igiene di oggi forse è a tutti gli effetti una parola nuova, più rotonda, che riguarda la propria sfera, ma che diventa anche responsabilità verso gli altri. Curiamocene.

LONTANANZA
Ho la sensazione che saremo in tanti a rivalutare il significato più profondo di questa parola, perché abbiamo scoperto nostro malgrado quanto può diventare lontano il compagno di scuola che abita due isolati più in là. Questa è la parola che ha fatto i conti con la prova più dura, ora dobbiamo rattopparla e usarla per significare distanze, quelle che si misurano con i chilometri, che per quanti siano non potranno mai più renderci distanti.

MANI
È successo proprio a noi che con le mani ci abbiamo costruito un intero vocabolario di espressioni. Bruno Munari ci ha scritto addirittura un supplemento al dizionario italiano, e mai avrebbe potuto immaginare che proprio le nostre mani avrebbero simboleggiato una possibile veicolo di morte. Torneremo a stringerci le mani prima e dopo un incontro di lavoro? Cosa succederà quando ci presenteremo a una persona nuova? Sarà il tempo a dirci se le mani pagheranno il pegno della paura, intanto la guardia dev’essere tenuta alta, perché da lì nascono anche le carezze.

NUMERI
L’amicizia con Giorgia Lupi mi ha sempre fatto incontrare l’aspetto poetico di questa parola. Con lei i dati diventano ogni volta una suggestione visiva, un intreccio di segni che combinati insieme permettono una lettura più romantica della realtà. Di questi i tempi i numeri sono sexy, come recita il titolo di un bel saggio dedicato al Big Data. Ma era prima di questitempi. Prima che le nostre serate venissero funestate dai bollettini di decessi, contagi e guarigioni. Numeri impietosi, scanditi nella ritualità della conferenza stampa. E adesso dobbiamo lavorare tantissimo per ridare ai numeri la dignità creativa che le è stata sottratta.

OZIO
Questa la rivalutiamo sicuro. Perché nessuno di noi è riuscito davvero a stare con le mani in mano. Però quando tutto questo sarà finito e ci capiterà del tempo in casa, facciamo che disattiviamo telefoni, tablet e computer. Per ritrovare la parola ozio e darle modo di regalarci tutte le virtù di cui è capace.

PATRIA
Ebbene sì, signore e signori ecco l’Italia, il tricolore, l’inno di Mameli, la patria, il tutto spogliato delle derive nazionalistiche della politica. Nessuna finale dei mondiali è riuscita a trascinarci dove ci ha portato il virus. Gli Italiani all’estero hanno guadagnato milioni di punti in più rispetto a quanto il nostro Paese aveva raccontato fino a qui. Credo sia stato il vaccino della democrazia ad aver protetto questa parola.

QUARANTENA
Questa secondo me possiamo non salvarla, non ne sentiremo la mancanza.

REMOTO
Questa è una parola che potremmo aver perduto per sempre. Al di là dei tempi verbali, prima lavorare in remoto era un annuncio. Eravamo soliti collegarci in remoto e ogni volta era una dichiarazione operativa, una modalità che consegnavi ai diretti interessati. Ma se siamo tutti in remoto, nessuno è in remoto: addio smart working, se di colpo tutti siamo stati costretti a diventare smart.

SALUTE
Era l’augurio dopo uno starnuto. Ma cosa ce ne facciamo di quell’augurio adesso che starnutire sembra un colpo di pistola? Era la consolazione proverbiale, se c’era bastava. Ma se adesso non c’è il resto, la salute sembra non bastare a rasserenare le nostre inquietudini. Viviamo uno stato di allerta permanente e confidiamo nuove speranze verso la corsa disperata della Ricerca. Voglio poter tornare a starnutire, perché adesso questa parola mi sembra un nuovo totem, ai piedi del quale si sta celebrando un sacrificio immane.

TELEFONARE
Abbiamo riscoperto un gesto antico. Improvvisamente i nostri smartphone squillano di suoni nuovi, diversi da quelli che notificano i messaggi. Ricordiamocelo anche domani, perché ultimamente ci siamo infatuati della voce solo perché i podcast hanno attirato le nostre attenzioni, ma credo che nelle telefonate di questi giorni abbiamo ritrovato qualcosa che stavamo perdendo e che avevamo delegato alle piattaforme digitali.

USCIRE
Questa sarà la parola che ci salverà.

VECCHIAIA
Nelle cronache dei decessi, l’anzianità delle vittime è una taciuta consolazione. L’età più importante, quella dell’affetto irrobustito dal tempo, dei ricordi balsamici e della saggezza senile, ha rivelato la sua fragilità. Molti si sono sentiti protetti da un malcelato egoismo anagrafico e di colpo la vecchiaia ha scelto il suo sinonimo letale. I vecchi sono da ritrovare subito, immediatamente, perché non possiamo brutalizzare un patrimonio così importante e dobbiamo restituire alla vecchiaia la bellissima significanza, della memoria.

ZONA
Eravamo abituati a quelle blu che segnalano il parcheggio a pagamento che in alcune città diventano viola. La bellissima zona verde che identifica parchi naturali e oasi protette, alcuni di noi avevano familiarità con quella Cesarini, poteva esserci una zona pedonale, ma la zona gialla no. Quella arancione neppure e la rossa è sempre stata una cosa distante da noi, più cinematografica. Il maledetto virus invece ha portato la chiusura in zone, ha ristabilito perimetri e confini. Ha delimitato il campo e ha frantumato l’idea di Europa, anche solo per questo noi si deve recuperare il significato più autentico della parola zona: è solo una superficie di spazio. Non è un fortino. Non tiene dentro e non tiene fuori. È un quartiere, una geometria, una tassonomia. Casomai, l’unica difesa che può sottendere è quella calcistica, è importante, altrimenti si torna indietro ai tempi più bui.

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