L'Inter è campione d'Italia per la ventesima volta nella sua storia. Indossa la seconda stella e lo fa nel modo più dolce e inebriante possibile per il suo popolo, vincendo il sesto derby consecutivo, ribadendo la superiorità cittadina di questo momento storico e sigillando una stagione in cui le altre si sono dovute accontentare di osservare da lontano la progressione dei nerazzurri. Solo la Juventus per qualche settimana ha dato l'idea di poter competere, prima di cedere di schianto una volta battuta nello scontro diretto.
L'Inter vince lo scudetto e lo ha strameritato, così come era accaduto al Napoli un anno fa. Due campionati quasi fotocopia, straordinari per chi li ha vissuto in testa e un po' frustranti per la concorrenza. Eppure è un periodo in cui la Serie A ha riscoperto la diversità nella competizione: dal 2020 non c'è mai stato un 'back to back' tricolore e sul gradino più alto del podio si sono alternate - in rigoroso ordine cronologico - Juventus, Inter, Milan, Napoli e ancora Inter. E' un segnale di salute complessiva del sistema che trova riscontri anche nei risultati delle competizioni europee in cui, ranking alla mano, primeggiamo da un paio di stagioni.
E' lo scudetto di Beppe Marotta e del suo gruppo dirigenziale: Piero Ausilio e Dario Baccin. Da anni fanno i conti con le ristrettezze economiche di Suning eppure sono stati capaci di disegnare un progetto sportivo sempre all'altezza. E' un'Inter che per merito loro vince e vede sistemarsi i conti, almeno quelli del bilancio perché le vicende della proprietà passano sopra la testa di chi lavora in sede o ad Appiano Gentile.
E' lo scudetto di Simone Inzaghi che in un anno ha ribaltato il suo mondo. A marzo 2023 era contestato e per lui si immaginava un'uscita poco gloriosa alla fine dell'annata. In silenzio ha lavorato duro e trovato il filo della matassa. La finale di Istanbul è stata la sua consacrazione anche al di fuori dei confini italiani (prima o poi lo porteranno via alla Serie A), lo scudetto un cerchio che si chiude perché Inzaghi ha sempre vissuto male quello perso nel 2022 contro il Milan. Non ci sono, però, solo motivazioni extra e una rosa forte alla base della cavalcata: il tecnico piacentino ha disegnato la sua Sistina creando in fretta armonia e trame in una squadra profondamente rivoluzionata dall'ultimo mercato.
E' lo scudetto di Nicolò Barella, Henrix Mkhitaryan, Federico Dimarco e Lautaro Martinez. Prendiamo loro come prima linea di una rosa che ha performato anche al di sopra delle proprie possibilità, composta da tanti italiani (metodo Marotta), giocatori di lungo corso e persone fondamentalmente contente di trovarsi a Milano a condividere questa avventura. Le questioni tecniche vengono dopo. E' anche lo scudetto della ferocia agonistica con cui è stato inseguito; a tratti, nel corso della stagione, anche sacrificando qualcosa in Europa. L'eliminazione agli ottavi della Champions League rimarrà un rimpianto, quasi un senso di incompiutezza.
E' lo scudetto si Steven Zhang cui il popolo interista deve un ringraziamento. I problemi economici di Suning sono stati un limite nel post Covid, ma va dato atto al giovane presidente di aver comunque lasciato mano libera ai suoi dirigenti - non va dimentica il lavoro di Alessandro Antonello, anima corporate del club - facendo tesoro delle indicazioni. Il tricolore della seconda stella lo proietta nella storia interista, accostandolo numericamente alla famiglia Moratti. La suggestione finisce qui per ovvi motivi, ma il giorno in cui le strade di Zhang e dell'Inter si separeranno sarà giusto ricordare i problemi ma anche i trofei raggiunti.