foto da Quotidiani locali
Nel corso degli anni il titolo di Capitale italiana della Cultura è stato assegnato a Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna, Siena, Mantova, Pistoia, Palermo, Parma, Procida, Bergamo, Brescia e Pesaro. Notate qualcosa? Manca una città veneta. Com’è possibile? Treviso ha appena perso la corsa alla capitale della cultura 2026 (aggiudicata all’Aquila). Inizia il rammarico, inizia qualche recriminazione. Dovevamo vincere noi! Poi prosegue la trama del lamento: che miopi al ministero, la commissione non ha capito, le lobby, le compensazioni... ce lo meritavamo, mannaggia.
Ma ce lo meritavamo davvero?
Probabilmente no. E la bellezza o il valore di Treviso, che è magnifica, non c’entrano. C’entrano la strategia e il messaggio. Oggi si vince se si rappresenta una comunità pressoché metropolitana. Procida è Napoli e la Campania, mica solo la bellissima isola. Pesaro è l’intera costa adriatica e ha stretto alleanze culturali con la riviera romagnola, con il Conero, persino con le perle dalmate.
Tutta colpa degli anni Ottanta, vecchi simpatici strangolatori della complessità. Quando l’edonismo segnava le dinamiche sociali, la rucola imperava a tavola e Drive In spopolava in tv. Fermi alle politiche-tipo dell’Italia anni Ottanta, territorialmente egoriferite, non si comprende che le cose sono cambiate, nei grandi eventi ma anche nelle operazioni economiche. Un’area – fatta eccezione per Venezia che per la cultura è capitale del mondo e non d’Italia – può emergere in ogni campo solo se si presenta consapevole di connessioni ampie. Con una rete e con una geografia tattica almeno regionale.
In Veneto c’è un buon modello con il Teatro Stabile: grazie alla costruzione di una vocazione diffusa, ha valorizzato le identità dei suoi singoli presìdi locali e ha acquisito il riconoscimento di teatro nazionale, una vera élite. Ma più che un modello, sembra un’eccezione.
Il Veneto, che viene da una storia di forte assetto comunale, è un arcipelago di interessi e di orgogli, talvolta senza sintesi. Non ha una capitale-bandiera; ha diversi luoghi straordinari che devono imparare a muoversi insieme, come un’orchestra.
Ora il prossimo tentativo potrebbe toccare a Padova nel 2027: è l’occasione per dimostrare di aver finalmente imparato una certa lezione.
Che poi, un esempio c’è. E il nome, diciamo così, non dovrebbe essere particolarmente sorprendente. Si chiama Luca Zaia. Come (stra)vince le elezioni, Zaia? Con un messaggio identitario, ma policentrico. Dice sostanzialmente tre cose, cose semplici come nelle sue prassi divulgative. Uno, noi siamo il Veneto. Due, il Veneto è tante cose. Tre, il Veneto è forte. Così le sinapsi politiche e mediatiche si attivano e inquadrano Zaia come veneto, non come cavaliere della contea di Bibano. Pure la satira di Crozza lo avvantaggia, evidenziandolo come ossessionato dalla prevalenza veneta su ogni dinamica dell’universo. Sembra dire: portate i vostri interessi di territorio e saranno recepiti.
La candidatura di Treviso – così come quelle di Vicenza e Chioggia (che nel 2022 concorsero proprio per il titolo del 2024), è stata invece un’operazione chiusa. E recitare un lungo rosario di nomi di partner non vale come replica. Per Treviso, tra le istituzioni del Comitato promotore, figurano il Comune, poi Regione Veneto, Provincia di Treviso, Camera di Commercio di Treviso Belluno Dolomiti, Diocesi di Treviso, Ca’ Foscari, UniPd, i comuni de La Grande Treviso Next Generation City e tutti i comuni della Marca attraverso l’Intesa Programmatica d’Area. Sono 9 soggetti. Poi c’è il Comitato patrocinatore (perché promotore e patrocinatore sono due cose diverse: un po’ di complicanze italiche non possono mancare).
E qui segue una lista per ospitare la quale basterebbe a fatica un rotolo di carta cucina, ne abbiamo contate quarantacinque, ma potremmo sbagliare perché a un certo punto gli occhi si incrociano e si entra in un nirvana psichedelico. Nove più quarantacinque fa 54: sono i soggetti che dovrebbero “promuovere” o “patrocinare” il Grande Sogno.
Per prima cosa: le altre città della grande bellezza veneta, da Venezia a Padova, da Vicenza a Verona, non ci sono: niente rete. Ognun per sé. Poi, una domanda semplice. Quanti, di questi cinquantaquattro incursori culturali, sui loro siti, sulle loro ammiraglie comunicative, hanno lanciato, assistito o anche solo ricordato l’operazione? Per non essere impietosi diciamo che il numero è vicinissimo allo zero.
(E ci sarebbero da dire anche altre cose, minutaglie, pinzillacchere. Tipo che il sito ufficiale della candidatura per una città che si propone come riferimento culturale di tutto il Paese si apre con un errore di grammatica, un accento sbagliato).
A proposito di parole. È consentito un brutto neologismo? In Veneto si vince se ci si scampanilizza.