foto da Quotidiani locali
Per una volta, rara come una mosca bianca, accusa e difesa sono dalla stessa parte della barricata. Concordi nell’arrendersi davanti all’inadeguatezza di una legge che non può comprendere la complessità della realtà. Il ragazzo è colpevole: sentenzierebbero i soloni, codice alla mano. E l’accusa non è di aver messo le mani nella marmellata, ma di aver messo in atto una violenza sessuale nei confronti di una minorenne, una ragazzina delle medie, di 13 anni, che è rimasta incinta. Peccato che i due fossero innamorati cotti, una love story che continua, dopo tre anni. E la prova del reato è uno scricciolo di 17 mesi che è la ragione di vita loro e dei nonni paterni che li hanno accolti in casa. Si occupano della piccola mentre la giovane mamma va a scuola e il padre, che oggi ha 21 anni, lavora in fabbrica per mantenere la famiglia.
In tribunale a Mantova, davanti alla giudice per l’udienza preliminare Arianna Busato, sono comparsi i due imputati: perché, oltre al padre “violentatore”, sotto accusa è finita anche la nonna materna della piccola, che deve rispondere di mancato controllo, per non aver fatto tutto il possibile per evitare “il fattaccio”: un’accusa davanti alla quale la donna alza le braccia. «Lo conoscevo bene, lui e la sua famiglia, perché l’altra mia figlia ha sposato suo fratello. Mi ero accorta che tra loro era nata una simpatia, ma non potevo immaginare che sarebbero arrivati a questo. E, comunque, avrebbero potuto farlo ovunque, di nascosto».
Il cruccio grande di questa donna, ora, è di essersi vista sbattere la porta in faccia dalla figlia, «vedo lei e la mia nipotina solo alle udienze» dice, trattenendo le lacrime. La giudice deciderà se proscioglierla o rinviarla a giudizio il 14 dicembre. Contro di lei si è costituita parte civile la curatrice speciale della giovane mamma, l’avvocato Silvia Salvato con la collega Emanuela Colacino. In quella stessa data la giudice emetterà la sentenza del rito abbreviato per il giovane padre, per il quale il pubblico ministero Michela Gregorelli ha chiesto la condanna a dieci mesi e 25 giorni. Una pena meno che minima, per la quale potrebbe usufruire della condizionale «in considerazione della tenuità del caso»: un modo formale per ammettere che in questa vicenda tracce della violenza che irrompe ormai ogni giorno nei tribunali è difficile ravvisarne. Stesse considerazioni per i difensori del giovane, che, comprensibilmente, hanno puntato all’assoluzione. «Il fatto è avvenuto, non c’è dubbio, ma è stato inoffensivo» dicono gli avvocati Giovanni Gasparini e Giulio Schirolli Mozzini, che affermano che «se venisse applicata la pena, ad essere danneggiata sarebbe la vittima, cioè la ragazza, e la famiglia che hanno costruito. Una condanna sarebbe solo punitiva: perché le condizioni di vita di questa giovane adesso sono migliorate rispetto a prima».