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Cambia ancora il Superbonus: il salvagente che il governo aveva promesso per aiutare famiglie e imprese senza più liquidità è arrivato, ma non per tutti. I contribuenti con redditi bassi rischiano concretamente di perdere buona parte dei soldi spesi per aderire alla maxi agevolazione. Infatti, il rimborso dei lavori del Superbonus da portare in detrazione resta confermato in quattro quote annuali, mentre sarà esteso a dieci anni solo per le compensazioni delle banche e delle imprese.
La maggioranza aveva provato ad allargare anche ai privati la possibilità di detrarre le spese del 110% in dieci quote, ma nonostante l’impegno di tutti i gruppi parlamentari, il ministero dell’Economia ha bocciato la misura perché considerata troppo onerosa. Questo significa che su una spesa massima di 96 mila euro, chi ha optato per la detrazione (magari obbligato dal blocco che grava sulla cessione del credito) dovrà portare a rimborso in sede di dichiarazione dei redditi quasi 25 mila euro l’anno. Una cifra che assicura la detrazione piena solo ai privati con redditi molto alti, che hanno una capienza fiscale elevatissima, ovvero pagano circa 25 mila euro di tasse l’anno.
La possibilità di recuperare la spesa in dieci anni viene invece garantita a banche e imprese che hanno acquistato sia i crediti del Superbonus, sia quelli per il superamento delle barriere architettoniche e per il Sismabonus. Le opposizioni vanno all’attacco: «Si tratta di una scelta odiosa, il governo Meloni conferma di avere a cuore il benessere dei ricchi», sottolinea Luana Zanella dell’Alleanza Verdi e Sinistra.
La norma per le banche e le aziende riprende un intervento stabilito con il vecchio decreto Aiuti quater, che limitava la possibilità di compensare i crediti in dieci anni se comunicati all'Agenzia delle entrate entro il 31 ottobre 2022: ora il termine è esteso al 31 marzo 2023. L’emendamento riformulato è pronto, verrà depositato oggi in commissione Finanze alla Camera e messo in votazione nelle prossime ore.
Si lavora inoltre su una proposta in grado di sbloccare i crediti fiscali incagliati per dare una risposta alle ditte vicine al default e ai cosiddetti “esodati”, le persone che hanno firmato un contratto con un’azienda per lo sconto in fattura ma si trovano con il cantiere fermo.
La via maestra individuata dal ministro Giancarlo Giorgetti è quella di far ripartire il mercato dei crediti con la moral suasion: Unicredit, Banco Bpm, Poste e altri istituti di credito e compagnie assicurative riprenderanno gli acquisti perché hanno ancora capienza fiscale. Si parla di circa 5 o 6 miliardi di euro, sebbene l’Agenzia delle entrate avesse quantificato questo spazio in 7 miliardi e duecento milioni.
I bonus bloccati però si attestano intorno ai 20 miliardi, quindi l’altra opzione è quella di convertire i crediti acquistati dalle banche con Btp a dieci anni. Parallela all’operazione sui titoli di stato non è del tutto esclusa l’ipotesi degli F24 (i modelli che i clienti degli istituti usano per pagare le tasse) da usare in compensazione, una proposta che comunque sarebbe riservata solo agli enti che hanno già esaurito la capienza fiscale. Improbabile “il veicolo speciale” da mettere in campo con la garanzia di Sace, che tuttavia è stato fatto un approfondimento.
Sono invece salve le cessioni e gli sconti in fattura relativi alle spese fatte nel 2022: un emendamento rinvia la comunicazione all’Agenzia delle entrate al 30 novembre (scadeva il 31 marzo). Quindi ci sarà più tempo per firmare un contratto di cessione del credito sulle spese dell’anno scorso, basterà pagare una sanzione da 250 euro.
Nel pacchetto degli emendamenti riformulati c’è anche il ripristino dello sconto in fattura e della cessione del credito per le case popolari (Iacp) e per gli immobili delle Onlus e del terzo settore. Viene poi rafforzato lo scudo che esclude la responsabilità in solido di chi acquista i crediti dalle banche: chi cede dovrà rilasciare l’attestazione di possesso dei documenti, esonerando il compratore dall’onere di raccoglierli nuovamente.