Gli elicotteri della giunta militare mitragliano per un’ora intera una scuola: «Dava rifugio ai terroristi». Tra le vittime 11 bambini
Per un’intera ora, elicotteri militari Mi35 hanno sparato contro una scuola in Birmania, uccidendo almeno 13 persone fra cui 11 bambini. A ricordare la recrudescenza delle violenze in atto nel Paese del sudest asiatico sono le notizie riportate prima da Radio Free Asia e dal sito Irrawaddy, poi riprese dall’Unicef e dall’organizzazione non governativa Save the Children.
La scuola – un asilo e l’equivalente delle nostre elementari – si trova dentro un monastero e al momento dell’attacco ospitava più di 200 allievi del villaggio di Let Yet Kone, nella regione di Sagaing. Si tratta di un’area centrale, confinante con l’India e di etnia mista, divenuta il teatro degli scontri più intensi fra i militari fautori del colpo di Stato del febbraio 2021 e gli oppositori armati e uniti sotto la sigla di People’s Defence Force (PDF), fra le cui fila si annoverano perlopiù giovani, inclusi studenti universitari.
I militari avrebbero effettuato uno dei frequenti controlli a sorpresa nel villaggio, a cui sarebbero seguiti attacchi dei gruppi ribelli. La violentissima risposta dei militari è avvenuta venerdì scorso e ricalca una tecnica rodata in decenni di scontri con le milizie etniche, prendendo di mira il villaggio dove si rifugiano i combattenti, senza alcun distinguo con la popolazione. Dinamiche simili si sono viste anche nel recente passato, durante la pulizia etnica della minoranza musulmana Rohingya.
La Tatmadaw, come viene spesso designato il corpo militare birmano, ha però affermato in un comunicato che dentro la struttura si nascondevano non solo membri della guerriglia PDF, ma anche soldati della ben addestrata Kachin Independence Army. I militari accusano i gruppi, denominati «terroristi», di aver usato i civili come scudi umani, lanciando attacchi dalla scuola e nascondendo 16 bombe.
Secondo la ONG Save the Children, però, nel 2021 ci sarebbero stati un totale di 190 attacchi contro scuole, mettendo in grave pericolo la vita dei bambini e il loro diritto a proseguire gli studi. Secondo le ricostruzioni dei testimoni, i militari avrebbero prima sparato dagli elicotteri, per poi entrare nell’edificio, provocando morti e feriti. Il governo civile parallelo denominato di Unità Nazionale ha richiesto il rilascio di 15 bambini e insegnanti che sarebbero stati portati via dai militari. L’agenzia di stampa Reuters riporta anche la testimonianza di due abitanti del villaggio, secondo cui due corpi sono stati prelevati e immediatamente sotterrati in un villaggio vicino. Altri feriti sono in ospedale, mentre circa 2mila persone sono fuggite dall’area interessata dagli scontri.
Secondo le Nazioni Unite, all’inizio del colpo di Stato sono state circa 440mila le persone sfollate all’interno del Paese, per un totale di 800mila persone, oltre al milione circa di Rohingya musulmani costretti alla fuga nel confinante Bangladesh. Anche durante la repressione della minoranza sono stati ritrovati corpi di abitanti dei villaggi accusati di essere conniventi o combattenti di gruppi ribelli.
«Molti di quei bambini morti avevano l’età dei miei studenti», dice Aung Moe, insegnante nella regione con un nome fittizio per proteggere la sua identità, al telefono con La Stampa. «E’ terribile, perché non posso fare nulla per proteggerli». «Cos’è il coraggio, cos’è la verità? Mi sembra che di noi non importi nulla a nessuno», dice ancora la giovane insegnante, riferendosi alla scomparsa della Birmania dalle pagine dei giornali. «A volte ho paura perché sento che anche la mia umanità se ne sta andando. Mi sento insensibile di fronte alla violenza e a questi atti orrendi, ma non voglio che questo succeda ad altri, e non voglio che i miei studenti si sentano in colpa per il semplice fatto di riuscire a studiare, a causa di quello che sta succedendo ad altri loro coetanei».
Nelle stesse ore dell’attacco alla scuola, la giunta birmana ha annunciato la possibilità di arresto anche per un like ai post dei gruppi di opposizione sui social. Persino personalità di spicco come l’ex ambasciatrice britannica Vicky Bowman sono state colpite, divenendo uno dei 15mila prigionieri dall’inizio del colpo di Stato che ha estromesso la Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, anche lei agli arresti. I morti sarebbero finora circa 2,300, secondo la Ong di Bangkok Associazione di Assistenza per i Prigionieri Politici.