Tutto comincia da un controllo della Italgas reti. È il 24 settembre del 2018 e il dipendente mandato dalla società che gestisce il servizio, constata la rimozione dei sigilli che erano stati apposti nel giugno del 2014, la manomissione del contatore e il consumo di una certa quantità di gas: 46.727 metri cubi, per un valore complessivo pari a 6.326 euro. Quanto basta per fare cadere sui titolari dell’utenza il sospetto di un furto.
Il procedimento penale che ne è seguito si è chiuso in due tempi. Gianni Odorico, chiamato a rispondere in qualità di titolare del ristorante “Là di Fulin”, di Ronchis, aveva già patteggiato la pena in 5 mesi e 10 giorni di reclusione, sospesi con la condizionale, davanti al gup del tribunale di Udine, Emanuele Lazzàro, e ieri sua moglie Lucia Tiziana Venudo, coinvolta in quanto titolare della ditta “Fulin ristorazione sas”, con la medesima sede del locale, è stata condannata a 8 mesi di reclusione, pure sospesi con la condizionale, dal giudice monocratico Paolo Lauteri.
Le indagini condotte dalla polizia giudiziaria avevano accertato come, nel momento in cui venne chiuso per morosità, il contatore segnasse 214.043 metri cubi e come, quattro anni dopo, nonostante i sigilli – che, per l’appunto, si sarebbe scoperto poi essere stati rimossi –, il valore fosse salito fino a quota 260.770.
Nel ricostruire la vicenda e concludere per un’ipotesi di concorso dei coniugi nel reato di furto aggravato, la Procura friulana aveva allora tenuto in considerazione anche le novità nel frattempo apportate dalla coppia alla propria attività: la cessione del ramo d’azienda dalla ditta di Odorico a quello di Venudo, formalizzata nell’aprile del 2018.
Ricostruzione che la difesa ha fermamente contrastato, sostenendo non essere emerso a dibattimento alcun elemento in grado di provare che Venudo fosse a conoscenza dei fatti in contestazione.
Nulla, neppure a livello documentale, in altre parole, avrebbe attestato che l’erogazione, resa possibile da un’effrazione fatta risalire al 2014, fosse avvenuta nel periodo successivo alla cessione del ramo d’azienda e che a servirsene fosse stata quindi la ditta di ristorazione.
Da qui, la richiesta di assoluzione per insussistenza del fatto o, in subordine, per insufficienza di prove. Letta la motivazione, si valuterà l’appello.
