Per la rettrice non risolve l’emergenza dottori: «I primi laureati tra 11 anni». Il presidente del Veneto aveva sostenuto: «La selezione deve avvenire sul campo e non con una serie di test, effettuati in maniera asettica e per nulla obiettiva»
PADOVA. La rettrice dell’Università di Padova, Daniela Mapelli, ne è convinta: non sarà l’eliminazione del numero chiuso per accedere alla facoltà di Medicina a risolvere l’emergenza legata alla carenza di dottori.
Lo dice intervistata la mattina del 6 settembre in Fiera a Padova all’avvio dei test d’ingresso per Medicina a cui partecipano tremila aspiranti dottori. «Chi inizia oggi il percorso eserciterà la professione tra 11 anni», osserva Mapelli. E nel frattempo?
La sua posizione, autirevole vista la sua carica, intervine nel dibattito aperto dal presidente della Regione, Luca Zaia che sotto Ferragosto aveva ribadito il suo “sì” all’eliminazione del numero chiuso per l’ingresso a Medicina.
LA DICHIARAZIONE DELLA RETTRICE
La ministra dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa l’antivigilia di Ferragosto aveva annunciato: «Dall’anno accademico 2022-2023 ci sarà un grande cambiamento per accedere alla facoltà di
Medicina: non ci sarà più una sola data, ma un percorso che consenta ai ragazzi dalla IV superiore di prepararsi, autovalutarsi e poter tentare più volte nel corso dell’anno il test».
E Luca Zaia era intervenuto proponendo la sua posizione: «Da tempo sostengo l’abolizione del
numero chiuso. La selezione deve avvenire sul campo e non con una serie di test, effettuati in maniera asettica e per nulla obiettiva».
Per la ministra, «il numero chiuso è necessario per mantenere alta la qualità, sia nel caso di una selezione all’ingresso sia nel caso di sbarramento al secondo anno di università, come accade in Francia». Aveva aperto alla possibilità data a studentesse e studenti di mettersi alla prova, di tentare più volte il test, si contengono i costi, si garantisce un’uniformità a livello nazionale e un adeguato rapporto tra numero di docenti e ragazzi, oltre che di spazi, aule e laboratori».
Ma il presidente del Veneto aveva sostenuto deciso: «Non possiamo continuare a selezionare i nuovi medici pensando che dei ragazzi di 18 anni siano scelti e valutati con dei test. È bene che abbiano invece la possibilità di iniziare il loro percorso di studi, di capire cosa significhi lavorare in corsia e in una sala operatoria e quali siano le implicazioni di affrontare l’attività professionale nel suo contesto».
La ministra dell’Università e della Ricerca aveva rispedito al mittente la tesi secondo cui ci sarebbe un problema di numeri. «Se parliamo di mancanza di medici» aveva detto «ciò che stiamo pagando oggi è stata una programmazione del passato di soli 9 mila ammessi l’anno a Medicina a fronte di quasi 16 mila complessivi previsti attualmente e di 5 mila borse l’anno per le scuole di specializzazione. Oggi per gli specializzandi ci sono oltre 13 mila posti, una programmazione che con il ministro Roberto Speranza abbiamo stabilizzato anche per il futuro e che segue il picco di 17 mila dello scorso anno, con il quale abbiamo quasi annullato l’imbuto formativo che si era creato».
Con Zaia a chiedere l’abolizione del numero chiuso un coro che vede uniti manager e amministratori della sanità pubblica: Alessio D’Amato (Regione Lazio), Toti, Musumeci, Luca Coletto (Regione Umbria).
Mapelli, però, non la pensa così.