foto da Quotidiani locali
GRADISCA D’ISONZO. Ha scelto di farla finita, con un gesto estremo. È successo al Cpr di Gradisca d’Isonzo, dove un 28enne di nazionalità pakistana si è tolto la vita nella serata di mercoledì 31 agosto, mentre si trovava all’interno della propria camerata.
Stando alle scarne informazioni trapelate – non è stato possibile ottenere un commento dalla Prefettura di Gorizia – era appena arrivato al Centro permanente per i rimpatri della cittadina isontina.
Aveva fatto il suo ingresso nella struttura da poco più di un’ora e aveva appena ultimato le visite mediche di routine negli ambulatori del centro. Una volta assegnato alla propria camerata, che condivideva con altri trattenuti, ha atteso che questi ultimi uscissero per concedersi una sigaretta nelle “vasche” esterne alle stanze. Rimasto solo, ha ceduto ai fantasmi che evidentemente angosciavano la sua mente, decidendo di farla finita.
A trovarlo sono stati gli stessi compagni di detenzione che hanno allertato gli operatori dell’ente gestore e i soccorsi.
Sul posto, nella mattinata di giovedì primo settembre, sono giunti gli uomini della Polizia giudiziaria per gli accertamenti di rito. Per prima cosa hanno ascoltato le testimonianze dei compagni di camerata e degli operatori, riscontrando – per quel che può valere – che nulla lasciasse minimamente ipotizzare un evidente stato di agitazione o depressione dell’uomo.
Non servirà a molto il sistema di videosorveglianza interno, che nelle camerate non è presente per rispetto della privacy dei trattenuti. Il pakistano, classe 1994, era stato appena trasferito al Cpr di Gradisca «proveniente da altra Questura vicina».
In buona sostanza era stato appena intercettato sul territorio nazionale e la sua documentazione non era in regola o era incompleta. Verifiche stanno ancora venendo effettuate in questo senso.
Di certo non si trattava di un soggetto proveniente dal circuito carcerario, una tipologia di “ospite” in attesa di espulsione o rimpatrio molto frequente nel “carcere per irregolari” isontino.
Del caso si è immediatamente interessata la Garante comunale per i diritti delle persone recluse, Giovanna Corbatto, che invita l’opinione pubblica a non cadere nella tentazione di strumentalizzare la vicenda. «Davanti a una simile tragedia l’unico atteggiamento giusto è quello del rispettoso silenzio – rimarca –. Parliamo di una persona del cui pregresso di vita al momento sappiamo poco o nulla. Non sappiamo se e quali fantasmi si portasse dietro, se la sua drammatica decisione sia stata pianificata o improvvisata, se avesse delle patologie. Sappiamo ancora troppo poco. Avendo trascorso solo un’ora al Cpr – è il ragionamento di Corbatto – sarei prudente nel citare le condizioni di vita all’interno come causa o concausa di un gesto così estremo».
Smentisce, Corbatto, che l’uomo potesse essere non contrario a un rimpatrio volontario verso il Pakistan. «Fosse vero, non sarebbe passato dal Cpr. E avesse preso questa decisione dopo essere entrato in struttura, ad appena un’ora dal suo ingresso non sarebbe stato possibile neppure iniziare l’iter. È evidente che ci sono stati altri fattori che rientrano nell’intimità della persona».
Corbatto resta critica nei confronti dei centri per i rimpatri: «Questo episodio non modifica nulla rispetto a quanto già sappiamo dei Cpr, le loro gravissime criticità, la necessità di superare certe logiche nella gestione del fenomeno migratorio. Ma quella di mercoledì è una singola tragedia, e ogni tragedia ha la sua storia. Non si speculi su questo fatto doloroso».