Una casa spalancata sul paesaggio di Marte, un toro gigantesco dagli occhi d’oro, un angelo robot che distende le ali mentre fiorisce come un albero. Paesaggi di computer in una stanza in penombra, pagine volanti davanti a un teatro vuoto. Arte dell’altro mondo, quello virtuale, che fa saltare i limiti del fisico, le regole della gravità, le logiche del canonico. Racconta storie, con i suoi nuovi codici, per una volta, la prima, in un contesto tanto storico: Palazzo Strozzi, a Firenze, una delle più splendide eredità del Rinascimento. È qui che fino al 31 luglio va avanti la mostra Let’s get digital!, accogliendo alcuni tra i rappresentanti più significativi a livello internazionale di questa nouvelle vague dell’ingegno umano. E del modo di scambiarla: sullo sfondo ci sono gli Nft, i certificati che attribuiscono la proprietà, il passaggio di titolarità, di un bene intangibile. L’ultima evoluzione del collezionismo e del mecenatismo.
«È rinfrescante, emozionante ed elettrizzante che questi due mondi si fondano: mostrare opere digitali fortemente contemporanee in un contesto rinascimentale costituirà un’esperienza senza precedenti, sia per i visitatori che per gli artisti» spiega a Panorama Andrés Reisinger, originario dell’Argentina, che ora lavora a Barcellona, tra i più quotati artisti digitali del momento e con un’estetica annodata da un filo conduttore: «Anziché allontanare elementi diversi l’uno dall’altro, cerco di costruire complementi, associazioni, connessioni. Un’espansione. Let’s get digital! lo fa riflettendo sulla rilevanza attuale di una pratica artistica ancora ampiamente sconosciuta. La combinazione di poli opposti è molto più affascinante della loro separazione».
«Siamo un luogo di cortocircuiti, da vari anni ospitiamo all’interno di un edificio storico le più importanti mostre di arte contemporanea che si svolgono nel nostro Paese, da Jeff Koons a Marina Abramovic´. Non ci vedo un paradosso: d’altra parte gli Nft e le nuove tecnologie al servizio della creatività rappresentano l’alba di un’era, com’era stato nel Rinascimento» riflette Arturo Galansino, direttore generale di Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra assieme a Serena Tabacchi, direttrice del MoCDA, il Museo d’arte digitale contemporanea.
Let’s get digital!, com’è tipico del medium, fonde leggerezza e profondità: il nome riprende e stravolge il ritornello di Physical, un vecchio successo musicale degli anni Ottanta («è una battuta, ma il titolo contiene un invito a esplorare nuove frontiere e ad accostarsi senza pregiudizi all’arte digitale»); l’allestimento fa uscire le opere dai confini angusti del display di un telefonino: «Gli dà respiro. Li porta su schermi grandi o all’interno di installazioni immersive, come quella di Refik Anadol. È nel cortile, dunque un’opera pubblica, aperta gratuitamente a tutti. Mostra immagini che si autogenerano attraverso un programma studiato dall’artista. Sembra un quadro astratto in movimento, ispirato ai colori dei quadri rinascimentali». Alcuni contenuti si potrebbero fruire anche da casa, ma c’è una differenza: «Sarebbe come dire che andare al cinema o guardare un film su un tablet sia la stessa cosa. Sono opere che prevedono diversi modi di fruizione».
«L’esperienza dell’arte digitale è potente quando è immersiva. Credo sia meglio avere esposizioni fisiche del mio lavoro perché la comunicazione, nell’era digitale, è diventata esperienziale» concorda Krista Kim, di base a Toronto, diventata famosa per aver disegnato la Mars House, un’abitazione di bit sul Pianeta rosso venduta per mezzo milione di dollari. Più di una casa vera. Sarà in mostra a Firenze: «Rappresenta la possibilità di costruire un mondo nel metaverso. La vita imita l’arte, e ciò che vediamo e creiamo nel metaverso darà forma alle nostre vite reali. Sarà una tecnologia potente per creare un mondo immersivo, quindi l’arte, l’ethos e la filosofia devono fare da guida».
Tra i nomi di punta presenti a Firenze, c’è Beeple: un graphic designer e un fenomeno di costume, capace di vendere un mosaico di pixel per 69 milioni di dollari. Oppure Anyma, un progetto collettivo che fonde musica e immagini, raccontando la storia di una concordia possibile, auspicabile, tra la natura, l’uomo e le macchine. A volerlo, il deejay italiano Matteo Milleri, a riprova che il concetto di artista si è allargato moltissimo: «Ma è così da sempre» ribatte Galansino. «Un tempo l’artista era, tranne rare eccezioni, un artigiano, un riproduttore di oggetti. Verso l’inizio del Quattrocento assume una dignità intellettuale, di inventore. Per esempio, Donatello era una star, una figura importante della società di quel tempo».
Proprio allo scultore è dedicata la mostra di Palazzo Strozzi negli stessi giorni di quella su Nft e dintorni: «Non abbiamo una collezione permanente, siamo uno spazio espositivo che cambia identità ogni volta, mantenendo come unico criterio quello della qualità. Quello che cerchiamo di trasmettere è anche un esercizio di elasticità mentale». Una duttilità in grado di intercettare le nuove generazioni: nel 2021 il 40 per cento dei visitatori aveva meno di 30 anni. Potrà dunque accadere che nei giovani arrivati a Firenze per Beeple sorga la voglia di esplorare Donatello. E si stupiranno due volte.