Dal Copasir un importante monito al Parlamento: per non sprecare l’opportunità, fare leva sulle grandi aziende pubbliche e inaugurare una nuova politica verso l’Africa
A volte la storia cambia direzione in modo brusco e ogni tanto da un male può uscire un bene. La crisi energetica aperta dall’aggressione russa all’Ucraina può trasformarsi per l’Italia in una grande opportunità: quella di diventare il nuovo hub energetico per l’intera Europa, un ponte nel Mediterraneo tra Sud e Nord. Alcune premesse ci sono. L’Italia dispone di quattro aziende pubbliche capaci di consentire il salto: anzitutto un gigante, l’Eni, che ha già mani e piedi in Africa; l’Enel e Tecna, con un know tecnologico che le mettono sul piedistallo giusto per compiere il salto; Snam che dispone già di una imponente infrastruttura di collegamento nel “mare nostrum”.
Ma queste condizioni, che si stanno squadernando in modo inatteso, vanno implementate con una potente azione politica, diplomatica e di intelligence nell’area del mondo destinata a diventare la “nuova frontiera” dell’energia: l’ Africa. E dunque nell’area nord e mediterranea di quel Continente, ma anche nelle aree strategiche, zone dove già da tempo sono presenti Cina e Russia.
Questa è la lettura, incoraggiante ma senza ottimismi di maniera, da parte del Copasir, il Comitato parlamentare per il controllo sui Servizi presieduto da Adolfo Urso e che ha approvato (significativamente all’unanimità) un documento sulla sicurezza energetica italiana dopo la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Un argomentato documento che è stato trasmesso ai presidenti della Camere e al Parlamento per l’uso che si renderà necessario e che è il risultato di una serie di audizioni promosse dalla presidenza del Copasir: nelle settimane scorse vi sono stati impegnati il presidente del Consiglio Draghi, il delegato ai Servizi Gabrielli, il Direttore generale del Dis, il Ministro della transizione ecologica, gli amministratori delegati di Enel, Eni e Snam.
La premessa dalla quale parte il documento del Copasir è molto netta: «L'invasione della Russia in Ucraina del 24 febbraio scorso costituisce uno spartiacque cruciale le cui dinamiche, ancora in corso, hanno investito - oltre ad evidenti profili di ordine militare, geopolitico, umanitario - anche gli aspetti propriamente attinenti alla sicurezza energetica». Sembrano parole scontate, ma cosa significhino lo aveva spiegato nella sua audizione il presidente Draghi: la guerra comporterà la nascita di un nuovo “campo” autosufficiente non solo in campo militare ma anche in quello energetico.
Nel nuovo scenario, è scritto nel documento, l’Italia può giocare un ruolo di primo piano candidandosi, anche grazie alla peculiare posizione geografica, «al ruolo di hub energetico per l’intera Unione Europea». Si legge nel documento del Copasir: «Il nostro Paese vanta una rete trasmissiva per l’energia elettrica - quella di Terna – interconnessa con gli altri Paesi europei e con la sponda Sud del Mediterraneo, ancorché sia da potenziare per essere in grado di gestire la raccolta di energia prodotta da impianti a fonti rinnovabili. Allo stesso tempo, la rete di gasdotti - di proprietà di Snam - è la più ampia nel bacino del Mediterraneo, la seconda a livello europeo dopo quella gestita da Gazprom ed è in parte già predisposta per il trasporto di idrogeno». Il perno di questo politica non può che essere l’Eni già presente proprio nei Paesi che in questi giorni sono oggetto delle visite di Stato del governo italiano: Algeria, Angola, Congo, Mozambico.
La Germania, che da decenni si è messa nelle medesime condizioni di dipendenza dell’Italia dalla Russia, non ha le stesse “basi” di appoggio nei Paesi africani più interessanti e tuttavia il monito del Copasir al governo è quello di affrontare la nuova frontiera africana con quello che il presidente Urso sintetizza come «un differente approccio geopolitico». In altre parole si invoca una forte iniziativa di politica estera in Africa, con una speciale cura a diversificare gli interlocutori, spesso minati dall’instabilità politica. Per non ritrovarsi a bissare in Africa la condizione di dipendenza dai tubi provenienti dalla Russia.