Parla a Il Tirreno spiegando la sua situazione: è finito nella lista degli "amici di Putin" ma vuole dimostrare di non aver avuto mai alcun rapporto col Cremlino
È uno dei pochi ricchi russi ad aver parlato della guerra, e contro. Cosa che non gli ha evitato di finire nella black list del Regno Unito. «È un errore», dice Oleg Tinkov.
Secondo Forbes, fino a prima della guerra, era tra gli uomini più ricchi del pianeta. Figlio di un minatore siberiano, dopo aver creato e venduto una serie di attività nei settori elettronico, pasta e birra, si è buttato in quello bancario. Nel 2006 ha fondato la Tinkoff Bank, una delle storie di successo tecnologico della Russia, ora sotto le cesoie delle sanzioni europee. Tre anni fa fa ha scoperto di avere la leucemia e tutto è cambiato. Si è trasferito a Forte dei Marmi e oggi ha deciso di concedere un’intervista a Il Tirreno.
Tinkov, c’è chi la considera un oligarca, nonostante lei abbia condannato subito, con un post su Instagram, l’invasione dell’Ucraina; secondo lei perché?
«Prima di tutto non tutti mi conoscono e mi seguono su Instagram, e poi, purtroppo, l’associazione imprenditore russo uguale oligarca è facile e semplicistica. Ci sono decine e decine di imprenditori che come me non hanno mai avuto a che fare con il Cremlino e a cui non piace essere definiti oligarchi. Sono un imprenditore che si è fatto da sé, senza sponde politiche».
Ha mai avuto rapporti con il governo di Mosca per i suoi affari?
«No, non ho mai avuto alcun legame con Putin, né sono mai stato in relazioni con il governo. Ho iniziato la mia carriera imprenditoriale di successo ai tempi in cui Michail Gorbaciov era presidente e ho continuato con Boris Eltsin, quindi ben prima di Putin. Agli inizi degli anni Novanta avevo già creato la prima rete di negozi di elettrodomestici importati da Singapore, Technoshock, che ho ceduto nel 1997 per circa 7 milioni di dollari. Successivamente ho puntato sul settore alimentare, dando vita all’azienda di surgelati Daria, diventata famosa per i ravioli e gli gnocchi, e venduta nel 2001 per 12 milioni di dollari. Nel 1998 sono entrato nel mercato russo della birra con Tinkoff Brewery, che è diventato in breve il quarto birrificio indipendente in Russia, e ho fondato la catena di ristoranti in stile brew-pub denominati Tinkoff Restaurants. L’azienda l’ho poi ceduta nel 2005 al gruppo internazionale InBev per 170 milioni di euro. La mia creazione più importante è la Tinkoff Bank. È una banca digitale quotata nel 2013 alla Borsa di Londra e che nel 2016 si è classifica al 45° posto in termini di attività e al 33esimo per capitale fra le banche russe».
Il Regno Unito l’ha inserita nella sua black list. Perché?
«Ho costruito un grande marchio dentro e fuori la Russia e non ho mai avuto alcuna esitazione a mettere il mio nome sulle mie attività perché le ho costruite con denaro pulito, frutto del mio lavoro e dei risultati della quotazione pubblica alla Borsa londinese. Ma sembra quasi che il successo sia diventato la mia trappola solo perché il governo britannico vuole aggiungere un altro nome, anzi, forse un marchio russo noto e riconoscibile, nella lista dei sanzionati. Li capisco, sono russo e in questo momento i russi subiscono provvedimenti ingiusti chiunque essi siano e tanto gli è bastato. Ma si tratta di un provvedimento ingiusto e inappropriato».
Teme di finire anche in quella dell’Unione europea?
«Spero di no, non avrebbe davvero alcun fondamento giuridico né alcuna utilità per la pace. Anzi, se, anche schierandosi contro la guerra in modo aperto si viene sanzionati, nessun altro imprenditore si farà avanti».
Conosce personalmente Putin?
«No, non lo conosco, siamo solo stati in alcuni casi presenti contemporaneamente a eventi pubblici».
Che opinione ha di lui?
«Non sono un politico e, non conoscendolo, non posso esprimere un’opinione».
Ha paura per sé o per la sua famiglia per essersi esposto contestandolo apertamente?
«A causa della leucemia ho visto la morte da molto vicino e la malattia è ciò che mi fa molta paura».
Le sanzioni hanno già innescato un calo del 90% del prezzo della Tinkoff Bank. Cosa potrebbe succedere se proseguissero?
«Sicuramente il business di molte aziende internazionali, non solo russe, sarebbe compromesso in maniera grave. Io, comunque, già molto tempo fa, a causa della malattia, ho rinunciato a tutte le cariche operative nelle mie società, e lo stesso può dirsi per le azioni di minoranza che possedevo e che da anni ormai sono gestite indipendentemente da un trust istituito per garantire il futuro dei miei figli. Quindi non mi schiero contro la guerra per salvare il mio patrimonio: come mi piace dire, non voglio essere l’uomo più ricco del cimitero. Credo che vada scritta la parola fine a questa guerra per la quale stanno soffrendo e morendo tante persone, uomini, donne e bambini innocenti».
Crede che le sanzioni siano lo strumento giusto per fermare Putin?
«Certamente creano un danno a tantissimi imprenditori italiani e russi che non c’entrano con la sua scelta di invadere l’Ucraina. La mia speranza, come credo quella di tutti, è che si instauri un dialogo per fermare la guerra».
Chi vive in Russia riesce a capire cosa sta succedendo realmente in Ucraina?
«Negli ultimi tre anni, a causa della malattia che mi ha colpito, non ho vissuto né sono stato in Russia, quindi non lo so. Vivo nel contesto europeo, e nell’ultimo mese ho cercato di non leggere né guardare i media russi, e la penso esattamente come i miei vicini italiani. Non vedo una differenza di giudizio su questa guerra tra i russi che vivono in Europa e gli europei: siamo tutti contrari e la speranza è che finisca al più presto».
Lei, da russo, da che parte sta?
«Dalla parte della pace. Condanno la guerra, ogni guerra».
Tra i russi qual è il livello di consenso verso Putin?
«Per una serie di ragioni storiche note a tutti la società russa è almeno un secolo indietro a quella europea mentre noi pensiamo, quando diciamo Russia, solo a chi abita le grandi città che costituiscono meno del 20% della popolazione totale. Non comprendiamo che quella società per larga parte ha esigenze diverse dalle nostre e da coloro che abitano le grandi città, le reazioni non sono quindi quelle che ci potremmo aspettare».
La leucemia come ha cambiato la sua vita?
«Ho imparato cos’è la sofferenza, ho visto la morte da vicino, molto vicino, e ho vissuto non sapendo se ci sarà un domani e, mi creda, non è una sofferenza solo per il malato ma anche per le persone che gli stanno intorno. Per questo il tema della guerra mi tocca in modo particolare; persone innocenti stanno morendo ogni giorno e questo è impensabile e inaccettabile. Gli Stati dovrebbero spendere soldi per curare le persone, per la ricerca per sconfiggere il cancro, non per farsi la guerra. Sono contro questa guerra e contro ogni guerra che sacrifica vite umane su entrambi i fronti del conflitto. Dopo aver ceduto tutte le mie azioni e le mie proprietà al trust di famiglia ho dedicato molte risorse economiche per creare una Fondazione per combattere la leucemia, facendo ricerca ed investendo in nuove tecnologie e trattamenti».
Dopo la scoperta della malattia, ha creato una Fondazione...
«Sì la Tinkov’s Family Foundation, che si occupa dell’assistenza onco-ematologica in Russia con la quale stiamo sviluppando anche un programma volto a diagnosticare e trattare precocemente la leucemia mieloide acuta. Attraverso la Fondazione siamo riusciti ad aiutare circa 400 persone ad accedere alle cure, cosa non facile in Russia. Ma abbiamo anche un obbiettivo di lungo termine: quello di raccogliere il maggior numero di dati possibile per consentire una diagnosi precoce della malattia e di formare un numero sempre maggiore di medici e infermieri che siano in grado di intervenire prontamente per raggiungere un tasso di sopravvivenza delle persone colpite da leucemia nettamente superiore rispetto a quello attuale».
A Forte dei Marmi, ha ancora stabilimento balneare e hotel?
«No, quando mi sono ammalato, quindi molto prima e in maniera totalmente indipendente dalla situazione odierna, ho ceduto tutte le mie attività commerciali, incluso il Palazzo la Datcha e lo stabilimento balneare a Forte dei Marmi, che sono gestiti in maniera indipendente da un trust. A causa della malattia non avrei potuto gestire alcun business negli ultimi anni».
Perché scelse Forte dei Marmi?
«Forte dei Marmi è sempre stata nel cuore della mia famiglia e la consideriamo la nostra casa da molti anni».
E ora che farà?
«Andrò in bicicletta e al mare. Il mio obiettivo è continuare a fare la riabilitazione e cercare di sopravvivere. In questi ultimi giorni penso spesso a Sinisa Mihajlovic, al quale sono molto vicino: lui si è ammalato poco prima di me, ha seguito un percorso molto simile al mio. Potrei ritrovarmi come lui in qualsiasi momento ma cerco di non pensarci e rimanere ottimista».
Secondo lei lo yacht a Marina di Carrara è di Putin?
«Non ne ho idea, negli ultimi tre anni ho passato la maggior parte del mio tempo lottando contro la leucemia e non a seguire gossip, ma mi pare che voi abbiate scritto che è di qualcun altro».
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