Vangi è in Ucraina da 15 anni e dirige una grande fabbrica che produce coperte: «Sparano sui palazzi, attacca anche l’esercito bielorusso»
PRATO. «Fino all’ultimo abbiamo pensato che non potesse accadere, poi era ormai troppo tardi e siamo rimasti intrappolati qui». La voce di Mirko Vangi sembra tranquilla, ma si percepisce un sottofondo di tensione, una preoccupazione più che comprensibile perché il “qui” di Vangi si chiama Chernihiv, città ucraina di 300.000 abitanti, 170 chilometri a nord della capitale Kiev e a pochi chilometri dal confine con la Bielorussia. In altre parole, sulla linea di uno dei fronti che oppongono la Russia all’Ucraina. Ma non solo la Russia: «Sta attaccando anche l’esercito bielorusso».
Vangi, originario di Vaiano, da 15 anni si è trasferito nella parte settentrionale dell’Ucraina, dove ha sposato una donna del posto e ora è azionista e dirige la Ksk Cheksil, una grande fabbrica che produce coperte. Ieri si è collegato con TvPrato e al telefono col Tirreno conferma quello che non più di 24 ore prima il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ancora si ostinava a negare: «L’esercito bielorusso non prende parte all’azione militare e non lo ha mai fatto».
Tutte balle, secondo l’imprenditore pratese e secondo il portavoce ucraino delle Forze di Difesa Territoriali del Nord. «Sì, sono entrati anche i bielorussi – racconta Vangi – Ce lo dicono i militari. Del resto negli ultimi due giorni dalla Bielorussia sono partiti 60 missili verso Chernihiv».
Mirko Vangi parla dallo scantinato della sua abitazione, dove si è rifugiato insieme alla moglie e alla figlia di 9 anni. «Siamo dalla parte opposta della città rispetto all’attacco – dice – ma la situazione sta rapidamente peggiorando. Sentiamo le esplosioni giorno e notte. I russi e i bielorussi picchiano duro senza preoccuparsi di dove cadono i missili, hanno preso anche i palazzi. Uno di quelli destinati al Comune ha colpito una clinica dentistica, altri tre dovevano colpire un ripetitore tv e hanno distrutto le case».
E poi c’è la minaccia atomica, per ora solo evocata da Vladimir Putin, ma che la gente di Chernihiv non prende sottogamba. «Se la situazione dovesse precipitare siamo pronti a spostarci nei bunker sotto l’azienda – dice Vangi – Quelli sono effettivamente bunker atomici ma nessuno ci entra da trent’anni». Nello scantinato sotto la sua abitazione, invece, al momento non manca niente: «Abbiamo provviste per mesi e finché arriva l’acqua e la corrente elettrica possiamo resistere». Una prospettiva poco incoraggiante e una situazione di massima emergenza, che però nei primi giorni del conflitto non ha impedito a Vangi di darsi da fare per aiutare i suoi concittadini. «Dalla fabbrica abbiamo fatto partire diversi camion carichi di coperte, ottomila coperte – racconta – ma anche di biancheria intima, maglie, calzini, anche sapone, perché nel capannone accanto al nostro lo producono e ci sono i magazzini».
Fino a ieri pomeriggio in città c’era anche qualche negozio aperto, però non è salutare andare a fare la spesa. «Sparano in due terzi di Chernihiv – spiega Vangi – e dicono che già alcune strade sono minate. Meglio non muoversi». Col senno di poi, l’imprenditore originario di Vaiano rimpiange di non aver lasciato la città quando ancora si poteva farlo. «Non pensavamo che potesse succedere – ripete – Stamattina ho parlato con l’ambasciata italiana a Kiev per capire se c’è la possibilità di lasciare il paese. Ci dicono che anche oggi dalla capitale sono in partenza treni per l’Europa, non ci sarebbe nemmeno bisogno di fare il biglietto, ma il problema è che Kiev dista quasi duecento chilometri da qui e non si sa come fare per arrivarci, le strade non sono sicure. Non ci sanno dire se ci sono corridoi umanitari. Di fatto ha lasciato il paese soprattutto chi viveva vicino al confine con la Polonia o la Romania, quelli di L’vov (Leopoli, ndr)».
Le prospettive, com’è evidente, sono fosche. «I russi non hanno interesse a distruggere il paese – ragiona Vangi – Vorrebbero prendere il controllo, ma se non riusciranno a prendere il controllo, allora non c’è da aspettarsi niente di buono, distruggeranno quello che possono distruggere».
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