UDINE. «Perché non siamo diventati uno Stato federale? Sono mancati gli statisti». Alessandra Guerra aveva raccontato, nel 2009, in “Guerra e Pace” la difficoltà per le donne di fare politica in Italia. In “Cattaneo o Bonaparte”, Bonanno editore, l’ex pasionaria della Lega Nord, presidente della Regione per un anno e mezzo tra il 1994 e il 1995, oggi storica dell’arte e istruttrice di yoga, scrive di «un’occasione persa», tra l’idea di federalismo di Umberto Bossi e quella presidenzialista di Gianfranco Fini: due rivoluzioni costituzionali «che avrebbero forse reso il nostro Paese uno Stato laico e progressista e portato al bipolarismo».
Come nasce l’idea di “Cattaneo o Bonaparte”?
«Ho voluto tornare alla mia vita ed ero orientata a fare il mio mestiere: insegnante e storica dell’arte. Ma ho capito che aveva ragione il mio editore a insistere per una continuazione di “Guerra e Pace”: quindici anni di vita politica intensi come quelli che ho vissuto io non si possono buttare via».
Come li ha raccontati?
«Storicizzandoli. Come dice Ferruccio Saro».
Saro scrive la prefazione. Che ruolo ha avuto?
«Ferruccio è un’anima libera. Siamo stati avversari, ma senza mai farci male fino in fondo. Rispettando reciprocamente la dignità personale, un segno distintivo della prima Repubblica».
In che modo si inserisce il libro nel suo percorso?
«“Cattaneo o Bonaparte” è tutto quello che sono stata, sono e probabilmente sarò. La psicanalisi è un filo conduttore dei miei ultimi dodici anni. Mi ha fatto capire la politica e ha evitato che arrivassi a sbattere la porta in faccia a chi mi ha offerto grandi occasioni per poter ripartire. Ma credo ancora negli ideali e, studiando come una pazza, ho scelto di ripartire da quello che ero prima della politica. Consapevole, però, che non potevo sbarazzarmi della mia storia».
Chi le ha proposto il ritorno in politica?
«Ho avuto grandi estimatori su entrambi i fronti, ma mai nel mio partito e tra i nuovi populismi. Il fatto è che sono stata programmata per fare altro».
Che cosa?
«Avevo vinto il concorso a scuola e insegnavo letteratura italiana, ma l’obiettivo era di fare la storica dell’arte. Avevo un’autostrada davanti ed era il sogno della mia vita. L’elezione in Consiglio regionale mi ha portato via tutto questo».
Le ha però consentito di ricevere il vitalizio a 50 anni.
«Non giusto, sacrosanto. Ho fatto 29 esami, ho lavorato nei beni culturali da quando ero al liceo, ho studiato tutte le estati anziché fare vacanza. La Lega Nord ha cancellato tutto questo e mi ha impedito, perché considerata ideologicamente pericolosa, di proseguire un percorso che mi avrebbe dato lo stipendio da docente universitaria per i miei meriti. È con il vitalizio che posso oggi continuare a lavorare quasi gratis».
Perché è rimasta così a lungo in Lega?
«Per fedeltà».
E quel passaggio nel Pd?
«Dovevo sgonfiare la mia immagine pubblica per chiudere un capitolo di continuo tormento da parte di piccoli partiti autonomisti che mi chiedevano di ricominciare. Era un modo per chiudere la partita».
Ma se glielo richiedessero, tornerebbe?
«Potrebbe cadere un meteorite. Non ho idea».
Niente statisti, niente Stato federale. Bossi era uno statista?
«Ambiva ad esserlo. Ma era un uomo politico capace di muovere gli statisti».
Qualche nome?
«Quelli della prima Repubblica che, alla Andreotti e alla De Michelis, hanno costruito le grandi reti europee e trattato pure con il malaffare, ma con una enorme coscienza di Stato. D’Alema e Fini hanno provato a esserlo, statisti, nella seconda Repubblica, ma sono stati massacrati su piccoli scandali da chi ha finito con il consegnare il Paese al populismo».
Il Parlamento di oggi?
«Un Cda di nominati, quasi in una democrazia ateniese».
Matteo Salvini?
«Non saprei cosa dire».
Nemmeno su Massimiliano Fedriga?
«Non lo conosco».
Per chi ha scritto il libro?
«Non è un romanzo. È un lavoro tecnico, intervallato dalla mia storia, anche psicanalitica, che parla di democrazia, diritti civili, integrazione, salvaguardia degli Stati nazione. È un libro per far pensare, che vorrebbe essere di sinistra, ed è invece di centrosinistra. Come sono io: mai totalmente di sinistra».
Per chi vota?
«Da anni scheda bianca».
Una via d’uscita per la politica?
«Serve un rinnovato dialogo tra una destra e una sinistra laiche, all’americana. In mancanza di leadership vera, resteremo altrimenti in una fase di occupazione di sottopotere, che sta diventando anche di potere istituzionale, da parte di una classe non partitica, ma oligarchica, priva di qualsiasi formazione politica, incapace di confrontarsi con il mondo. Mettere i Conte e i Draghi a fare gli statisti non può essere un progetto democratico».
