Evento di prestigio domani sera alle 21,15 alla sala Truffaut: in cartellone la prima visione del film “Piccolo corpo” esordio nel lungometraggio della regista Laura Samani.
Il film è stato presentato alla Semaine de la Critique di Canne 2021 ed esce ora in Italia. Prodotto dalla Nefertiti di Nadia Trevisan e Alberto Fasulo, bella realtà del panorama produttivo nazionale, il film, ambientato ai primi del ‘900 nel Nordest, racconta l’elaborazione di un lutto. Agata partorisce una bimba nata morta, ma non si rassegna all’idea che il “piccolo corpo” non possa essere battezzato e dunque sia condannato a vagare nel Limbo.Decide di portare il corpo della neonata in Val Dolais, fino a un santuario dove si dice che i bambini nati morti tornino in vita un breve attimo per essere battezzati. Tra gli sceneggiatori, c’è la modenese Elisa Dondi, che introdurrà la proiezione di domani e a cui abbiamo rivolto alcune domande.
Come è nato il progetto?
«Ho conosciuto la regista e l’altro sceneggiatore Marco Borromei al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, che tutti e tre abbiamo frequentato. Abbiamo lavorato assieme a un primo corto, “La santa che dorme”, che è andato a Cannes. Lì abbiamo incontrato Nadia di Nefertiti e si è deciso di sviluppare il progetto di un lungometraggio. La prima idea del film è venuta nel 2016 e si è consolidata grazie anche al lavoro nel Laboratorio Internazionale del Torino Film Festival. Laura era stata attratta dalle storie vere sull’esistenza di santuari, ad esempio in Francia, chiamati “del respiro” perché i bambini nati morti hanno la possibilità di un “ultimo respiro” che li fa battezzare e dunque evitare il Limbo. All’ idea iniziale del “miracolo” si è poi aggiunta quella di far percorrere alla protagonista, Agata, un viaggio che partisse dal mare, la laguna di Venezia, e si concludesse in Carnia, in mezzo alle montagne.
Il finale è surreale, quasi magico. Penso alle sequenze sommerse, che mi hanno ricordato Vigo e “L’Atalante”…
«In sede di scrittura volevamo essere certi che non vi fosse dubbio che il “miracolo” avvenisse davvero. Al punto che, a partire dal miracolo finale, abbiamo costruito tutta la storia come a ritroso, in bilico costante tra la durezza e crudeltà del mondo reale e l’attesa della catarsi finale. Per le sequenze sommerse, cercavamo un posto che simboleggiasse il Limbo. E’ lì che Agata può riabbracciare la figlia. Le acque del lago, in realtà una piscina, rappresentano anche il ventre materno».
C’è una deuteragonista nel film, Lince, la ragazza che si traveste da uomo e che accompagna Agata.
« Lince nasce in opposizione ad Agata. Agata più che un personaggio psicologicamente approfondito è un personaggio mitico, una Antigone, che esiste solo per la missione che ha. Un personaggio-freccia, la cui direzione coincide con la sua missione. Invece Lince è una scatola, un personaggio che si svela a poco a poco allo spettatore. Lince prende letteralmente il testimone, il corpicino morto, da Agata e lo porta nel santuario. Lince non crede come Agata nei miracoli, non ha la sua fiducia. Si veste da uomo perché è sola, deve proteggersi da un mondo cattivo e violento. Il miracolo finale commuove anche lei, fino a quel momento opportunista. L’abbiamo chiamata Lince perché è un nome ambiguo, né maschile né femminile».
Immagino che il film abbia avuto problemi a causa della pandemia…
«Certo. Abbiamo finito la sceneggiatura nel 2018, poi ci siamo messi a raccogliere i fondi. Le riprese sono state interrotte a causa del primo lockdown, e sono terminate solo nel febbraio 2021, in tempo per andare a Cannes».
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