Il turismo ha perso 130 miliardi di fatturato a causa del Covid. E le strutture alberghiere sono diventate facili prede di acquirenti stranieri. Soprattutto fondi interessati a entrare in un mercato dalle caratteristiche uniche. A prezzi di realizzo. Come nel caso del comprensorio sciistico del Sestriere, rilevato dagli inglesi.
Milton Friedman, premio Nobel e ispiratore della Reaganomics, molti anni fa fece una profezia sull’Italia teorizzando anche - per paradosso - la legittimità dell’evasione fiscale: «Se non vi libererete del peso dello Stato in economia siete destinati a diventare un popolo di camerieri». È ciò che sta avvenendo. L’Italia, soprattutto sul fronte turistico snobbato dallo Stato nonostante rappresenti oltre il 13% del Pil e falcidiato dalla pandemia, è in svendita.
Per comprenderlo basta mettere insieme tre notizie della scorsa settimana: il fondo britannico iCON infrastructures (ma la Brexit non doveva essere la rovina della Gran Bretagna?) si è comprato per soli 90 milioni di euro tutto il comprensorio del Sestriere, ossia le montagne più belle d’Europa al pari delle Dolomiti; Lufthansa, in cordata con l’armatore italo-svizzero Gianluigi Aponte (compagnia Msc), vuole la maggioranza di Ita Airways neonata dalle ceneri di Alitalia e capace di accumulare 2,2 milioni di perdite al giorno, presieduta da Alfredo Altavilla; Bill Gates che si è «regalato» la catena Four Seasons e ha provato a dare l’assalto al Danieli di Venezia – uno dei più lussuosi e famosi alberghi del mondo, compie proprio in questi giorni i due secoli – si sta comprando mezza Italia.
Tirando le somme significa che un turista viene trasportato da aerei che generano utili in Germania, scia su piste che producono fatturato per la Gran Bretagna e alloggia in alberghi che rimpinguano le casse di una compagna statunitense. Riflettiamoci: gli aeroporti su cui atterrano quei velivoli sono stati costruiti con le imposte degli italiani - nel caso delle privatizzazioni la rivendicazione sarebbe ancora più forte - e si fa lo slalom su montagne protette con i soldi degli italiani e nelle città dove si alloggia i servizi sono a carico degli italiani.
Si dirà che è normale, è il mercato. Vero, ma non del tutto. Perché il turismo ha una particolarità: gli imprenditori fanno i soldi con i beni pubblici puri che sono il patrimonio collettivo di una nazione e sovente questi imprenditori si avvalgono, o sfruttano, infrastrutture realizzate con le imposte versate dai residenti. La differenza tra essere imprenditori del turismo o camerieri - professione nobilissima e indispensabile - sta tutta lì.
Si pensava che quando Massimo Garavaglia ha assunto la delega di ministro del Turismo si fosse compreso che il tema non è solo fare promozione, ma considerare il turismo uno dei motori di sviluppo del Paese. Del resto i numeri lo dicono: oltre 3 milioni di posti di lavoro, mezzo milione d’imprese, introiti attorno ai 200 miliardi. Tutto questo prima della pandemia perché oggi il disastro è assoluto: persi in due anni oltre 130 miliardi, sull’orlo del fallimento almeno 25.000 alberghi e 50.000 ristoranti oltre a 14.000 tra agenzie di viaggio e tour operator, a rischio almeno 500.000 posti di lavoro, in fumo solo nello scorso anno 148 milioni di presenze, di cui 111 milioni straniere.
Nelle città d’arte la media di occupazione di camere è sotto il 30%, a Roma sono chiusi da due anni 400 hotel su 1.200, a Firenze la metà di quelli disponibili, a Venezia ormai gli investitori stranieri fanno shopping a prezzo di realizzo di alcune delle più prestigiose «case» e lungo la Riviera Romagnola si calcola che siano stati definitivamente chiuse almeno 500 strutture ricettive. Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, sostiene che nelle città d’arte che rappresentano un quinto dell’intero mercato turistico si è perso il 71 per cento del fatturato.
Oggi il lockdown di fatto in cui si trova l’Italia dopo la recrudescenza della variante Omicron e le restrizioni imposte con quarantene e super green pass ha aggravato la situazione. Paolo Bianchini, presidente del Mio (Movimento imprese ospitalità aderente a Confturismo) sostiene che sono almeno 45.000 i ristoranti in fallimento sostituiti da catene straniere di fast food o da imprenditori cinesi che investono nelle cosiddette «dark kitchen» (sono l’omologo in fatto di cibo dei distributori di benzina «bianchi») per alimentare le consegne a domicilio.
Quanto al traffico aereo, il 2021 si è chiuso con 80,7 milioni di passeggeri, quasi il 60% in meno rispetto al 2019. In pratica sono spariti dagli aeroporti 113 milioni di viaggiatori. Nessuno pare preoccuparsene, ma l’Italia sta subendo, a partire dal turismo, una colonizzazione economica che è cosa assai diversa dall’attrarre investimenti. Succede con gli alberghi, i ristoranti, i paesaggi quello che già è accaduto in Kenya o a Sharm El-Sheikh: veniamo colonizzati.
Così la profezia di Milton Friedman si avvera. La crisi è partita da lontano, la pandemia con l’effetto collaterale della burocrazia sanitaria l’ha solo acuita. Una storia emblematica è quella del Santa Cristiana. Era l’hotel di maggior prestigio del Conero, finito in un progetto del costruttore Pietro Lanari, venne demolito perché doveva diventare la città ideale delle vacanze. A finanziare l’operazione Banca Marche, messa in liquidazione dalla Banca d’Italia e poi fatta fallire.
Il progetto è rimasto fermo oltre dieci anni, ora dovrebbe ripartire dopo che lo scheletro di cemento armato e l’area sono stati comprati all’asta per circa 10 milioni da un pool d’imprenditori riuniti nella 24 Immobiliare. Numana ha cambiato addirittura la piazza del paese inseguendo il sogno Santa Cristiana, ma nel frattempo il mercato turistico ha deviato. Quel progetto doveva essere salvaguardato se si era deciso di scommettere sul turismo. E dell’economia che si doveva generare attorno a questa città se non del sole, almeno dell’abbronzatura non è rimasta traccia.
Sta succedendo così ovunque in Italia, ma la cosa sembra non interessare. Nell’ultimo anno sono avvenute 432 acquisizioni da parte di capitali stranieri: nella lista solo alberghi, agroalimentare e moda. Il perché è presto detto. Questi sono i tre asset che generano davvero plusvalore in Italia e non sono ripetibili altrove, sono il «core business» del made in Italy. Ed è quello che piace alla gente che piace. Ma il governo si è orientato su provvedimenti tesi a evitare la delocalizzazione piuttosto che il mantenimento della proprietà italiana.
Anche in tal caso l’affaire Lufthansa-Ita Airways è emblematico. Il colosso tedesco ha già detto che è interessato al potenziamento di Fiumicino come hub internazionale. Possiede già, come scali di riferimento, Francoforte e Monaco di Baviera, e di Malpensa - troppo vicino alla Germania - non sa cosa farsene. Se mantenere l’hub lombardo è un interesse nazionale, ai possibili nuovi padroni di Ita Airways non importa nulla. Sposteranno tutto il traffico a Roma.
Aeroporti di Roma ha peraltro già un faraonico piano di raddoppio dello scalo - un’operazione «win win» per i Benetton che controllano Aeroporti di Roma attraverso Atlantia e sono anche proprietari di Maccarese, mega tenuta agricola che dovrebbe cedere parte dei terreni per allargare le piste - e l’opzione Lufthansa come si capisce determina un’accelerazione dello sviluppo di Fiumicino a tutto danno di Malpensa.
Dagli aerei agli hotel non cambia il quadro. A Firenze sono in vendita 194 alberghi, il 169 per cento in più rispetto allo scorso anno. A Venezia è sul mercato circa il 50% del patrimonio ricettivo. Alcuni colpi clamorosi sono stati l’acquisto del Luna Baglioni da parte del gruppo britannico Reuben Brothers, che lì già aveva comprato Palazzo Experimental mentre a Capri si è preso il La Palma. Il Bauer è ora in mano degli austriaci di Signa. Il Danieli non è finito a Bill Gates, ma Giuseppe Statuto, che ne è ancora il proprietario, prosegue nella partnership con il gruppo Marriott (a Four Seasons è andata la gestione del suo hotel di Taormina, lo storico San Domenico).
Sempre a Venezia è finito al fondo inglese Ece Real Estate tutto il complesso degli hotel Bonvecchiati e ci sono forti interessi austriaci sui sette hotel di Lino Cazzavillan. A Roma nel mirino ci sono il Grand Hotel (offerte da un gruppo russo) e Palazzo Aldrovandi, che piace ai fondi pensione scozzesi, mentre Palazzo Melini in via del Corso è stato acquistato dagli americani di Orion. Secondo Ernst&Young sono già passati di mano 69 alberghi di lusso con un aumento del 158% di operazioni nel 2021 rispetto all’anno prima. È solo l’inizio, ma siamo già ai saldi di fine stagione.