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Le nuove mani di Mustafa, i piedi di Munzir: ecco chi dona la speranza a padre e figlio vittime della guerra in Siria

Le nuove mani di Mustafa, i piedi di Munzir: ecco chi dona la speranza a padre e figlio vittime della guerra in Siria

Sono scappati dalle bombe, la Toscana li ha accolti. Ora una squadra di professionisti farà in modo che tornino ad avere una vita normale

Quando i professionisti del Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio hanno visto la foto di Munzir e suo figlio Mustafa si sono guardati negli occhi. Non c’è stato bisogno di dire niente. Il padre mutilato da una bomba in Siria. Il bambino nato senza arti, per i farmaci che la mamma ha preso in gravidanza per difendersi dal gas inalato durante un bombardamento. Munzir, fermo su una stampella, alza il figlio al cielo: si sorridono e cancellano l’orrore. «Il nostro obiettivo – dice Antonella Miccio, con la semplicità delle imprese (quasi) impossibili – è riportare entrambi alla vita vera, come facciamo con tutti i nostri pazienti. Restituiremo a Munzir e Mustafa la vita di tutti i giorni, in una condizione di pace, di lavoro e di serenità».

A Budrio, nel Centro protesi Inail in provincia di Bologna, è questo che si fa. È questo che si farà anche con Munzir e Mustafa, adottati (con tutta la famiglia) dalla Toscana, dove vivono nel Senese dal 21 gennaio 2022: si forniscono dispositivi, certo, protesi, ausili. Ma non è solo per imparare a camminare. È per rendere libere le persone: libere di correre incontro a chi si ama, di scegliere chi abbracciare, di disegnare una casa integra e non distrutta dalle bombe, di scrivere un biglietto di ringraziamento invece di una lettera di addio. Ogni giorno, sempre meglio. Per riuscirci serve la scienza, la tecnologia. «Ma soprattutto – sottolinea Antonella Miccio, direttrice sanitaria del centro protesi di Vigorso – nel caso di Munzir e Mustafa noi contiamo sull’amore che esiste tra padre e figlio per superare tutte le difficoltà che incontreremo in fase di riabilitazione».

Dottoressa Miccio, il Centro Inail di Vigorso come può intervenire su Munzir e Mustafa?

«Abbiamo un padre e un figlio che si trovano in due condizioni diverse. Il padre ha subito un’amputazione traumatica; il figlio è un bambino con un mancato sviluppo degli arti: quindi due casi diversi anche da un punto di vista clinico».

Dal punto di vista dell’intervento (per la scelta delle protesi) cambia la ragione per cui non si sono sviluppati gli arti?

«Il mancato sviluppo, nel bambino, è un problema che si è verificato durante lo crescita embrionale all’interno del corpo materno. Quindi, dal punto di vista del recupero funzionale e della protesizzazione, non ci interessa la causa del problema: ci interessa il fatto che il bimbo sia nato senza gli arti e che quindi non abbia mai imparato a usarli. Diversa è la situazione del padre».

La situazione del padre appare meno complessa dal punto di vista del recupero funzionale?

«Il padre ha imparato a usare gambe e braccia, al contrario del figlio: l’amputazione della gamba è avvenuta da adulto, quando aveva già un suo schema corporeo e camminava. Quindi c’è questa diversità profonda di trattamento fra padre e figlio che nasce proprio dalla diversa origine della problematica: in un caso è un’amputazione, nell’altro è il mancato sviluppo di quattro arti che comporta una maggiore complessità nella soluzione del problema. Però, in questa diversa complessità c’è anche un punto di forza».

In che cosa consiste il “punto di forza” di questa situazione?

«Il fatto che Munzir e Mustafa siano padre e figlio. E il fatto che il padre abbia in qualche modo intercettato il destino del figlio in questa tragedia legata allo scoppio della bomba. Munzir ha perso un arto in una situazione di guerra e in questa mutilazione ha incontrato il figlio nato senza arti. Dal punto di vista della riabilitazione e del percorso all’interno del Centro, la figura del padre avrà un suo ruolo positivo. Personalmente credo molto nel rapporto padre-figlio. Il padre come esempio di vita, probabilmente questo ci aiuterà proprio nella rieducazione».

Quali interventi avete previsto?

«Affronteremo un percorso a tappe. Tutte le decisioni vengono definite in ambito di equipe. Daremo il giudizio finale sulle indicazioni solo dopo aver visitato i pazienti. Questo vale anche per gli accertamenti già predisposti».

Ci sono già indicazioni di massima per il padre, comunque?

«Per Munzir il percorso nella sostanza è già definito, pur sempre nella personalizzazione della protesi, perché il dispositivo deve interagire con una persona che ha un proprio schema corporeo che ha perso e deve recuperare. Parliamo di una persona con un proprio modo di vita, proprie abitudini un modo di camminare, una postura che deve adattarsi di nuovo a un arto (anche se artificiale, ndr)».

Per il bambino, invece? Il suo corpo è in continuo sviluppo.

«Per Mustafa ci saranno degli step: il nostro criterio di intervento non è quello di “esclusione”, ma un criterio di progressione. Probabilmente, da quello che ci siamo detti con la Direzione tecnica e che perfezioneremo in equipe, ci sarà un prima fase che riguarderà gli arti superiori rispetto a una successiva che riguarderà gli arti inferiori. Si tratterà, quindi, di una diversa successione degli interventi”.

Saranno dall’inizio protesi di alta tecnologia?

« Non si parla di alta tecnologia ma di appropriatezza del dispositivo tecnico in relazione alle caratteristiche della persona. Questa è una regola generale. Vale per tutti e particolarmente per un bambino al quale dobbiamo dare inizialmente protesi semplici e molto leggere. Oltretutto un bimbo che si deve abituare a usare arti artificiali. È un percorso estremamente delicato da affrontare anche a livello psico-cognitivo. Ci sono nostri assistiti che abbiamo visto all’età di Mustafà che oggi vengono qui per avere protesi tecnologicamente più avanzate e più performanti. Questo è un percorso che dura tutta la vita e che attraverso l’evoluzione tecnologica può raggiungere anche quello che al momento non è possibile. Per il momento, visto che Mustafa è molto piccolo, è prevedibile un adeguamento delle protesi, ogni 6 mesi in base alla crescita ».

Dottoressa come proverete a insegnare a Mustafa a usare gli arti che non ha mai avuto?

«Sicuramente con il gioco. Il mezzo con cui noi arriveremo a relazionarci con il bimbo è quello. Abbiamo visto che il sistema più efficace, ma poi saremo più precisi quando avremo effettuato la visita al bambino. Comunque, nessuno di noi - né il medico, né il fisioterapista né il tecnico - agisce da solo con il paziente: siamo sempre in una interazione reciproca. Il progetto protesico-riabilitativo che si mette in campo è sempre condiviso. Inoltre, in questa equipe c’è anche la figura dello psicologo. Sarà già nel progetto e prevederemo una strategia mirata».

Quale sarà la vostra strategia?

«Come detto, sarà la strada del gioco ma punteremo molto su questo rapporto meraviglioso fra Mustafa e Munzir. Questo rapporto di grande amore fra padre e figlio, di questo padre che ha condiviso in parte la condizione del proprio figlio, può fare la differenza nella riabilitazione. Oltre alla realizzazione dei dispositivi e alla riabilitazione anche questo legame giocherà un ruolo importante per il successo di un percorso così complesso».

Avete già trattato casi complessi come quello di Mustafà?

«Nel nostro Centro trattiamo pazienti con mancato sviluppo di arti. Sono casi non molto frequenti per fortuna. La situazione di Mustafa è particolarmente grave e qui ha giocato purtroppo un ruolo la condizione in cui lui e la sua famiglia hanno vissuto in Siria: questa è un’eredità pesante. Ma queste realtà esistono».

Che cosa si può dire a chi si trova ad affrontare situazioni analoghe a quelle di Munzir e Mustafa?

«Vorrei dare un messaggio di speranza: anche questa tragedia di è arrivata con un messaggio di amore. L’immagine scattata dal fotografo turco e che tutti abbiamo visto raffigura l’amore tra un padre e un figlio che li riscatta da tutte le sofferenze. Quando i pazienti arrivano al Centro protesi Inail noi abbiamo un obiettivo: ricondurre le persone alla vita vera, come diceva Antonio Maglio il medico Inail che ha fondato le paralimpiadi. Poi gli strumenti – le protesi, gli ausili, la rieducazione tutto quello che abbiamo a disposizione – vengono impiegati al meglio per ogni assistito, compresi Munzir e Mustafa. Grazie a questi percorsi l’obiettivo che per i nostri pazienti è il reinserimento sociale e lavorativo, per Muzir e Mustafa sarà il ritorno alla vita di tutti i giorni in una condizione di pace, di lavoro e di serenità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

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