Per l’ex premier finora il capoluogo regionale non ha saputo spiccare il volo sfruttando l’allargamento a Est dell’Europa. «E per riuscirci serve qualcuno con visione moderna»
Trieste torna al centro dell’Europa e l’uomo giusto al timone in questa fase è Francesco Russo. Parola di Romano Prodi.
Professore, Russo è al ballottaggio. Il suo giudizio?
«Conosco Russo da quando era un giovane dell’Ulivo. La prima volta che l’ho incontrato era a Firenze nel 1995 e in tutti questi anni l’ho visto crescere e ne ho sempre avuto stima. Russo ha una capacità di visione moderna che serve a Trieste. Nel tempo ho seguito le prospettive della città: con l’apertura ad Est è tornata al centro di un grande mondo, ma non ne ha saputo approfittare».
Si poteva fare di più?
«Quando ci fu l’allargamento pensai che Vienna e Trieste ne avrebbero usufruito al massimo. Vienna l’ha fatto, Trieste assai meno. Adesso ci sono nuove occasioni come l’espansione del porto, nuove iniziative industriali come la British American Tobacco, l’insediamento di realtà dell’alta tecnologia. Quando nacqui io, nel lontano 1939, le Assicurazioni Generali fatturavano tanto a Est di Trieste quanto a Ovest, Italia compresa: questa resta la grande vocazione della città e questa è la formazione di Russo. Il suo motto potrebbe essere “ringiovanire Trieste”.
Roberto Dipiazza?
«Mi sembra più attento alla conservazione del passato che alla costruzione del futuro. E oggi Trieste ha bisogno di futuro».
Il porto è di nuovo strategico.
«Io ho sempre ritenuto Trieste il porto con le potenzialità più grandi, per la sua vicinanza al grande bacino austriaco-tedesco e ai nuovi Paesi dell’est. Nella gestione di Zeno D’Agostino, Trieste ha indubbiamente guadagnato posti: un lavoro questo che deve essere portato avanti con vigore. Anche Russo si è sempre impegnato in questa direzione. Mi preoccupa però che proprio Trieste sia diventata un luogo strategico per i No Vax che io chiamo “operanti”, direttamente attivi nel danneggiare l’immagine e il futuro della città».
D’Agostino è pronto alle dimissioni…
«E cos’altro può fare? È l’unico in Italia a essere colpito in modo così diretto e senza spiegazione. Probabilmente, proprio perché le cose vanno bene, qualcuno pensa che, avendo gestito in modo efficace il porto, ora possa concedere tutto».
Le amministrative. È un incoraggiamento al centrosinistra o non ci si può adagiare?
«Adagiare mai. Il risultato ottenuto è significativo perché mostra una ripresa nelle periferie della città. È molto importante perché la vecchia battuta sul “centrosinistra Ztl”, chiuso nei centri città, oggi non è più vera. E questa è una grande rivoluzione politica. Dopodiché restano sempre amministrative, tra l’altro con una scarsa affluenza. È un momento di respiro per il centrosinistra, ora rientrato in gioco per le prossime politiche. Ovviamente non ci sono certezze, quando si tratta di elezioni, ma se fino a 20 giorni fa la vittoria della destra alle era ritenuta un fatto scontato, adesso la gara è aperta».
In passato il suo grande avversario era Berlusconi…
«E ho sempre vinto».
E ha sempre vinto. La destra odierna è diversa?
«È una destra profondamente diversa perché non si sono accorti che siamo un pezzo d’Europa. Non capiscono che nessun paese da solo conterebbe nulla e che le forze politiche che non hanno voce a Bruxelles, dopo un po’, non l’avranno più neanche in Italia. È in questo contesto che nascono le liti interne: le posizioni di Giorgetti nella Lega, per quanto minoritarie, sono una novità forte. In futuro una parte della destra, modesta ma significativa, potrà iniziare una riconversione che è indispensabile, se non vogliono essere emarginati sia a Bruxelles che a Roma».
Lei chiede al Pd di Enrico Letta di concentrarsi di più sui diritti sociali. La ascoltano?
«Credo che Letta si rendesse conto fin dall’inizio che sì, c’erano urgenti problemi di diritti individuali da affrontare, ma che nel lungo periodo il ruolo del Pd deve essere quello di spingere per un fortissimo rilancio dell’economia, con nuovi equilibri in favore delle fasce più povere. Oggi non esistono più le tradizionali classi sociali, ma le differenze fra chi è fuori e dentro il sistema sono enormi. Il Pd deve aiutare e riunificare il Paese: Letta ha cominciato, ora si deve proseguire».
I rapporti con il M5s?
«Queste elezioni sono state una fase sperimentale, e non mi ha molto preoccupato che in alcune città Pd e M5s fossero alleati e in altre no. Dove c’era l’alleanza i risultati sono stati buoni. Però i 5 Stelle hanno ancora la necessità di un chiarimento interno: se sapranno ricomporre le tensioni avranno un ruolo nel futuro del Paese e nel riformismo italiano, altrimenti sono destinati alla dissoluzione. Insomma, il M5s si salva solo se costruisce una linea politica, e il rapporto con il Pd è condizionato dalla possibile convergenza fra le due linee».
L’Ue abbandona l’austerità. Andava fatto prima?
«Sì. Io non ho risparmiato critiche all’atteggiamento Ue nella grande crisi finanziaria, soprattutto per come è stata gestita la crisi greca. Il cambiamento oggi è grande: è dovuto alla pandemia? Sì, ma ci sono altri due fattori. Il primo è la Brexit: un’uscita per me dolorosa, ma con la Gran Bretagna nell’Ue oggi non avremmo avuto il Next GenerationEU. Il secondo è la svolta della Germania: molti nel mondo economico tedesco hanno ormai capito che la forza di Berlino deriva dal suo legame con gli altri Paesi europei».
Si va verso un’Ue più unita?
«Non è ancora cambiata la linea su politica estera e difesa, e qui il compito non è sulle spalle della Germania ma della Francia, che non fa nulla per facilitare una difesa comune europea, nonostante Macron lo proclami ogni giorno. La vera mossa francese sarebbe mettere a disposizione dell’Ue il suo seggio al Consiglio di Sicurezza Onu e il conseguente diritto di veto: l’Europa farebbe un grande salto in avanti».
Spenderemo i fondi del Pnrr nei modi e nei tempi?
«C’è stata una forte accelerazione e il cambiamento è stato sentito dall’Ue, però non ci devono essere crisi e la legislatura deve andare fino in fondo».
Il Quirinale?
«Draghi, e il Paese, dovranno decidere se è meglio che Draghi faccia un anno in più di potere o sette anni di autorità».
Lei cosa pensa?
«Io non sono Draghi. Io penso solo che non sono in corsa per il Quirinale, ed è l’unico pensiero che sono legittimato ad esprimere al riguardo».