Sul palcoscenico della moda gastronomica impazza un tal Josh Niland da Sydney che di sé dice: «Sono il macellaio del pesce» solo perché tratta i filetti di Barramundi (il più consumato dagli australiani) come costate di Chianina: li frolla. Gli spagnoli, imitati dai criticoni nostrani, lo hanno incoronato come inventore di nuovi gusti, subito seguito dal francese Gérald Passedat. È la prova provata che manca la cultura del cibo e che anche a tavola è arrivata la «cancel culture». Che cosa avrebbero proposto questi signori di nuovo? Il pesce frollato. Idea remota, basterebbe ricordarsi di Archestrato di Gela, poeta del IV secolo a.C., che nel suo poema Gastronomia (è lui ad aver in creato il termine) dove guizzano tutti i pesci del Mediterraneo, scrive: «Mantieni uno scombro tre giorni fuori dall'acqua, prima che inizi la salamoia, ancora fresco in giara, solo mezzo salato».
Per saperlo bisogna aver studiato e per gli influencer gastronomici è pratica fastidiosa. Così, trasformando la ricerca in moda, non si apprezza l'affinamento di tecniche antiche che riemergono con potenza grazie a nuovi ausili tecnologici. In questo caso, le celle frigorifere per la frollatura a temperatura costante, in atmosfera controllata e assolutamente asettiche.
«Occhio» avverte Moreno Cedroni, due stelle Michelin a La Madonnina del Pescatore di Marzocca di Senigallia, alcova di piacere del palato e laboratorio di ricerca: «I pesci di piccola taglia vanno consumati freschissimi, così i crostacei e le conchiglie, i pesci di peso notevole frollati invece danno risultati di sapore eccelsi. Come la fermentazione: l'abbiamo riscoperta, ma è pratica millenaria che viene dalle culture orientali. Io ne ho fatto il mio orizzonte: pesce frollato e verdure fermentate per ottenere nuove frontiere di sapore e un processo nutrizionale salutare». Tutto ciò accade nel magico «tunnel», sorta di laboratorio scientifico in cui Cedroni sperimenta i suoi piatti. Appese nella cella di frollatura stanno cernie da 30 chili e ombrine di 20. «La cosa interessante» conclude il cuoco-marinaio, che con il suo Clandestino a Portonovo (Ancona) ha democratizzato l'alta cucina in un angolo incantevole del Conero, «è che anche i giovani, forse attratti dalla moda, si sono incamminati sulla via della ricerca».
Una prova concreta è data dal lavoro di Jacopo Ticchi, giovanissimo cuoco riminese (Trattoria da Lucio) che si è spinto molto avanti sulla frontiera del pesce frollato. Ha dato alle stampe un volume edito da Maretti (è in libreria anche con un libro sul gelato di Paolo Brunelli e un altro dove trionfa il pesce nella cucina di Mauro Uliassi, tre stelle Michelin, anche lui da Senigallia) dove le foto di Lido Vannucchi raccontano una nuova gastronomia. In Oltre la frollatura Ticchi spiega il suo percorso e stupisce con ricette dove usa interiora e teste dei pesci e dimostra come la frollatura, disidratando le carni, amplifichi il sapore.
C'è anche una «piadina con la testa di ombrina» a significare che questa innovazione è di fatto una declinazione della tradizione. Il libro di Ticchi è un capitolo essenziale nell'evoluzione del gusto e delle tecniche di cucina. Ricordandoci però sempre di Archestrato, che sul punto scrisse: «A Delo come in Eretria, compra solo la testa del phagros e la coda affettata; tutto il resto, amico mio, non farlo entrare neppure in casa»: 27 secoli fa sapevano già cosa farsene delle teste di pesce.
«Appunto» nota Luigi Pomata che a Cagliari fonde cucina isolana e giapponese in un trionfo di pescato. «Evitiamo di far diventare invenzione ciò che facciamo da migliaia di anni: se si vuole gustare una delle nostre cernie di fondale che arrivano a mezzo quintale bisogna per forza farla frollare. Il punto è che oggi sappiamo farlo bene e finalizziamo il piatto a un'esaltazione del sapore di mare».
Anche lo stoccafisso o il salmone affumicato (quello vero) in fondo sono pesci frollati. «Non bisogna adeguarsi alla moda» puntualizza Pomata «ma fare ricerca: il pesce va frollato avendolo pulito benissimo e deve avere un certo peso. Il risultato è straordinario: quando vai ai grigliare un dentice stagionato una ventina di giorni hai carne più asciutta in superfice, ma succosa dentro, non stressata, che non si arriccia, cuoce più in fretta e in maniera più uniforme. A Carloforte, dove sono nato, mio padre lo faceva già con il tonno, che peraltro è il bue del mare».
Aggiunge Cedroni: «Siamo vittime del luogo comune "pescato e mangiato": ci sono pesci come una piccola mormora, una sogliola, un San Pietro che vanno cucinati freschissimi, ma una cernia che è animale nervoso e molto muscolare, se viene frollata a 0-2 gradi per un mese dopo averla totalmente eviscerata acquista morbidezza e sapidità inusitate ed è infinitamente più digeribile senza aver perso nulla dei propri preziosi nutrienti. Noi cuochi poi dobbiamo adottare cotture e progettare piatti che non mortifichino il vantaggio acquisito con la frollatura. Anche perché un pesce frollato ha un costo assai superiore».
C'è anche il valore della ricerca che sta contaminando altri chef: come Lele Usai, una stella a Fiumicino, come Fabio Tammaro, Officina dei Sapori di Verona, che ha esplorato la frollatura del pesce in cera d'api, antichissima usanza mediterranea.
Stupiti? E allora i polpi appesi ad asciugare sulle isole greche? Si trovano ovunque: da Cefalonia a Creta passando per Folegandros. Accompagnati dal vino resinato erano l'aperitivo di Agamennone e ora sono di moda. Va così quando la «cancel culture» si mette a tavola.
